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COME FARE BELLA FIGURA IN SALOTTO SENZA NECESSARIAMENTE SAPERE QUEL CHE SI DICE

La Biennale d'arte di Venezia

Andrea Ballarini

È uno degli avvenimenti culturali più iconici. Ci si va perché piace ma anche perché se no non si saprebbe di cosa sparlare a cena. Ecco in ogni caso un rinforzino per le vostre conversazioni

- Ogni volta trovarla un po’ peggio dell’edizione precedente.

    

- Mediamente noiosa, tranne un paio di cose molto belle. Convenirne.

  

- La parte dei Giardini: banalotta; invece all’Arsenale c’erano delle cose molto belle. Vale anche il contrario.

   

- Mah!

   

- Prendere un venerdì o un lunedì di ferie per visitarla senza la folla del weekend. Chic.

   

- Arrancando faticosamente dalla fermata del vaporetto all’ingresso dei Giardini sotto un sole implacabile già di prima mattina, considerare che si potrebbe davvero pensare di trasferirsi a Venezia. Replica evergreen: “Venezia? È bellissima, ma non ci vivrei.”

  

- Il difficile è capire quanto tempo dedicare alle opere: troppo poco e si rischia di apparire superficiali, troppo e si risulta pedanti.

  

- Per le prime due ore dedicare un quarto d’ora ad ogni padiglione nazionale, verso fine giornata passare da uno all’altro senza nemmeno rallentare il passo.

   

- Fotografare ossessivamente tutte le opere esposte, poi non guardare mai più le foto.

   

- Tuonare contro le installazioni troppo concettuali, che sono sì interessanti, ma dopo un po’ rompono le balle. Diciamocelo.

  

- I video sono quasi sempre noiosissimi, ma dopo due ore di visita svolgono una funzione fondamentale perché consentono di sedersi per una decina di minuti.

   

- Dire “Questo sapevo farlo anch’io”. Intramontabile. Non abusarne.

  

- Quando le vertebre lombari del/la compagno/a di visita cominciano a protestare, commentare ironicamente che la cultura serve proprio a elaborare la sofferenza privata trasformandola in un’esperienza universale.

   

- Preferire la fondazione François Pinault alla Punta della Dogana. Non è indispensabile esserci stati.

   

- Mai definire “bella” un’installazione. Preferire altri aggettivi: potente, forte, scioccante, dolente, magnetica, intensa ecc. “Hai visto la tavola da surf sull’elefante?”, “Sì, molto intensa.”

   

- Solo se si è già definita la propria immagine di lucidi intellettuali fuori dal coro, si può sostenere provocatoriamente che di molte opere non si capisce un cazzo.

   

- Dividere tutte le installazioni in due macrocategorie, quelle che parlano alla mente e quelle che parlano al cuore. Meno si circostanzia l’affermazione, maggiore è l’effetto.

   

- Non avere mancato un’edizione negli ultimi vent’anni. Dissertare su come sia cambiato il panorama internazionale dell’arte contemporanea. Tuonare contro i punti ristoro, i cui panini sono esangui esattamente come vent’anni fa.

   

- Scagliarsi contro la prosa d’arte delle schede che accompagnano le opere. Sostenere che siano tutte scritte con i generatori automatici di testo.

    

- Una volta frequentare le mostre d’arte contemporanea era un ottimo modo per abbordare donne intellettuali, ora dopo i film di Woody Allen e con il fatto che andare alla Biennale fa figo, ci si trovano prevalentemente famiglie di sinceri democratici con proli vocianti. Dolersene.

   

- Ricordarsi sempre di citare la scena di Alberto Sordi e la Buzzicona in cui lei viene scambiata per un’opera d’arte perché si era seduta su una sedia sotto una pianta ornamentale. Recitare a memoria il dialogo: “A Re’ me voleveno comprà pe’ diciotto mijoni.” “Diciotto mijoni? Ammazza! Ma nun è troppo?”

    

- Dopo un’ora di visita cominciare a discutere di dove si andrà a cena e se si opterà per per i bigoi in salsa o si passerà direttamente alle seppie al nero con la polenta.

   

- Poiché qualunque giudizio rischierebbe di apparire banalizzante ci si posiziona come profondi conoscitori di arte astenendosi da qualunque commento, proprio come si fa scendendo le scale del cinema dopo il film.

   

- Durante la visita incontrare inevitabilmente alcuni conoscenti. Prepararsi per tempo una sintesi di non più di due frasi per riassumere tutto senza dire nulla. Allontanarsi prima che comincino a fare domande specifiche.

    

- Al lunedì mattina in ufficio chiedere al collega che ci è stato nel weekend, come fosse e quali padiglioni nazionali gli siano piaciuti di più. Informarsi ansiosamente sul padiglione del Giappone, che fa sempre delle cose bellissime.

   

- Consultare su internet i siti che forniscono la classifica dei cinque padiglioni più belli (per. Es. Art Tribune, Elle Décor, ArtsLife, Espresso ecc.), quindi dissentire da tutti.

  

- Ricordare con affetto quel simpatico cazzaro di Filippo Tommaso Marinetti, che il 27 aprile 1910 ha organizzato un lancio di manifestini anti-Biennale in piazza San Marco. 

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