Vermeer c'est moi

Giuseppe Marcenaro

Come un abile pittore ignorato dalla critica riuscì a ingannare Göring e pure i migliori esperti d’arte. Han van Meegeren non copiava i quadri del maestro di Delft, li inventava proprio

Bisognava vederlo. Impettito nel suo orgoglio. Alla sbarra. In uno dei tanti processi celebrati nell’immediato dopoguerra contro i collaborazionisti. Gente che s’era intricata in traffici e mercimoni con le truppe naziste d’occupazione. Era il 29 ottobre 1947. L’udienza si teneva nella sala quattro della Corte regionale di Amsterdam. Per lui il capo d’imputazione, oltre alla collaborazione col nemico, era aver attentato al patrimonio artistico nazionale, in assoluto effrazione più infamante dell’aver commesso alto tradimento. Dimostrata la colpevolezza, l’imputato rischiava l’ergastolo.

 

La ragione per cui il 12 luglio 1945 era stato arrestato, e per la quale stava subendo il processo, risaliva alla fortunosa scoperta da parte degli Alleati, nel deposito segreto di Unterstein nel Sud Tirolo, di una moltitudine di opere d’arte rapinate in giro per l’Europa dal maresciallo Hermann Göring, l’insaziabile accumulatore di dipinti, l’avvoltoio pronto in ogni istante a profittare delle disgrazie dei collezionisti ebrei e delle raccolte pubbliche dei paesi occupati dall’esercito tedesco. Tra le opere rinvenute a Unterstein venne fuori un dipinto raffigurante Cristo e l’adultera firmato J. V. Subito riconosciuto come di scuola olandese del Seicento. Un’opera che per importanza fu immediatamente assimilata al Cristo a Emmaus, il capolavoro custodito al museo Boijmans di Rotterdam. Per acquistare quel dipinto il museo aveva pagato l’enorme somma di cinquecentomila fiorini, messi insieme mediante sovvenzioni pubbliche e sottoscrizioni private. E ne valeva la pena. Si trattava nientemeno che di un Vermeer.

 

Nel 1947 a processo. Il capo d'accusa, oltre alla collaborazione col nemico, era aver attentato al patrimonio artistico nazionale

“Questa gloriosa opera di Vermeer, del grande Vermeer di Delft – scriveva nel 1937 nella sua perizia Abraham Bredius, il più grande critico e storico dell’arte olandese – è miracolosamente emersa dall’oscurità nella quale ha languito per molti anni… La profondità di sentimenti che sgorga dalla tela non si rintraccia in nessun altro suo lavoro. Ho trovato davvero difficile trattenere le mie emozioni quando questo capolavoro mi è stato mostrato per la prima volta… Composizione, espressione, colore… tutto si combina a formare un’unità dell’arte più alta, della bellezza più sublime”.

 

L’opera era stata presentata a Bredius da un mercante il quale diceva di averla avuta in affidamento per la vendita, in totale riservatezza, da una famiglia d’antica nobiltà che aveva subito un rovescio di fortuna. Abraham Bredius, già direttore dei musei olandesi, era un’autentica autorità nel campo della pittura classica. Autore del catalogo delle opere di Rembrandt era inoltre supernoto per la sua sensibilità nell’attribuire i dipinti di maestri antichi. Gli bastava guardare un quadro per individuarne l’autore.

 

L’opera riaffiorata dal tempo fu acquistata dunque senza il minimo dubbio dal museo Boijmans. Il ritrovamento del Vermeer sconosciuto suscitò grande eco. Era il 1937 e la comparsa sul mercato di un dipinto di Vermeer fece sobbalzare il mondo dell’arte. Il maestro di Delft era un artista ancora tutto da scoprire. E il ritrovamento di una sua opera mosse la curiosità inducendo folle di persone ad accorrere ad ammirarla. In migliaia si accalcarono in fila tra le transenne che adducevano al sacral reperto esposto a Rotterdam in una sala del museo Boijmans. Un giorno, attirando l’attenzione della folla e dei custodi, un tipo, emerso improvvisamente non si sa da dove, si era messo a urlare che il Cristo a Emmaus era un falso. “Non fatevi ingannare”, gridò.

 

L’uomo che sbraitava, nella piazza davanti al Boijmans di Rotterdam la falsità del celebrato dipinto di Vermeer, la cui scoperta veniva conclamata come uno degli avvenimenti del secolo, si chiamava Henricus Antonius Han Van Meegeren ed era originario di Deventern, una cittadina nel centro dell’Olanda, nella provincia di Overijssel. Era un ingrugnito pittore di una cinquantina d’anni. In realtà di anni ne aveva esattamente quarantotto. Per nulla considerato dalla critica, da lui ritenuta un’accolita di inutili ciarlatani, incapaci di guardare e giudicare un’opera di artista contemporaneo, Van Meegeren era uno di quegli uomini che fanno il broncio all’umanità, grazie e soprattutto all’alta considerazione che hanno di sé. Era in realtà cosciente di possedere il dono di una abilità tecnica prodigiosa. La sua era una pittura da gran virtuoso, stilisticamente fuori del tempo, di un figurativismo esasperato. Sia pur fuori dal tempo il suo “mostruoso” talento gli veniva riconosciuto anche dai suoi detrattori che lo giudicavano votato soltanto a coltivare sterili tendenze estetizzanti. D’altra parte era il tempo in cui le avanguardie recavano le “mode” propalate dai Kandinskij, Klee, Mondrian… che con le loro opere procuravano a Van Meegeren più di un urto nervoso. Lo doveva ignorare ma quel 1937, l’anno della scoperta del “sublime Vermeer” che l’aveva indotto a denunciarne pubblicamente l’inconsistenza urlando in pubblico la sua falsità, era lo stesso in cui Picasso stava realizzando Guernica. Lui, l’ignorato Van Meegeren, in grado di dipingere con la stessa forza e con il talento dei grandi maestri del Seicento, mordeva il freno. Meditava la “gran vendetta” contro il mondo. Era sempre stato considerato un artista fallito. Apprendendo le tecniche antiche da Theo Van Wijngaarden, famoso restauratore e falsario operante ad Amsterdam, affascinato dalla pittura olandese classica e in particolare da Vermeer, Van Meegeren si era esercitato ricopiando fedelmente gli originali. Si era impadronito non soltanto delle tecniche, ma anche dello spirito con cui Vermeer dipingeva gli interni, le nature morte e i drappeggi. Non commise mai l’errore di copiare opere di Vermeer esistenti: creò invece dipinti nuovi, mai visti da nessuno, con aderenza stilistica e tematica al maestro di Delft, riuscendo ad abbindolare tutti i critici, convinti di trovarsi al cospetto di eccezionali capolavori che sarebbero andati ad arricchire la storia dell’arte.

 

Per un falso, l'Olanda ebbe indietro dai nazisti duecento quadri autentici. Nel '47 Van Meegeren era l'uomo più popolare del paese

L’abilità di Han Van Meegeren, da sola, non sarebbe bastata a ingannare gli esperti se egli non avesse avuto anche l’accortezza di procurarsi materiali adoperati trecento anni prima e di evitare pennelli prodotti nel XX secolo. Inseriva con cura della polvere nel falso appena terminato per provocare la craquelure. Conosceva perfettamente il trattato di De Vild sulle tecniche e i materiali adoperati da Vermeer e faceva spesso uso del raro pigmento blu oltremare, ottenuto dai preziosi lapislazzuli e dall’olio di lillà.

 

Nella primavera del 1936 Van Meegeren si era ritirato in una casetta, Maison Primavera, a Roquebrune Cap Martin. Ed è lì che aveva dato avvio ai suoi solenni misfatti. Un serial killer dell’arte. Un monsieur Landrou della pittura. In quella casetta nascosta nel sud della Francia diede vita al “suo” primo Vermeer. Primo virgulto di tredici, quanti saranno i sublimi “falsi inventati”. Doveva essere all’altezza del maestro di Delft. Si era procurata una tela d’epoca, da cui aveva raschiato via i rimasugli di una battaglia che vi era dipinta, eseguita da chissà quale sfigato anonimo, contemporaneo di Rembrandt e di Vermeer. Van Meegeren realizzò il “capolavoro” acquistato e poi esposto al museo Boijmans di Rotterdam, con la solenne benedizione del gran critico Abraham Bredius. Oltre l’expertise che spinse il museo all’acquisto del Cristo a Emmaus “di Vermeer”, Bredius si era slanciato in un testo encomiastico sul Burlington Magazine, una vera e propria “bibbia dell’arte” dei tempi.

 

“E’ un momento meraviglioso nella vita di un amante dell’arte quando si ritrova improvvisamente di fronte ad un dipinto finora sconosciuto di un grande maestro, incontaminato, sulla tela originale e senza alcun restauro, proprio come ha lasciato lo studio del pittore. E quale immagine! Né la bella firma… né i pointillés. E’ necessario convincerci che abbiamo qui – sono disposto a dire – il capolavoro di Johannes Vermeer di Delft…”.

 

Nel maggio 1945 Van Meegeren, con l’accusa di collaborazionismo, veniva arrestato. Il suo nome era emerso a seguito di indagini condotte sulla vendita, durante la guerra, di un’opera di Vermeer, il cui compratore sarebbe stato nientemeno che il maresciallo Hermann Göring. Si trattava di una tela raffigurante Cristo e l’adultera “acquistata” nel 1943 dal nazista tramite un intrico di intermediari. Il quadro era stato trovato tra le oltre milleottocento opere – la “celebrabile raccolta Göring” - “lucrate” e “rapinate” in giro per l’Europa e accumulate nel deposito di Unterstein.

 

"Questa gloriosa opera di Vermeer – scriveva Abraham Bredius – è miracolosamente emersa dall'oscurità

Dopo la vendita, dal punto di vista del guadagno più che corposa del Cristo a Emmaus, il dipinto era sempre più ammirato nel Boijmans. Nonostante, nei confronti del quale, Van Meegeren avesse lanciato in pubblico i suoi strali, gridando tra la folla “Non fatevi ingannare, il Cristo a Emmaus detto di Vermeer è un falso”. Oltre all’edonistico e amaro piacere d’essere “riconosciuto” – in quanto autore soltanto lui poteva sapere chi lo aveva dipinto – quale emulo di Vermeer, Van Meegeren, come si suol dire, si era trovato con un cospicuo conto in banca. E visto che dipingere gli dava anche gioia, il “maestro del maestro di Delft”, ovverossia la veritable controfigura di Vermeer tornata sulla terra dopo tre secoli, aveva messo mano a un nuovo capolavoro. Proprio quello che sarebbe finito nel mucchio dei quadri di Göring.

 

Van Meegeren continuò a produrre. Per lo smercio dei suoi “prodotti” si serviva di due intermediari, ai quali ogni volta diceva d’aver trovato l’opera in casa della solita famiglia caduta in disgrazia… D’altra parte la guerra era una ragione più che plausibile per essere creduto. I suoi intermediari non immaginavano neppure lontanamente che un pittore, per la generalità “fallito”, fosse l’autore delle sontuose tele che proponeva in vendita. I due, l’agente immobiliare Strijbis e il mercante di quadri Hoogendijk, si davano da fare ma, nel 1942, con il massimo della riservatezza imposta da Van Meegeren e i tedeschi occupanti, far mercato di opere d’arte d’alto lignaggio non doveva essere facile. La vendita avveniva in un ambito sempre più ristretto. Assieme ai due fidati si affiancò un altro “mediatore” che Van Meegeren non conosceva. Dava tuttavia garanzie. Si chiamava Rienstra Van Strijvesende ed era intrinseco all’ambiente degli occupanti. Il Vermeer di Van Meegeren arrivò così sotto lo sguardo di Göring.

 

La cosa ancora più curiosa è che Göring trattò con le autorità olandesi, accortesi intanto del maneggio. Tuttavia, poiché gli olandesi volevano preservare in patria uno dei capolavori della loro storia dell’arte, l’accordo fu raggiunto: una somma di denaro che sarebbe andata all’anonimo proprietario dell’opera e, per buon peso, a perfezionare la “permuta”, duecento tele “autentiche”… Di fatto la truffa paradossalmente tornò utile all’ignara Olanda che per un falso ebbe indietro duecento quadri autentici. Per altro razziati dai suoi musei. Van Meegeren, intanto, tramite i suoi intermediari, riuscì a beffare anche il capo delle SS, Heinrich Himmler, vendendogli dipinti falsi per un valore di cinque milioni e mezzo di fiorini.

 

Per evitare una sicura condanna all’ergastolo per collaborazionismo, Van Meegeren, in tribunale, suscitando lo scalpore dei giudici, confessò che il quadro acquistato da Göring lo aveva dipinto lui. E ammise d’aver eseguito altri falsi di pittori famosi come Frans Hals e Pieter de Hooch e almeno altri dodici Vermeer, tra cui il famosissimo Cena in Emmaus, ispirato a un dipinto di Caravaggio, acquistato nel 1937 dal Boijmans. Davanti a increduli e sorpresi giudici venne fuori che le opere di van Meegeren avevano ingannato critici, collezionisti ed esperti dei più famosi musei Europei.

 

Per essere creduto e per scagionarsi, Van Meegeren fu costretto a dipingere in aula un falso Vermeer. A quel punto la sua sfrontatezza ebbe il sopravvento. Non volle eseguire una copia del Cristo a Emmaus, soggetto conosciutissimo e quindi per lui facilmente riproducibile. Propose un dipinto completamente nuovo, un Gesù nel tempio tra i dottori sullo stile di Vermeer per dimostrare, non soltanto la sua innocenza, ma soprattutto, questa volta di fronte al mondo, il suo sorprendente talento artistico.

 

"Un "mostruoso" talento riconosciuto anche dai detrattori, che lo giudicavano votato solo a coltivare sterili tendenze estetizzanti

Per difendersi da ogni accusa di connivenza con il nemico, il “maestro dei Vermeer finti” confessò davanti ai giudici la propria attività di falsario. “Io ho dipinto soltanto dei quadri di Vermeer”. Guidò gli “specialisti”, nominati dal tribunale, affinché scoprissero le tecniche utilizzate. Van Meegeren aiutò i chimici a individuare le sostanze che aveva usato. Poté così dimostrare a tutti il suo genio falsificatorio. E soprattutto il suo irrefrenabile orgasmo a produrre superbi cloni di Vermeer. A cinquantadue anni Van Meegeren possedeva un grosso capitale. Era il malloppo frutto della vendita dei suoi dipinti. Non gli importava d’essere considerato un “copista”. Lui i Vermeer li aveva “inventati”. Era la passione a guidare la sua mano, irresistibilmente. Una specie di frenesia. Una malattia. Al processo dichiarò: “Gli ultimi Vermeer avevo voglia di dipingerli. Ormai ero al punto di non sapermi più dominare. Non avevo più volontà. Ero costretto a continuare”.

 

Le frasi più dure pronunciate al processo contro Van Meegeren si rivolsero curiosamente a suo vantaggio, riconoscendo la grandezza della sua impresa: “Tutto il mondo dell’arte viene sconvolto e si comincia a dubitare anche del valore dei giudizi estetici”. Il 12 novembre 1947, Van Meegeren veniva condannato alla pena di un anno di reclusione. Il 26 novembre entrò nella clinica Valerium, per malattie nervose. In precedenza aveva firmato una domanda di grazia rivolta alla regina. Il procuratore fece sapere, all’avvocato del pittore, in via ufficiosa, che la grazia sarebbe stata accordata. Il 30 dicembre 1947 il “maestro dei Vermeer” morì di crisi cardiaca. Un sondaggio d’opinione lo qualificava come l’uomo più popolare del paese.

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