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Il diavolo veste Isis

Matteo Matzuzzi

Ricordate il “mysterium iniquitatis” di san Paolo? Oggi il Male, ridotto quasi a un’esercitazione sociologica, non è più al centro della dottrina cristiana. Ma le persecuzioni ce lo ricordano col sangue

“Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa? Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio. Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa”

Paolo VI, 1972

 

 

Dove siamo? Dov’è quella libertà che ci ha liberato dal male?”, si domandava padre Samir Youssef, della diocesi di Zakho, nell’Iraq settentrionale, guardando le macerie, spirituali e materiali, causate dall’avanzata mortifera dei combattenti jihadisti, pronti a sacrificarsi per la folle causa del Califfato nero. La risposta che si dava il sacerdote, scorrendo il martirologio presente, guardando le chiese profanate e bruciate, i cimiteri devastati, le case segnate con l’infamante marchio identificativo di nazareno, era semplice: alzare gli occhi al Cielo, santificare il nome di Dio. Affidarsi totalmente a lui. Non è retorica facile o sentimentalismo posticcio. Si ricordi ciò che diceva tempo fa padre Ibrahim Alsabagh, il parroco latino di Aleppo, lieto perché a ogni attentato, a ogni bomba scaraventata sulla cupola della cattedrale, i banchi lì sotto si riempivano, le messe erano partecipate di vecchi e bambini. Perché nella persecuzione, la fede aumenta, non diminuisce. Davanti al male, si guarda alla presenza divina. Si pensi ai capolavori della grande letteratura russa, si vada con la memoria a Dostoevskij, da Il Sosia a Delitto e Castigo, fino ai Fratelli Karamazov. Il male che è presente nell’uomo, che diventa autodistruzione, che lo porta a sdoppiare il proprio Io.

 

La lezione di Dostoevskij, la testimonianza di Aleppo, le storie dall'Iraq. E l'eterna domanda sul perché il Male esista

La persecuzione, però, non basta a spiegare cos’è il male, neppure nell’accezione che ne dà il cristianesimo. Il mysterium iniquitatis, il mistero del male nel mondo, lo dice la parola stessa, è appunto un mistero. Profondo e inaccessibile. E’ la domanda umanissima che va avanti fin dall’inizio dei tempi, fin da quando l’uomo ha alzato gli occhi al Cielo, non vedendo solo kantianamente il cielo stellato, ma andando oltre, abbracciando l’immensità della volta celeste e sentendo accanto a sé una presenza. Che fossero gli déi, un antenato o il Redentore, comunque la domanda disperata era la medesima: perché c’è il Male? E poi, perché Dio permette che ci sia il Male?

 

Elie Wiesel era giunto alla conclusione che no, qualcosa di terribile era accaduto perché Dio, l’onnipotente, mai avrebbe potuto permettere Auschwitz. Uno scandalo teologico, lo definì il futuro Premio Nobel, che su quell’assenza si sarebbe interrogato per il resto della vita, tutt’altro che rassegnato. Un’ossessione che sfocia nel Processo di Shamgorod, capolavoro in cui il mondo è vinto dall’ingiustizia, dove di Dio non v’è traccia e all’uomo non resta altro che chiedersi perché il male abbia pervaso ogni spazio.

 

"La sonnolenza dei discepoli lungo la storia è una certa insensibilità dell'anima per il potere del male", disse Benedetto XVI

Trent’anni fa, al tema dedicò un ciclo di catechesi Giovanni Paolo II. “Non dimentichiamo che il peccato in se stesso è un mistero di iniquità, il cui inizio nella storia, e anche il successivo sviluppo, non possono essere compresi appieno senza riferimento al mistero di Dio-Creatore, e in particolare del Creatore degli esseri che sono fatti a immagine e somiglianza di lui”, disse il Papa polacco. Molti anni prima, con la sua consueta sublime prosa, Paolo VI esordì con un chiaro e limpido “Liberaci dal male”, aprendo l’udienza generale del 15 novembre 1972. “Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa? Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio”, spiegò Montini, prevedendo il fumo di Satana insinuarsi nella casa di Dio, come avrebbe detto più tardi, in uno dei più drammatici discorsi del pontificato. Un “problema ossessionante”, se “visto nella sua complessità e nella sua assurdità rispetto alla nostra unilaterale razionalità”. “Nulla – aggiungeva Paolo VI – ci importano le deficienze che sono nel mondo? le disfunzioni delle cose rispetto alla nostra esistenza? il dolore, la morte? la cattiveria, la crudeltà, il peccato, in una parola, il male? e non vediamo quanto male è nel mondo? specialmente, quanto male morale, cioè simultaneamente, sebbene diversamente, contro l’uomo e contro Dio? Non è forse questo un triste spettacolo, un inesplicabile mistero?”. Un mistero con sembianze certe, il Demonio appunto: “Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa”.

 

Papa Francesco, nella catechesi del 16 aprile del 2014, sottolineò che “guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte. Tante volte – aggiungeva – avvertiamo orrore per il male e il dolore che ci circonda e ci chiediamo: perché Dio lo permette?. E’ una profonda ferita per noi vedere la sofferenza e la morte, specialmente quella degli innocenti! Quando vediamo soffrire i bambini è una ferita al cuore: è il mistero del male”. Ma è il successivo passaggio pronunciato dal Papa che corrisponde a quel dolore lancinante che perseguitò Wiesel per tutta la vita: “Noi – osservava Bergoglio – attendiamo che Dio nella sua onnipotenza sconfigga l’ingiustizia, il male, il peccato e la sofferenza con una vittoria divina trionfante. Dio ci mostra invece una vittoria umile che umanamente sembra un fallimento. Possiamo dire che Dio vince nel fallimento! Il Figlio di Dio, infatti, appare sulla croce come uomo sconfitto: patisce, è tradito, è vilipeso e infine muore. Ma Gesù permette che il male si accanisca su di Lui e lo prende su di sé per vincerlo. La sua passione non è un incidente; la sua morte – quella morte – era scritta. Davvero non troviamo tante spiegazioni. Si tratta di un mistero sconcertante”.

 

"Il tallone d'Achille della fede cristiana", la negazione di Dio come rapida soluzione al problema che interrogò san Tommaso

Il teologo calvinista Robert Charles Sproul l’ha definito “il tallone d’Achille della fede cristiana”. Il “classico problema dell’esistenza del male”. Se il male esiste, Dio non esiste. O, quantomeno, non è onnipotente né buono e amorevole, come scrisse John Stuart Mill. Vecchia storia, il problema – per riprendere la definizione di Montini – tormentava sant’Agostino e Tommaso d’Aquino ci scrisse in abbondanza. Tutto ruotava sempre attorno allo stesso perno: come può Dio permettere il Male? La questione andrebbe forse vista da un’altra prospettiva. 20 aprile 2011, udienza generale del Venerdì Santo. Benedetto XVI riflette sulla “grande angoscia” patita da Gesù mentre sentiva “la vicinanza della morte”. “In questa situazione – disse Ratzinger – appare anche un elemento di grande importanza per tutta la chiesa. Gesù dice ai suoi: rimanete qui e vigilate; e questo appello alla vigilanza concerne proprio questo momento di angoscia, di minaccia, nella quale arriverà il traditore, ma concerne tutta la storia della chiesa”. Ecco, questo è “un messaggio permanente per tutti i tempi, perché la sonnolenza dei discepoli era non solo il problema di quel momento, ma è il problema di tutta la storia”. Ma in cosa consiste questa sonnolenza? Proseguiva Benedetto XVI: “Direi che la sonnolenza dei discepoli lungo la storia è una certa insensibilità dell’anima per il potere del male, un’insensibilità per tutto il male del mondo. Noi non vogliamo lasciarci turbare troppo da queste cose, vogliamo dimenticarle. Pensiamo che forse non sarà così grave, e dimentichiamo”.

 

Si tratta di qualcosa di profondo, perché “non è soltanto insensibilità per il male”, ma è “insensibilità per Dio: questa è la nostra vera sonnolenza”, notava Joseph Ratzinger. “Questa insensibilità per la presenza di Dio che ci rende insensibili anche per il male. Non sentiamo Dio e così non sentiamo anche la forza del male”. Eccolo, “il dramma dell’umanità”. L’uomo contemporaneo ha sviluppato all’ennesima potenza tale rapporto di causa-effetto, e lo scriveva lo stesso Sproul: uno può anche considerare il problema del male, ma prima deve dare per acclarata l’esistenza del bene. E senza Dio, non c’è bene.

 

Il "liberaci dal male" di Paolo VI, il monito di Francesco a quei preti "che parlano di malattie psichiche e non di Satana"

Oggi, anziché elaborare questo passaggio, si risolve la questione negando l’esistenza di Dio e – allo stesso tempo – il male. Si preferisce, semmai, parlare di circostanze sfortunate, o magari di destino. Quella presenza, quell’essere “vivo e spirituale, pervertito e pervertitore” che Paolo VI chiamò demonio, altro non è che una metafora, un simbolo, un’allegoria. Il preposito generale gesuita, padre Arturo Sosa Abascal, l’ha detto in una recente intervista al quotidiano spagnolo Mundo: “Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male. Anche i condizionamenti sociali rappresentano questa figura, ci sono persone che si comportano così perché c’è un ambiente dove è molto difficile fare il contrario”. Insomma, della vexata quaestio teologica poche tracce, molte analisi sociologiche, oggi di gran moda nella chiesa. Aggiungeva, Sosa, che il male fa parte del mistero della libertà. Se l’essere umano è libero, può scegliere tra il bene e il male. Noi cristiani crediamo che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, per cui Dio è libero, ma Dio sempre sceglie di fare il bene perché è tutto bontà”.

 

Francesco, pure lui soldato d’Ignazio, che negli Esercizi alla presenza viva del tentatore dedica frasi chiarissime e tutt’altro che ambigue, presenta il tentatore come essere vivissimo, presenza reale: “Ci sono alcuni preti che quando leggono questo brano del Vangelo, questo e altri, dicono ‘Ma Gesù ha guarito una persona da una malattia psichica’. E’ vero che in quel tempo si poteva confondere un’epilessia con la possessione del demonio, ma è anche vero che c’era il demonio! E noi non abbiamo diritto di fare tanto semplice la cosa, come per dire ‘tutti questi non erano indemoniati; erano malati psichici’. No! La presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio”. Lo sa bene padre Abuna Nirwan, francescano iracheno che nell’inferno del suo paese, dieci anni fa esatti, fece esperienza di quel male. Un auto in viaggio lungo le strade infestate da bombe e terroristi, un blocco. Due uomini a volto coperto costringono il sacerdote e i suoi accompagnatori a scendere. Uno aveva una telecamera in mano e un coltello nell’altra. L’altro, il Corano. Il ragazzo che viaggiava con padre Abuna fu subito ucciso. “Mi hanno legato le mani e mi hanno detto che stavano registrando un video per al Jazeera. Mi hanno chiesto se volessi dire qualcosa. Ho risposto di no, che volevo solo pregare. Mi hanno fatto cadere in ginocchio. Uno dei due uomini mi ha detto che ero un sacerdote e che il mio sangue non poteva cadere a terra, perché sarebbe stato un sacrilegio. E’ andato a prendere un secchio ed è tornato per sgozzarmi. Mi ha afferrato la testa, mi ha tenuto la spalla e ha alzato il coltello”. Ma non accadeva nulla. “Dopo un po’ mi ha chiesto chi fossi. Io ho risposto che ero un frate. Lui: ‘Perché non riesco ad abbassare il coltello?’. Quindi mi ha lasciato andare”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.