Gianluca Vacchi sul suo profilo Instagram

Fenomenologia di un cazzaro

Giuseppe De Filippi

Gianluca Vacchi, re dei social, ha undici milioni di follower ma non vuole diventare leader di nulla. Vuole solo svaccare, stupire e divertirsi con i suoi soldi: ne ha ancora tanti, tantissimi

Gianluca Vacchi non è un comico, e così salva sé stesso e noi dal racconto della sua visione del mondo, dalla descrizione dei rapporti umani e dalla proposta (o imposizione) di come essi dovrebbero essere, dalla critica e successiva ricostruzione della politica, del costume, della cultura. Non fa ridere. Però ugualmente trasmette una certa tristezza, di cui si abbeverano i suoi quasi 11 milioni di follower (parola che prendiamo intera dall’inglese internettiano senza darci arie di traduttori/inventori). Non è un comico, ma è un disintermediatore del cretinismo. Fa saltare, raccontando da sé i fatti suoi e della sua cerchia di amici e soprattutto amiche, la mediazione del giornalismo a caccia di scemate da ricchi, di modelle conquistate da ricchi, di feste in barche da ricchi, di piscine con vassoi galleggianti, di abbigliamento eccentrico (con la concessione allo spirito del tempo fatta dall’esotismo rappresentato da pigiami in seta e altre cose che orientaleggiano come si orientaleggerebbe in un negozio del centro di Milano). Sa che quel giornalismo è malato d’invidia, e se ne approfitta. Riuscendo, in cambio dello sfogo dato all’invidia, a spacciare come appassionanti la sua vita, le sue serate, le sue mattine ibernate, i suoi esercizi, le sue danze, la sua musica, perfino i suoi libri. Risolve, sempre disintermediando, una questione annosa, facendoci sapere finalmente chi frequentano i calciatori mentre sono in vacanza. Niente scatti rubati dai settimanali con foto, né scoop o rivelazioni esclusive, niente servizi un po’ posati: c’è solo lui and friends, direttamente, senza filtri (tranne quelli da lui decisi). Trasportato sui media tradizionali perde mordente, il gioco si smonta.

   

Appartiene a un mondo che i calciatori li valuta, li ingaggia, li manda via. Lui li frequenta. Un'invidia sana, non rancorosa

A cominciare dalla televisione, dove lo si invita speranzosi, per sistemare almeno una serata di talk e magari dare una raddrizzata agli ascolti puntando sul travaso di anche un decimo di tutti quei fedelissimi follower. Il conduttore ammicca, aspetta la battuta, è fiducioso. Ma la partenza è stentata. “Eheheheh” incalza il conduttore, “eheheheh” risponde il Vacchi. “Eheheheh” ci riprova il conduttore e il Vacchi non sapendo che fare finisce per buttarla sulla serietà, poi si concede e spara un paio di “enjoy”, qualche gesto con la mano, ma sostanzialmente parla da imprenditore, industriale ben piazzato, cinquantenne senza pancia che vuole levarsi sfizi. L’unica è recuperare un po’ di foto, sì, qualche scena festosa, qualche veloce accenno di dance. E si va avanti, a fatica, in attesa della battuta che non arriva. Perché lui non è un comico e non è neppure un po’ spiritoso, niente battute e niente ironia, neanche un barlume di sorriso, un accenno di sarcasmo o anche di bonaria sapidità. E sulla carta stampata stessi guai. Se ne scrive cercando la battuta, se ne esce fuori raccontando le solite cose. Comprese le rivelazioni di questi ultimi giorni, con cui Vacchi di fatto ha disintermediato anche la fase dei “ricchi che piangono”. Le cronache si sono avventate su un pignoramento di suoi beni per un debito residuo di circa 10 milioni di euro da parte di una banca. Lui ha potuto argomentare e spiegare, direttamente dal suo mondo Instagram, e smontare il piagnisteo (seppure ricco). Nulla più che una normale divergenza tra la sua finanziaria e la banca con cui ha rapporti da molto tempo, una contestazione su tassi e costi vari, e in attesa del giudizio civile, il prestatore si tutela (in modo un po’ aggressivo, vista la solvibilità indiscutibile di Vacchi) su alcuni suoi beni, scelti, dice l’imprenditore, con una certa malizia, per aiutare quei poveracci della stampa, che così possono ricamare nientemeno che sulle quote di un campo da golf (9 buche, vicino a Bologna, niente a che fare con impianti sportivi davvero lussuosi). Insomma, non piange e resta tranquillamente molto ricco, e in partenza, con barca attrezzata di consolle e riempita di amiche carine assai, per luoghi da immaginazione popolare, come Montecarlo e simili. Sui giornali si disintermedia da solo anche quando tentano di mediarlo, di descrivere e ricostruire il suo mondo. Perché gli strumenti del cronista collettivo di costume cedono di fronte al vacchismo, non riescono a dire nulla che non sia scontato, che non si trasformi, anche non volendo, nella promozione della followship a lui devota.

   

Disintermediatore del cretinismo. Fa saltare, raccontando da sé i fatti suoi, la mediazione del giornalismo a caccia di scemate da ricchi

Tutto va a incrementare la schiera degli 11 milioni, nutrendone la speciale interpretazione dell’invidia: sana, non rancorosa, perché in fondo a Vacchi vogliono tutti bene. E se si diverte buon per lui, non fa male a nessuno (approccio con cui siamo perfettamente d’accordo). Anche nell’apparente infortunio finanziario c’è stata sì una certa ondata di battutacce e tentativi di maramaldeggiamento web, ma è roba che sembrava provenire più da vacchisti estemporanei, arrivati adesso adesso per approfittarsi dello scivolone bancario e finalmente poter menare qualche fendente. Roba che non dura più di tanto e che sta già lasciando di nuovo la scena agli ammiratori sanamente invidiosi. Quasi un’occasione per lanciare il suo, attesissimo (insomma) debutto come autore musicale con il pezzo “Viento”. Ne abbiamo sentito l’anteprima verificando la perfetta aderenza allo stile, tra la percussione in primo piano e un po’ di spagnolismo a fare da contrasto, che riempie i pomeriggi di dance tra Vacchi e amici sul ponte delle loro barche e i pomeriggi di lavoro di commesse e commessi nei negozi di abbigliamento.

  

E’ il leader di qualcosa? No, ma la risposta va argomentata, perché coglie bene alcuni aspetti rilevanti del leaderismo nazionale e dello specifico fenomeno Vacchi. Non è leader perché non segue le due regole fondamentali del ruolo: indicare soluzioni non già negoziate e prendersi la responsabilità degli errori. A Vacchi di tutto ciò non importa assolutamente niente. Siete 11 milioni? Grazie di esistere, di guardare foto e video, ma non rompete il cazzo. Non vi indico un bel nulla. Vi faccio vedere come vive (secondo voi, secondo quello che vi aspettate) un ricco quasi rentier che a 50 anni ha voglia di divertirsi. Dovrebbe bastare, e infatti basta. Nessuno chiede di più, nessuno immaginerebbe un qualche interesse in un filo diretto, in un “chiedilo a Vacchi”, in una posta del cuore in stile enjoy. Chi non propone niente, ma espone sé stesso, viene accettato (a condizione di provenire da una condizione fortunata e comunque invidiabile). Ha costruito consenso (come direbbe un quadro politico anni Settanta)? Ma neanche per idea. Comprensibilmente se ne guarda bene. Sa, o forse casualmente si adegua alla soluzione più prudente, che essere oggetto di invidia sana e non rancorosa è un privilegio rarissimo nel nostro paese. Altro che consenso, raccoglie magari dissenso, ma alla buona, perché da lui potrete sentire al massimo un’esortazione al divertimento, un invito a godersela. Il consenso programmatico, tornando al lessico anni Settanta, invece non viene perdonato. Si diventa subito soli al comando, teste montate, derive di qualcosa. Gli 11 milioni di Vacchi oggi ci sono e magari domani spariscono, il suo personaggio potrebbe essere meglio interpretato da qualcun altro, ma la durata del fenomeno, che è pienamente effimero, non ha alcuna importanza. Non c’è da programmare, non c’è da costruire, enjoy oggi e domani sticazzi (anche se ibernandosi ogni mattina si punta ad approssimare l’immortalità). Voi, cari seguaci, fate il vostro dovere se vi va, ma non ci sono strade da percorrere o futuri da costruire.

  

Gli strumenti del cronista collettivo di costume cedono di fronte al vacchismo, non riescono a dire nulla che non sia scontato

E’ la leadership possibile nel nostro paese, cioè la non-leadership. E potrebbe anche funzionare. Tutti a seguire chi ci racconta il suo disperato vitalismo e per il resto (per i vitalismi costruttivi, fattivi, programmatici) nessuna apertura di credito, ché non si sa mai. Meglio abolire le leadership, affidare la guida del paese alle decisioni super concordate, alla concertazione in scala 1 a 1 (salvo chiedere di tanto in tanto a entità esterne, come l’Europa o i mercati, di mettere le cose a posto, come se fossero banche che chiedono un pignoramento). La followship ha il suo posto: tranquillo il seguìto, sciallissimi i seguitori. Anche se è un seguirsi da fermi, una roba un po’ strana, ma non stiamo a sottilizzare. Insegna qualcosa il vacchismo a chi vorrebbe provare con qualche tentativo di leadership? Attenti, perché la risposta potrebbe essere oggetto della nuova parcella da centinaia di migliaia di euro (vabbè, nel mondo di Vacchi siamo comunque al prezzo di qualche rifornimento di carburante per le barche) da piazzare al politico arrembante di turno da parte del guru elettorale d’importazione. Chi avesse la risposta o credesse di averla potrebbe pure provare a passare all’incasso di quella parcella, perché la trasformazione della followship in consenso assomiglia al processo miracoloso che si tentava con la pietra filosofale. Non sapremmo dare indicazioni, ma qualcuno ci proverà. Come, speriamo, qualcuno proverà anche l’altra strada, con il disinteresse totale per le followship prive di contenuto. L’Italia andata in Vacchi potrebbe anche risvegliarsi o continuare tranquillamente a svaccare facendo però anche altro, followship e consenso politico potrebbero non escludersi, camminare insieme, diventare amici.

   

Tutto ci viene spiegato dai calciatori. Intanto diamo una guardata non tanto all’esercito impressionante dei seguaci ma alla sparuta pattuglia dei seguìti da Vacchi. L’unico in comune con chi scrive è il massimo dello snobismo (ma almeno lo ho intervistato) ed è il padrone di casa, il fondatore di Instagram, Kevin Systrom. Tolto lui ne restano 138, tra cui qualche musicista, qualche donna bellissima, una scelta molto limitata tra designer, architetti, esperti di marketing. E soprattutto tanti calciatori. Allora, senza sembrare affetti da classismo d’antan, però possiamo dire oggettivamente che Vacchi appartiene a un mondo, fatto da un certo livello patrimoniale e adeguate responsabilità pubbliche, che, normalmente, i calciatori li ingaggia, li valuta, li manda via se non li ritiene più adatti al progetto. Vacchi Gianluca, invece, fa tutt’altro: lui i calciatori li frequenta. Niente di male, ovviamente. Ci mancherebbe altro. Ma la notazione di costume resta interessante e segnala un comportamento del tutto innovativo. Evidentemente legato al fatto che, diversamente dalla quasi totalità del resto del paese, a Vacchi del calcio (giocato e pure parlato) non frega assolutamente niente. Lui si interessa, pubblicamente almeno, non del calcio (interesse che lo renderebbe freddo, duro, calcolatore, antipatico) ma dei calciatori e nel loro aspetto glamour. Nulla di divisivo, tanto di divertente. Compreso l’accesso alla riserva di fanciulle in fiore che girano attorno al calciatore. Qui sta il punto qualificante che fa della followship una forza difficile da domare, anche del calcio, terribile passione nazionale, riesce a prendere solo la parte che può, senza eccessivi problemi, diventare oggetto dell’invidia sana e non rancorosa di cui sopra. Anche di fronte agli ingaggi milionari e ai cambi di casacca: cose che indignano ma di cui, secolarmente, poi si prende atto, sentendosi, anzi, un po’ più uomini di mondo (risultato ottenuto, tra l’altro, senza sforzo alcuno). E si chiacchiera di milionate a decine con scioltezza, come si valutano con comprensione e rispetto le spese quotidiane del Vacchi.

  

Disintermediati e scontenti attendiamo, anzi confidiamo, di sentire “Viento” in qualche lounge bar, come abbiamo testimoniato dell’uscita, per Mondadori, nel 2016, del suo primo libro, “Enjoy”, una specie di autobiografia,con racconti esemplari, in cui promette perfino ironia (non ravvisata però dal lettore medio). E’ il nostro re dei social, ha capitalizzato il suo straordinario patrimonio relazionale (così disse lui stesso, raccontando del debutto su Instagram). Ma sa che i re, secondo le migliori tradizioni, non governano. Ah, intanto il Pulcino Pio ha superato il miliardo di clic.

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