Paul Scalia (foto tratta da Pinterest)

“Viviamo in un mondo senza verità"

Matteo Matzuzzi

Colloquio con padre Paul Scalia, figlio del giudice della Corte suprema degli Stati Uniti. “Oggi può essere più facile parlare di fede a chi sta fuori dalla chiesa”

Paul Scalia è un prete cattolico di quarantasei anni, vicario episcopale della diocesi di Arlington (Virginia) per il clero. Prete che si occupa di preti, insomma. Con quella particolare cura e devozione che di certo gli ha insegnato suo padre, Antonin Scalia, scomparso nel febbraio dello scorso anno e per trent’anni giudice associato della Corte suprema degli Stati Uniti. Padre Scalia ha da poco scritto un libro, That Nothing may be lost. Reflections on CatholicDoctrine and Devotion (Ignatius Press), ed è di questo che parla con il Foglio, riflettendo sullo spirito del tempo al di qua e al di là dell’oceano, tra la secolarizzazione ormai affermata e quelle arche (o ridotte, dipende da quale prospettiva si scelga) che cercano di preservare una base valoriale e identitaria cristiana sperando in un futuro più roseo.

 

Abbiamo tanta “fame spirituale”, dice subito quasi a premessa della conversazione. Scalia ci riflette su un bel po’ nel libro e comunque chiarisce che “ogni èra ha provato fame spirituale, perché è Dio stesso che ha creato in noi un desiderio per lui. E se noi non abbiamo fame spirituale, significa che c’è qualcosa di terribilmente sbagliato. In passato, questo desiderio è stato riconosciuto e soddisfatto dalla religione (anche se l’uomo si è comportato talvolta in modo agghiacciante e malvagio). Ciò che rende la nostra epoca diversa – dice – è l’irreligiosità e il fastidio dell’occidente per quella fame”. Negare o solo minimizzare questa fame spirituale “semplicemente rende più sensibili alle false soluzioni. La persona che è ‘spirituale ma non religiosa’ (come si dice negli Stati Uniti) è come un missile non guidato. Ha sì un profondo desiderio per l’eterno, ma siccome questa voglia non è legata a qualcosa di certo e di vero, va rapidamente in disgrazia e si fissa sulle soluzioni mondane, cioè sui falsi dèi”. Il che appare evidente nelle nostre società, un po’ per l’imbarbarimento collettivo e un po’ per quel crollo delle evidenze che qualche giorno fa sempre sul Foglio metteva in risalto il cardinale Robert Sarah.

 

Chi si dice "spirituale ma non religioso" è come un missile non guidato. Ha un desiderio per l'eterno ma si fissa sulle soluzioni mondane

Attenzione però alle troppe generalizzazioni, visto che il rischio di scadere nella banalità è alto. Secondo Scalia, “il nostro desiderio spirituale non è stato eliminato, bensì annacquato, deviato nelle perenni e false promesse mondane di popolarità, piacere e potere. Il fenomeno dei social media ha rivelato il profondo desiderio umano di connettersi, di stare in contatto con gli altri per essere amati. Ma questi stessi mezzi – come molti stanno scoprendo – attaccano la capacità di soddisfare quel desiderio”. Il problema, così sottovalutato, è che “cerchiamo il superficiale, le relazioni virtuali anziché la verità”. E poi, “l’occidente è diventato anche vittima della propria prosperità”, sottolinea Scalia, nelle cui parole però non s’intravede mai quella cedevolezza alla facile demagogia sulle colpe del ricco Epulone euro-americano che annichilirebbe il resto del globo. Guardiamo la faccenda da un piano più elevato: “Vivere nella cultura più prospera che il mondo abbia mai visto ci porta a pensare che la vita sia piacevole, che il lavoro e la sofferenza siano necessari per evitare a tutti i costi le cose poco piacevoli. Il nostro obiettivo è di avere una vita senza preoccupazioni, ma questa strada conduce solo all’immaturità”. Inoltre, la sofferenza resta, magari non urlata né esibita, “e di fronte alla sofferenza non abbiamo alcuna soluzione se non quella di liberarci di ciò che la determina, per esempio l’aborto o l’eutanasia. Siamo quindi alla cultura dello scarto, di cui parla Papa Francesco. E, come sempre, siamo tentati dall’avere più potere, di diventare come divinità. I politici e gli economisti rivestono un ruolo di tutto rilievo in occidente, mentre la fede e la famiglia si sono ritirate. Avendo messo da parte la verità divina e l’eternità, versiamo le nostre energie nelle preoccupazioni mondiali della politica e dell’economia, cercando di trovare soddisfazione e salvezza in questi ambiti”.

 

Ecco il punto, dunque: “La nostra fuga dalla fame spirituale – con tutti i pericoli che ne derivano – trova origine nella nostra irreligiosità. Il Padre desidera coloro che lo adoreranno ‘nello spirito e nella verità’ (Giovanni 4:23)”. Ci si dimentica spesso, dice Scalia, che “la parola religione deriva dal verbo latino religare, che significa legare. La vera religione ci lega al divino. La sua fede e le sue pratiche cercano di non limitarci o confinarci in qualche ambito, ma di conformarci alla verità e quindi di guidare il nostro desiderio spirituale. La vera religione dà una direzione e un chiaro scopo a quel desiderio che è in noi. Senza di essa, siamo ancora preda dei falsi idoli”.

 

"Noi oggi viviamo in una cultura che non pensa neppure che ci sia una verità riguardo alla persona umana"

Insomma, parrebbe che essere cristiani oggi sia questione un po’ complessa e Scalia osserva che “è sempre difficile essere cristiani. Noi seguiamo colui che ci ha chiesto di negare noi stessi, di prendere la croce e di seguirlo. Non c’è niente di facile in questo. Oggi, tuttavia, sempre di più ai cristiani non è permesso seguirlo in libertà. Il Santo Padre ha richiamato l’attenzione sui cristiani perseguitati nel mondo. In medio oriente vediamo la violenta persecuzione dei cristiani per mano dello Stato islamico e di altri gruppi islamici”. Eppure, la persecuzione è presente anche in occidente, in una “forma morbida. La nostra prima difficoltà – dice – è la scomparsa del sostegno culturale e giuridico esterno alla vita cristiana. Noi non viviamo più in una cultura che condivide il nostro modo di comprendere la persona umana; di più, non pensa neppure che ci sia una verità riguardo alla persona umana. Aderire alla verità dell’uomo, la verità che Cristo rivela completamente, diventa così sempre più difficile in tale contesto culturale. Forse non si impedirà di vivere la fede cattolica con la violenza, ma quel modo di vivere sarà contrastato dall’atteggiamento culturale e, talvolta, da azioni legali”. Una persecuzione morbida appunto, che ha nel campo della sessualità umana il suo punto di maggiore frizione, sostiene padre Paul. “I cristiani sono sempre di più etichettati come intolleranti e bigotti perché proclamano la verità e lo scopo della sessualità umana. C’è una pressione crescente sui cristiani affinché affermino come buono ciò che in realtà danneggia la persona umana”. Eppure, osserva padre Scalia, questo non “è nulla di nuovo sotto il sole. Nel suo racconto sul martirio dei cristiani a Roma, Tacito li descrive come ‘nemici dell’umanità’. I primi cristiani rifiutarono di cedere all’immoralità dell’impero, si sono distinti per tale rifiuto e quindi sono divenuti facile bersaglio della persecuzione. E così accade oggi. Il cardinale Ratzinger una volta disse che il destino della chiesa è quello di essere esposta alla persecuzione. La nostra situazione, benché sia sempre più difficile, non dovrebbe traumatizzarci o sorprenderci. La chiesa deve sempre camminare sul sentiero del suo Salvatore”.

 

Citava Joseph Ratzinger, il nostro interlocutore, e il discorso cade sulla sfida portata dal relativismo, problema di non poco conto rispetto al nostro rapporto con la fede. Una questione che ha minato “senza dubbio” il senso religioso in occidente. “Il senso religioso richiede e cerca la verità oggettiva. Tutta la tradizione giudaico-cristiana presuppone che ci sia verità e che l’uomo, con il dono della ragione, la cerchi. Per millenni noi abbiamo pensato la religione come un modo per arrivare a – o meglio, per ricevere – la verità. Oggi noi respingiamo la verità e quindi la religione, considerandole ostacoli al vivere come noi vogliamo. Il relativismo – osserva padre Scalia – siccome rimuove la verità come principio di vita, riduce la religione a poco più d’un sentimento. La religione non ci connette a nulla di durevole e definitivo ma viene interpretata solo come noi desideriamo, niente di più. E questo crea un circolo vizioso, perché se la religione diventa sempre più sentimentale, sempre meno gente l’assocerà alla verità”. Ebbene, in questo relativismo, “la chiesa proclama la verità (non un’opinione o un sentimento) del Vangelo. Come aveva stabilito il Vaticano II e Giovanni Paolo II mai s’era stancato di ripetere, Cristo rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso. Se vogliamo conoscere noi stessi, la nostra origine, il nostro scopo e come vivere, necessitiamo della verità del Vangelo”.

 

“Il senso religioso cerca la verità. Noi respingiamo la verità e quindi la religione, considerandole ostacoli al vivere come noi vogliamo”

Ma allora non è che oggi, dato tale contesto, risulta paradossalmente più facile parlare di fede, speranza e carità con chi sta al di fuori della chiesa? “E’ una teoria che non ho sentito, però potrebbe esserci in essa una certa verità. Chi fa parte della chiesa è sempre sottoposto al rischio di compiacersi. E’ un pericolo che non è nuovo. San Paolo – dice padre Scalia – mise in guardia i Corinzi sulla stessa cosa. La nuova evangelizzazione cerca di risolvere questo problema riproponendo la fede a coloro che hanno già ricevuto il Vangelo.

 

A ogni modo, “l’accuratezza di questa teoria dipende da quelli che sono extra ecclesiam”, chiarisce il nostro interlocutore. “Certamente molti provengono da una posizione radicalmente contraria al Vangelo al punto che una discussione con queste persone risulta difficile”. Ma potrebbe anche verificarsi la circostanza opposta. Ricorda a tal proposito padre Paul di un dialogo che ebbe anni fa con un gruppo di studenti di una scuola superiore sul tema della chiesa cattolica. “Gli studenti erano di tutte le fedi, alcuni non avevano alcuna fede. Durante il tempo delle domande e delle risposte, una ragazza disse ‘Io sento dire che la chiesa cattolica insegna cose contro la contraccezione. E’ vero?’ Quando io risposi che sì, era vero, lei in modo abbastanza innocente e franco chiese perché. Era attenta mentre io spiegavo l’insegnamento della chiesa; era aperta alla risposta perché non aveva pregiudizi o nozioni preconcette circa la fede”.

 

E’ più facile parlare di fede, carità e speranza a chi sta fuori dalla chiesa? “Può esserci del vero in questa teoria”

E allora c’è da chiedersi anche se col tempo non sia passata, pure tra i cristiani un’idea di libertà un po’ naïf, adattata alle circostanze personali, senza criteri fissi a definirne il senso, perdendo di vista il significato più profondo. “Più che la mia opinione, a contare è l’insegnamento del santo Papa Giovanni Paolo II e del Papa emerito Benedetto. Entrambi hanno trascorso il loro pontificato tentando di correggere il significato corrente che si dà della libertà come ‘privilegio’. In uno dei suoi più importanti documenti, Veritatis splendor, Giovanni Paolo II affronta il tema in modo diretto e profondo. Ancora, questo problema dipende dal fatto se noi crediamo – o no – in una verità oggettiva circa la persona umana. Se non crediamo, la libertà diventa la capacità di fare tutto quello che vogliamo. E se non esiste alcuna verità su chi siamo, allora non c’è per noi alcuno scopo e nulla a cui dobbiamo conformarci. Se invece, come la chiesa insegna, c’è una verità circa la persona umana – una verità totalmente rivelata in Cristo – allora essere liberi significa vivere quella verità in tutta la sua pienezza”.

 

C’è un riferimento che padre Scalia vuole riprendere, e risale all’ultimo discorso alla curia romana tenuto da Benedetto XVI, nel dicembre del 2012. Il Papa oggi emerito “puntò al cuore di tale questione nel suo modo originale”. “Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé – disse Ratzinger – si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere”. Quindi, prosegue Scalia, “l’errato concetto di libertà ha tutto a che fare con un mal compreso concetto di chi noi siamo. Se noi siamo creati da Dio con una natura umana definita e con uno scopo – se noi riceviamo noi stessi da Dio – allora troviamo la libertà per accettare quella verità. Se, come gran parte dell’occidente pensa, non c’è alcuna oggettiva verità per quanto riguarda noi, allora libertà significa solo l’abilità di creare noi stessi e determinare ogni cosa circa noi stessi, incluso il nostro genere. E quindi la verità diventa un ostacolo alla libertà e alla gioia”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.