Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice

Tic del discorso (tecniche di difesa)

Andrea Ballarini

Ciascuno ha i propri. Solo che ci sono quelli che se ne vergognano e quelli che li ostentano, convinti di essere più fighi degli altri. A qualunque categoria apparteniate, non fatevi scappare l’occasione di non tacere

- In qualche modo. Ogniqualvolta qualcuno contrabbanda l’espressione mimetizzandola all’interno di un discorso lungo e articolato, disinteressarsi del concetto principale e chiedere petulantemente: “Scusa, in quale modo?”

  

- Bene o male. Sviluppare al solo udirlo un poderoso eritema cutaneo. Far partire un pippone teso a chiarire che non sono equivalenti. Una cosa è fatta bene o è fatta male. Una mela è una mela e una pera è una pera; tentare di equiparale surrettiziamente scardina i fondamenti della logica occidentale, a partire dal principio di non contraddizione. Continuare a braccio; smettere prima del sopraggiungere dell’apoplessia. 

 

- Detestare chi, qualunque ragionamento stia facendo, anche semplicissimo, chieda ripetutamente “comprende?” all’interlocutore. L’optimun è interrompere chiedendo se si crede di avere a che fare con un minus habens.

 

- Mi spiego. Non dirlo. Farlo.

 

- Se in una conversazione l’interlocutore dissemina le proprie frasi di “è vero”, replicare di stare pure tranquilli, giacché non si pensava affatto stesse mentendo.

 

- Cià al posto di ciao. Chiedere immediatamente come si sia impiegata la frazione di secondo risparmiata omettendo la “o” e valutare se sia stato un uso effettivamente migliore.

 

- Ciao, ciao, ciao. Chiunque chiuda una telefonata così merita di non essere richiamato più, più, più.

 

- Voglio dire. Concederne la facoltà.

 

- “Veda” e “Mi consenta”. Vietati, soprattutto agli imprenditori. Usarli qualifica come epigoni aspirazionali con inclinazioni al trash.

 

- Prosieguo. Buon Dio! È davvero tanto più difficile da dire di prosequio, proseguio e quant’altro? (Vedi seguente)

 

- Quant’altro. Chiedere subito: “Ma quanto altro? Un po’? Tantissimo? Per nulla?” Di seguito disquisire sulla necessità dell’esattezza. Valutare se citare le lezioni americane di Calvino.

 

- Assolutamente sì, assolutamente no. Aborrire. Qualora si voglia tirarsela un po’, citare Giuseppe Pontiggia, che riteneva l’assolutamente un avverbio che "vorrebbe aggiungere energia a un linguaggio stremato e finisce per sottrargli anche quella residua" (Le sabbie immobili, 1991).

 

- Piuttosto che. Notare con piglio sociolinguistico che è stato oggetto di una tale crociata contro l’uso come sinonimo di oppure (rosso, piuttosto che giallo, piuttosto che blu), che alla fine, ancorché si convenga sul fatto che correttamente esprima una scelta tra concetti alternativi l’uno all’altro, è legittimo provare una moderata simpatia per chi lo usa alla carlona.

 

- Scagliarsi contro quelli che Marcuse chiamava i predicati ellittici. Sperare che qualcuno chieda cosa siano per esemplificare alcune associazioni automatiche: sentite condoglianze, vibrata protesta, potente lobby, garbata ironia e quant’altro. (Vedi sopra “Quant’altro).

 

- Attimino. Tuonare contro l’accezione che esprime una generica modica quantità: un attimino di più, un attimino di meno. Datato, ma sempre odioso.

 

- Anche no. Lanciare un dibattito sul perché abbia avuto molto più successo dell’anche sì.

 

- Senza se e senza ma. Fare immedidatamente l’elogio del dubbio quale antidoto al fanatismo.

 

- Ben altro. Stigmatizzare il benaltrismo, anche se non sono certo questi i veri problemi della gente. Convenirne.

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