Fusilli di grilli

Massimo Morello

Gli insetti: ultima fonte di sopravvivenza nella disperazione, tabù alimentare, simbolo di culture divergenti, potrebbero diventare il “supercibo” per un futuro di 9 miliardi di persone. Ed essere un nuovo modello di globalizzazione.

Lo snack preferito dalle prostitute di Bangkok sono i maeng, fritti con un pizzico di pepe nero e salsa di soya. A volte con anellini di peperoncino piccante o intinti nel namprik, salsa di peperoncino. Il maeng è il termine che indica genericamente gli insetti (anche se, per la precisione, si riferisce a insetti a otto o dieci zampe, senza ali).

Secondo i più attenti osservatori della cultura popolare thai questa predilezione deriva dal fatto che la maggior parte delle prostitute proviene dall’Isaan, il nord-est del paese, la regione più povera. Nell’Isaan i raccolti erano scarsi e ancor più il bestiame. Quindi i locali dovevano essere molto creativi riguardo al cibo: gli insetti erano facili da trovare, specie le cavallette, che raccoglievano mentre lavoravano nelle risaie, eliminando al tempo stesso una minaccia alla coltura. 

 

Anche nella vicina Cambogia è piuttosto diffusa la stessa abitudine alimentare. Con una variazione caratteristica  nell’area centrale: i ragni. Sono la specialità di Skuon, a 75 chilometri dalla capitale Phnom Penh. Località oggi nota come Spiderville. In questo caso, si dice, ma forse è uno dei tanti racconti dell’orrore nazionali, che i cambogiani iniziarono a cibarsi di ragni durante gli anni dei khmer rossi, quando la fame fece più morti delle torture e della guerra.  

 

Oggi i banchetti che vendono insetti fritti nelle strade di Bangkok sono affollati di turisti che si filmano e fanno selfie mentre li mangiano. Skuon è una tappa d’obbligo per i tour diretti a Siem Reap, la città alle porte del sito di Angkor. Pochi osano l’assaggio ma per i locali va bene lo stesso: si fanno pagare per le foto.

 

Per l’ennesima volta in Sud-est asiatico la dicotomia appariva essere tra la miseria e il fascino quasi perverso della miseria, quell’attrazione fatale che esercita sugli occidentali, che trovano in essa una sorta d’illuminazione sociale e politica, la convinzione di essersi calati in una realtà aliena, di non essere banali turisti bensì viaggiatori.

 

Secondo alcuni, la repulsione occidentale per mangiare insetti deriva proprio dal fatto che rappresentano la disperazione. In Asia è diverso: un famoso proverbio cinese dice che si può mangiare tutto quello che vola, nuota, striscia e cammina. E la passione per le cavallette fritte si fa risalire al 628 E.C. quando l’imperatore Tai Zong affermò che non erano un segno della collera del Cielo, ma la dimostrazione che la natura può rivelarsi benefica anche nella sventura.  Bisogna anche dire, però, che Plinio il vecchio, nella sua Naturalis Historia narra che i patrizi romani amavano le larve d’insetti allevate a farina e vino.

 

Ma tutte queste analisi storiche e antropologiche con cui ogni espatriato cerca di trovare una via di scampo nello scontro di culture di cui è testimone, vittima e complice, si sono infrante a Bangkok, di fronte a un piatto di fusilli al pesto. Fusilli impastati con un 30% di farina di grilli.  Una porzione scarsa - su mia richiesta ma solo perché a pranzo preferisco tenermi leggero – che dovrebbe aver introdotto nel mio organismo 210 kcal di energia, 3 grammi di grassi, 35 di carboidrati, 12 di proteine, 3 di fibre, 5 di zuccheri, 80 mg di sodio e o,62 mcg di vitamina B12.

La Cricket Pasta, questo il nome, è prodotta dalla Bugsolutely, una start up concepita per lo sviluppo, la produzione e l’esportazione di cibi a base di farina di insetti edibili. È stata fondata nel 2015 da Massimo Reverberi, milanese, che nel 2012 ha lasciato la sua agenzia di marketing, Prima Pagina, per un vero e proprio “sea change”. «La crisi del 2010 mi ha convinto che non c’erano significative possibilità di sviluppo. E non volevo continuare a lavorare senza più un sogno». Così si è preso un po’ di tempo, è approdato in Thailandia, ha passato un anno tra spiagge e viaggi, «l’anno più bello della mia vita, ho anche smesso di fumare», poi ha cominciato a pensare al da farsi sino a scoprire il mondo degli insetti edibili.

 

«È un supercibo» dice Reverberi mentre mangiamo vantando le proprietà degli insetti: contengono sino al 60% di proteine e solo il 6% di grasso (mentre un hamburger, ad esempio, contiene il 18% di proteine e il 18% di grassi). «Ma soprattutto è un cibo sostenibile». In effetti, come  scoprirò poi, in un rapporto della Fao (che dal 2003 sta studiando le potenzialità alimentari degli insetti edibili), Il contributo degli insetti per la sicurezza alimentare, l’economia e l’ambiente, per produrre la stessa quantità di proteine i grilli hanno bisogno di una quantità di nutrimento sei volte inferiore a quella dei bovini, quattro volte quella degli ovini, due volte quella dei maiali e dei polli. Sempre secondo la Fao, gli insetti edibili quindi, potrebbero essere una soluzione al problema alimentare una popolazione mondiale che nel 2050 dovrebbe raggiungere i 9 miliardi di persone.

Per Reverberi e molti altri come lui (da citare il dottor Marco Ceriani, nutrizionista, uno dei pionieri nello studio degli insetti edibili, fondatore della Italbugs e autore di Si fa presto a dire insetto), questo è davvero il cibo “che potrebbe salvare l’umanità”, segno di "un modello di produzione alimentare che deve cambiare", fulcro di un business che in paesi come la Thailandia o la Cambogia rappresenta anche un acceleratore di sviluppo. Un cibo, secondo Reverberi, che potrebbe addirittura essere un punto d’accordo tra onnivori e vegani, almeno quelli tra loro che fanno tale scelta non per motivi di pura etica, bensì pensando alla sostenibilità. Per quanto, sostiene Reverberi, gli insetti non hanno le strutture neurologiche che traducono uno stimolo negativo in un’esperienza emotiva. Insomma, non hanno il senso del dolore.

 

Aldilà di ogni considerazione scientifica, nutrizionistica, piscologica, gastronomica (i fusilli di grillo sono gustosi, molto simili alla pasta integrale, più croccanti) o etica (confesso che il grillo mi sta molto più simpatico del pollo), la morale di questa storia è che gli stereotipi possono essere superati. Anche quello dello scontro culturale. Basta solo vincere paure e tabù.

 

Un interessante, e divertente, documentario della BBC su questo tema.