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La bomba francese

Giulio Meotti

“Una conquista senza sangue né esplosioni. Perché un’islamizzazione strisciante porta alla resa multiculturale”. Intervista all’autore di “Partition”, libro-choc sulla divisione della République

“Come è stato possibile non cogliere l’occasione di torcere il collo all’islam fondamentalista dopo gli attacchi che hanno sconvolto la Francia dal 2012, da Mohamed Merah a Nizza? La risposta è semplice: perché è già troppo tardi. Nel 1939, non volevano morire per Danzica. Nel 2017, non vogliamo morire per recuperare La Courneuve!”. Si apre così, quasi con una dichiarazione di resa, il nuovo libro-choc di Alexandre Mendel, quarantenne giornalista investigativo, uno dei primi a raccontare i giovani partiti per combattere in Siria nel libro “La France Djihadiste”, che ha appena pubblicato “Partition. Chronique de la sécession islamiste en France” e che a colloquio col Foglio lo racconta in esclusiva (il settimanale Valeurs Actuelles gli ha dedicato gran parte del suo ultimo numero e la copertina). Il nuovo libro di Mendel è il più maestoso e dettagliato affresco della vera secessione, non quella sghemba dei catalani di Spagna, ma quella reale degli islamisti di Francia. Il merito di Mendel è mettere la carne alle ossa di quel fantasma agitato da due anni ormai da politici e giornali: l’islamizzazione.

 

E' una forma di secessione. In trent'anni, piccole Kaliningrad dell'islamismo sono nate un po' in tutta la Francia

“Gli islamisti gridano ‘vittoria’, noi diciamo ‘pace’”, dice Alexandre Mendel. “Le enclave da cui gli islamisti combattono, armati di kalashnikov o ubriachi della predicazione, non sono recuperabili. Esistevano prima degli attacchi, prima dell’Isis; esisteranno in seguito. Sono persi. Qualcuno ha mai rischiato la propria vita per organizzare il ritorno alla Repubblica di città come Bondy, Trappes o Lunel? E’ la pace fulminea che una Francia impone a un’altra Francia. E’ stata costituita una Francia parallela che, gradualmente, si distingue con il suo sistema valori, moralità, abitudini, odio di sé, piccoli soldati”. Le concessioni francesi all’islam non sono nuove. “Il desiderio di pace sociale, il patrocinio politico, l’emergere di un’ideologia multiculturalista negli anni Ottanta, ha creato in Francia questo disastro. Questa ‘partizione’, per prendere in prestito la parola usata da François Hollande, non è più fittizia. Due popoli vivono fianco a fianco. E uno di loro ha dichiarato guerra all’altro, a colui che lo osserva passivamente. Si sposano solo religiosamente, dividono le donne, nelle imprese l’islamizzazione è vissuta senza problemi e i sindacati chiudono gli occhi. Apostati e ipocriti sono ancora più invisibili dei non credenti. Si va porta a porta per garantire che il Ramadan sia rispettato. Le persone che non lo fanno vengono picchiate. Uno si converte. L’altro si sottomette. Talvolta parliamo timidamente di ghetto o apartheid sociale”. Si tratta di secessione.

 

“In trent’anni, piccole Kaliningrad dell’islamismo sono nate un po’ in tutta la Francia. I pompieri che si avventurano sono accompagnati dalla polizia. I giornalisti ancora audaci che ci mettono piede fanno ‘sensazionalismo’. Qualsiasi politica che rifiuta di cedere viene automaticamente chiamata ‘fascista’. La nascita di associazioni di identità musulmana e la nascita di strutture per la lotta contro l“islamofobia’ ci ha trasformati in complici dei Fratelli musulmani. E’ stato detto nel XX secolo che il terrorismo è l’arma dei poveri. Nel XXI secolo, la vittimizzazione è il kalashnikov ideologico dei poveri. Dopo gli attentati a Parigi del 13 novembre 2015 v’è stata una successione di micro-sconfitte senza battaglie che annunciavano il crollo generale: la scuola, il velo, la laicità, l’integrazione, la morale. Dal gennaio 2015, dai giorni del massacro di Charlie Hebdo, il conflitto è stato sepolto sotto il lancio di palloncini, sotto i discorsi lenitivi, i concerti, gli incontri ‘interconfessionali’. Dopo tutto, la gente che piange è più gestibile della gente che per strada chiede giustizia. A ogni tragedia, la Torre Eiffel si spegne. I morti vengono sepolti due volte, una volta a terra, un’altra sotto i buoni sentimenti. Tutto per distrarre la gente dalle domande che potevano fare”.

 

E quelle riguardano il territorio perduto della Repubblica francese, la secessione quotidiana. “Al Blanc-Mesnil di Seine-Saint-Denis, il bar vicino alla moschea salafita, ha rinunciato a organizzare il festival della musica, ritenuto troppo ‘impuro’ dai vicini”, spiega Mendel. “Proliferano i ‘caffè etnici’, dove non si vende alcol. A Trappes, nei pressi del mercato, i parrucchieri rifiutano la mescolanza dei sessi. Nei quartieri settentrionali a Marsiglia, come a Roubaix, le donne non hanno bisogno di essere represse: sanno bene di non essere benvenute. A Sevran, interi territori sono strappati alle forze repubblicane. A Montpellier, un bar, dietro la stazione, riceve settimanalmente la visita di un salafita che si assicura che ‘non serva alcol’ ai ‘fratelli’. Il loro campo da gioco sono le zone miste dove un pubblico di origine maghrebina è mescolato ai francesi. ‘Questa è una vera conquista dello spazio’, una fonte dell’intelligence ci ha detto. Non esiste più alcuna questione di moralità nei quartieri dove non c’è più alcuna mescolanza dei sessi: la terra è già stata conquistata. Si fa scivolare la linea di partizione a tutti i soggetti inclusi dall’islam della visibilità: halal, abiti, preghiera, carità. Tutto per ricordare alle popolazioni miste che comportarsi ‘alla occidentale’ è peccato; tutto per impressionare il musulmano medio”. Mendel la chiama “sharia morbida”. “Si tratta di piccoli compromessi, tutti i giorni, quasi invisibili ai non iniziati, ma pieni di significato se analizzati caso per caso. Ci sono state così tante battute d’arresto prima di una protesta che l’islam non ha nemmeno bisogno di alzare la voce per far avanzare le sue pedine nella terra della laicità. A Marsiglia, nel quartiere di Porte d’Aix, una pizzeria non vende alcol”.

 

I sindacati, che denunciano le diseguaglianze salariali, non attaccano mai l'islamismo che prolifera sui luoghi di lavoro

Nasser, 38 anni di Trappes, è uno di loro. E’ lontano dalle caricature del barbuto travestito in Afghanistan. In jeans e camicia, questo venditore di auto usate continua a diffondere la parola ai co-religiosi nel suo quartiere. “Io dico ai fratelli di comportarsi in accordo con il Corano, raccomando di non frequentare i giochi d’azzardo, voglio condurli al cammino della verità”. Piccole lezioni morali che funzionano bene in un pubblico ancora refrattario al modo di vivere dei salafiti, ma che consentono di apparire “salafo-compatibili”, senza passare alla pura sharia. Il commercio si adegua e fa affari. “Burger King ha quaranta dei suoi fast food in Francia ‘100 per cento halal’”, continua Mendel. “Il peso della comunità musulmana, i suoi gusti, il suo rifiuto della macellazione tradizionale, hanno creato un segmento di mercato sempre più forte. Niente maiale e alcol, questa è la regola nelle periferie delle grandi città”. Nelle panetterie ci si premura che nessuna gelatina utilizzi il maiale, come ad Aix-les-Bains. I parrucchieri si adeguano alla sharia. “A Trappes ci sono saloni esclusivamente femminili. Si parla della famiglia, della moschea, e non dimenticano di dare il loro aiuto al Soccorso Islamico. Si rifiuta la rimozione delle sopracciglia, un vizio occidentale. Non c’è bisogno di aprire un negozio misto in questi distretti: è il rischio di un rapido fallimento”.

 

Verviers, dice Mendel, ricorda Pripiat, la città ucraina vicino a Chernobyl. “E’ la felicità dei fotografi di tutto il mondo che vengono a visitarla, tracce di un mondo scomparso per sempre, il silenzio mortale della visione dell’Apocalisse. A Verviers, tutto ciò che costituiva l’identità dei valloni è scomparso, come se il vecchio mondo dell’industrializzazione, quello degli operai, fosse stato risucchiato nel vortice dell’islamizzazione. Verviers è l’apocalisse culturale e storica. Quante Verviers ci sono in Francia? L’esempio di Roubaix, dove quasi un abitante in due è musulmano, è spesso citato. St. Florentin a Yonne, Grasse nelle Alpi Marittime e, soprattutto per il numero di abitanti, Mulhouse nel Haut-Rhin. Nel mercato del centro cittadino sfilano le donne velate”. Prendiamo il caso di Bourtzwiller: “Donne assenti dalla sfera pubblica, forte presenza di giovani vestiti in qami, la barba scabrosa e la caviglia scoperta sopra la scarpa. Un territorio perso di quindicimila abitanti. Kingersheim è considerata la capitale salafita del Reno Superiore in un dipartimento in cui le partenze per il jihad si contano a decine. Grasse sulla Costa Azzurra allo stesso modo. Gli ultimi francesi sembrano evaporare sulle colline circostanti. Non c’è alcol nei bar ai piedi di piccoli edifici dalle facciate dilapidate e sporche. Il centro di questo comune di 50 mila anime è letteralmente etnicizzato. Il qamis (la tunica sopra il polpaccio, ndr) è la regola e le madri aspettano velate la prole all’uscita della scuola pubblica. I piccoli pensionati hanno iniziato a vedere questo spettacolo: altoparlanti che trasmettono musica araba, barbecue di notte improvvisati per il Ramadan. Grasse, città fantasma. Grasse, la città del vivere insieme”.

 

Ovunque in questi territori perduti proliferano le librerie islamiche. “Nessuna grande città sfugge allo sviluppo di queste imprese particolari. Lione, Marsiglia, e naturalmente Parigi. Ci è voluto del tempo perché i servizi di intelligence capissero l’entità del fenomeno e il pericolo. La letteratura è spesso ostile all’occidente in generale e alla Francia in particolare. Librerie islamiche in cui è possibile acquistare libri stampati in Arabia Saudita. A La Guillotière, un quartiere arcislamizzato di Lione, un centro commerciale offre molte opere controverse, come piccole guide per i bambini su ‘indossare il velo’. Nel sud della Francia, da Arles a Montpellier, un libraio islamico è bravo a trovarti un’edizione dei ‘Protocolli dei Savi di Sion’ o del ‘Mein Kampf’ in arabo. Nella maggior parte di queste librerie, le migliori vendite sono registrate per ‘La via del musulmano’, un vero e proprio pensiero del Jihad. Peggio ancora, è facile trovare in Francia il libro ‘Gestire la barbarie’, manuale per i futuri jihadisti, scritto nel 2004 da diversi dirigenti di al Qaeda, pieno di consigli pratici. Yusuf al Qaradawi ha prodotto più di 120 libri, alcuni sono veri e propri inviti al jihad o alla ‘guerra contro i sionisti’. Le opere di questi autori sono ben posizionate sugli scaffali in Francia. Nel quartiere Chapelle-Pajol, a Parigi, in particolare nella rue Perdonnet, le donne non hanno più diritto alla città. Sono disprezzate, derise, molestate, minacciate da venditori di strada. Alcune hanno rinunciato a lasciare le case. E vivono rinchiuse. Un vero apartheid di genere. Benvenuti in Francia! Nel cuore della capitale”. Prendiamo il caso di Orange, nella Vaucluse. “Basta una visita sul boulevard Edouard Daladier: in quindici anni questa grande arteria ha cambiato fisionomia, come se fosse stata strappata ai territori della Repubblica. A un angolo della strada, molto arabizzata, c’è un bar, L’Amiral. In pochi anni, il posto è diventato esclusivamente maschile. I sindacati che denunciano le diseguaglianze salariali, la diseguaglianza di condivisione dei compiti domestici, non attaccano mai l’islamismo. Nulla è visto mai come uno scontro, tutto è analizzato come un problema puramente urbanistico”.

 

 I caffè dove non si vende alcol, i parrucchieri che rifiutano la mescolanza dei sessi e le panetterie che non usano gelatina col maiale

Non sono soltanto alcuni territori francesi a essere perduti, dice Alexandre Mendel, autore del libro “Partition”, ma anche la gioventù. “Quella della seconda e ora terza generazione che ha portato la rivoluzione integralista contro i valori occidentali ma in una forma di reazione identitaria contro i genitori non francesi, e ha abbracciato un islam senza compromessi”.
Anche la penetrazione della religione musulmana nel mondo del lavoro è generalmente accompagnata dal proselitismo. “I musulmani fanno del loro luogo di lavoro un terreno fertile per la religione. Si costruisce una moschea, si raccoglie la zakat, si fa attenzione a coloro che non osservano le prescrizioni religiose. E’ un sistema piramidale. Un sistema dove i più religiosi monitorano i meno religiosi e così via, fino ai non credenti. Il palmo della radicalizzazione, tuttavia, va alla Ratp, l’autorità di trasporto parigina, che ha cercato di impiegare persone che somigliano alle popolazioni dei territori serviti”.
E’ il caso di Samy Amimour, uno dei terroristi del Bataclan e autista di bus. “Ovunque l’islam si sia stabilito in una società, troviamo le stesse conseguenze sociali”. La proliferazione delle moschee è un altro indice dell’islamizzazione strisciante. “Si è passati da cento moschee a metà degli anni Ottanta a 2.100 (tra cui 150 moschee salafite). Ma questo numero non comprende le 300 moschee non ufficiali in garage nascosti, cantine e case di immigrati. Secondo la Dgsi (intelligence francese), la stragrande maggioranza di queste moschee non ufficiali è in mano agli estremisti. Si creano circa venti nuove moschee ufficiali ogni anno. Ma anche questo numero non comprende le moschee non ufficiali che potreste vedere, ad esempio, a Marsiglia. Le nuove moschee tendono a essere quelle che noi chiamiamo ‘moschee cattedrali’ costruite per migliaia di fedeli musulmani. Come quella che viene costruita a Mulhouse, nella Francia orientale, la più grande d’Europa”.
Mendel racconta anche il boom delle scuole coraniche. “A Lunel, 25 mila abitanti, ci sono almeno due scuole islamiche. Oggi ce ne sono 500 in Francia. Oltre a queste scuole coraniche, ci sono gli ‘istituti’ con i soldi della Fratellanza musulmana, il più noto è quello di Lille, l’Averroè”.

  

L’islamismo fermenta anche nello sport. “A Perpignan, una squadra di calcio ha preso l’abitudine di pregare nello stadio e di stendere i tappetini da preghiera negli spogliatoi. Il culto del corpo diventa uno degli obiettivi dell’islam, preparare meglio fisicamente a colpire il nemico. Niente di meglio dello sport, che è rivolto principalmente a un pubblico giovane, per la promozione del jihadismo e la negazione dei valori della Repubblica”. Il Qatar investe molto nello sport francese. E si moltiplicano i campioni islamici, come Franck Ribéry, Eric Abidal e Nicolas Anelka. “Le donne musulmane che vogliono praticare lo sport lontano dagli occhi degli infedeli e in particolare degli uomini, si organizzano sui social network”. Ci sono poi gli ospedali. “E’ sempre più difficile applicare la laicità. Il personale ospedaliero, in particolare quelli con un rapporto diretto con le cure femminili, come la ginecologia ostetrica, stanno affrontando un aumento costante di incidenti legati alla religione”.
Il cristianesimo retrocede, a fronte dell’avanzata dell’islam nella sfera pubblica. “Per non offendere il pubblico musulmano, la Francia rafforza il secolarismo, mentre gradualmente seppellisce le sue radici. Il paese è impazzito, rimuove tutte le tracce della religione maggioritaria. Il cattolicesimo è la prima vittima di questo secolarismo, che consiste nel trattare con sospetto tutto ciò che potrebbe offendere i non cattolici, a partire dai musulmani. Verrà un giorno in cui alcune festività cristiane saranno soppresse. Ci stiamo arrivando poco a poco. Nel luglio 2016, migliaia di musulmani hanno potuto beneficiare di un rinvio degli esami orali per Eid al Fitr (la festa sacra nell’islam, ndr). Vent’anni fa, le mense scolastiche non erano ancora luoghi di affermazione della identità”.

  

Proliferano i matrimoni religiosi contratti all’estero e non registrati. “Allah e nient’altro che Allah. I matrimoni puramente religiosi sono diventati la norma in Francia. Ci sono innumerevoli siti web e forum della comunità musulmana. ‘Attenti, il Profeta ha detto che chi imita un’altra comunità non è più parte della propria’, dice un forum dedicato alla comunità marocchina Yabiladi. Non associamoci con i non credenti, non adottiamo i loro codici e leggi. La cerimonia si tiene non nella moschea, ma nelle case della sposa e dello sposo. In segreto ed è spesso oggetto di grandi feste. La poligamia ha i suoi seguaci, specialmente a nord di Parigi, tra gli immigrati di origine malese, comoriana o mauritana. Secondo le informazioni ci sono 20 mila famiglie in Francia”.  E’ boom, intanto, di conversioni all’islam. “Quattromila all’anno, secondo varie fonti attendibili. C’è il desiderio di imitare, di adottare la religione di maggioranza. Ma ci sono anche coloro che abbracciano l’islam perché è diventato la loro impostazione ideologica quotidiana. Perché le loro radici sono cambiate. Il cristianesimo scompare per il bene dell’islam”. 

 

Alcuni quartieri francesi ricordano Pripiat, la città vicino a Chernobyl. Il vecchio mondo è risucchiato

Negli anni hanno assunto importanza le preghiere per strada, che hanno avuto origine in rue Myrha, nel 18esimo arrondissement di Parigi, nel cuore del quartiere Goutte-d’Or. Così come gli eventi estivi “proibiti ai bianchi” o anche detti “decolonizzati”, un misto di indigenismo e islamismo, iniziati a Reims. “Una tentazione ricorrente tra i musulmani fondamentalisti è non vivere tra gli infedeli. A Lione, a Parigi, a Marsiglia, a centinaia si stanno organizzando per emigrare nella terra dell’islam, cioè compiere la loro hijra, il ritorno al mondo musulmano”. Non una vera emigrazione all’estero, ma una emigrazione interna alla Francia. La fuga dalle grandi città per vivere in campagna e nei piccoli centri abitati. C’è il famoso villaggio di Artigat in Ariège che ospita l’“emiro bianco”, Olivier Corel. “Nessuno dei bambini è, naturalmente, educato nelle scuole pubbliche, al sicuro dagli occhi della Repubblica. A Châteauneuf-sur-Cher, a Berry, nel cuore di questo villaggio di 1.500 abitanti, i salafiti ruotano attorno all’Imam Chifa, officiando in una moschea chiamata “Salute a Allah”.
Una comunità ripiegata su se stessa. “Dobbiamo unirci, lasciare le nostre città natali, stabilire i villaggi musulmani e sviluppare un grande progetto per soddisfare tutte le nostre preoccupazioni e bisogni religiosi”, scrive Chifa. “Perché vivere nella umiliazione, sporcizia, malinconia e stress? Perché persistere nel desiderio di vivere tra i miscredenti che ci odiano e non ci vogliono?”.

 

Mendel racconta questo incontro esplosivo fra la “Francia dal basso”, le periferie, e l’islam che vi ha preso possesso. Territori lontani dalla coscienza “bobo”, borghese e bohemien, di chi fa opinione pubblica, culturale e politica. “Per fare la guerra, dobbiamo riconoscere i nostri nemici come guerrieri” conclude Mendel al Foglio. “Siamo abbastanza in grado di farlo a tremila chilometri da Parigi, in Siria, ma siamo incapaci oltre la nostra periferia. Nel 1939, un famoso deputato socialista, Marcel Déat, disse: ‘Non vogliamo morire per Danzica’. Era molto rispettato per il suo ‘pacifismo’. Quando, un anno dopo, la Francia venne sconfitta dal nazismo, Déat divenne un fan di Hitler e abbracciò Vichy, divenendo ministro del Lavoro. Condannato a morte nel 1945, morì a Torino. Oggi la Francia è piena di Déat: politici, giornalisti (Déat iniziò come giornalista), artisti. Eccoci qui oggi: François Hollande ha dichiarato ufficialmente, nel 2015 dopo l’attacco di Charlie Hebdo, che eravamo in guerra… Dov’è la guerra? Dove sono i prigionieri di guerra? Abbiamo chiuso le moschee salafite? E’ davvero una guerra? E’ come nel 1939-1940, abbiamo un nemico ma non combattiamo con il nemico. Non c’è da meravigliarsi che gli estremisti islamici sentano che stanno già vincendo. Non c’è stata guerra. E’ troppo tardi e nessuno si preoccupa di riprendersi Courneuve. Abbiamo tradito gli ultimi cristiani, atei ed ebrei di La Courneuve. Solo per comprare a un prezzo estremamente alto la nostra ‘pace sociale’”. 

 

A differenza di altri islamologi, come Gilles Kepel, Mendel non ritiene che ci sarà alcuna guerra civile. “Sarebbe il sogno degli islamisti, ma sono meno sicuro della nostra voglia di batterci. In futuro sarà come la situazione attuale, probabilmente anche peggio. Coloro che avranno abbastanza soldi saranno al sicuro nei loro quartieri. Continueranno a vivere quasi normalmente. Un paese con le sue enclave islamiche dove la gente rimarrà sola nella propria merda, scusi il termine. E dall’altro, persone ricche, pronte a credere che il ‘vivere insieme’ alla libanese funzioni abbastanza efficacemente per mantenere una certa pace. Non moriremo per La Courneuve. Non fra cinque, dieci o vent’anni. Vivremo sotto quelli che nel libro chiamo ‘les clauses non-écrites de l’armistice’. Le clausole non scritte della tregua”. La partition. La strisciante Vichy.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.