Benedetto XVI a un concerto di musica sacra (foto LaPresse)

Playlist papali

Mario Leone

Francesco, la milonga e un intimo culto per l’opera. Da Gregorio Magno a Benedetto XVI, gusti e passioni musicali dei Pontefici

Stanza delle udienze papali. Su un vecchio Stereorama 2000 DeLuxe con amplificatore integrato e cambiadischi, un 45 giri che Lenny Belardo, oramai Papa Pio XIII, propone alle orecchie dei suoi silenziosi e straniti ospiti. Fluttuano nell’aria le note di “Senza un perché“ di Nada, dono del primo ministro della Groenlandia. Il Lenny Belardo, alias Papa Pio XIII, del regista Sorrentino è un papa young, dagli occhi abbacinati, che ha strappato consensi planetari. A dispetto dell’età il Papa disegnato da Sorrentino, fumatore, irriverente, a tratti luciferino, è tutto fuorché debole, ha gusti musicali ben delineati che sono poi quelli dello stesso regista: il post rock dei Labradford, il rock made in Paris degli M83, l’elettronica, sempre parigina, dei Daft Punk, e le note di Mina, quest’ultima quale esempio di fama e invisibilità. Pio XIII gira per i corridoi vaticani sulle note della chitarra psichedelica di Watchtower di Jimi Hendrix e, meditabondo e inaccessibile, aspira lentamente le sue amate sigarette e guarda “X-Factor”. Sorrentino, unico e geniale nel suo tratto, propone un modello di successore di Pietro irreale, anche nei gusti musicali. Dubito che tra le logge vaticane e a Santa Marta risuonino le note di Hendrix o l’elettronica dei Daft. Forse nelle segrete cuffiette di qualche giovane prelato ci potranno essere gli assoli di Roger Waters; ma di sicuro la playlist del Papa interpretato da Jude Law non penso si possa trovare sulle frequenze di Radio Vaticana. Eppure i gusti e l’amore per la musica dei successori di Pietro sono argomento sempre vivo entro le Sacre mura. Eccone un breve excursus, o – come forse direbbe Pio XIII – un medley.

 

Anche nella finzione:
il Pio XIII di Sorrentino che fa ascoltare Nada
ai suoi ospiti.
Il gregoriano
per preservare
la purezza del canto

Gregorio Magno è il primo Pontefice con il quale la questione musicale si fa centrale. Sua la paternità di quella raccolta oggi conosciuta come gregoriano, tentativo di riordinare il repertorio liturgico e preservare la purezza del canto dall’avvento del volgare e di accenti profani. Gregorio Magno aveva ottime conoscenze musicali che lo portarono a radunare, in una specie di summa, tutto il materiale esistente. Nacque così l’Antiphonarius Cento, poi perso durante le invasioni barbariche. Non solo. Si distingueva come discreto compositore. Dalla sua mano fiorirono nuove opere che arricchirono il già fiorente catalogo. Più avanti, nel XVI e XVII secolo, papi e cardinali assumono i maggiori musicisti d’Europa, in particolare quelli legati alla polifonia classica rinascimentale. Scorrendo i secoli, come non ricordare l’amore per la cultura di Pio VI e ancor più famoso l’operato di Pio X che, oltre ad avere approfondita conoscenza e naturale predisposizione per la musica, in particolare quella sacra, si mostrò sempre attento a tutte le novità in ambito musicale. Suo il Motu Proprio sulla musica sacra, che emanò il 22 novembre 1903, tutt’ora punto di riferimento (poco seguito o seguito faziosamente) nella chiesa universale.

 

Pio XII da ragazzo aveva studiato violino. Ammaliato dalla voce
di Maria Callas,
che riuscì a incontrare dopo molte peripezie

A mostrare un interesse anche più “mondano” per la musica fu Pio XII. Papa Pacelli, da ragazzo, aveva studiato lungamente il violino. L’amore per la musica s’incarnava in un volto, quello di Maria Callas, che pur dopo molte peripezie riuscì a incontrare. Umorale, forastica o eccessivamente diva, non era semplice da avvicinare. Commosso dall’interpretazione della cantante in Parsifal, Pio XII chiese alla sua segreteria di contattare l’artista per incontrarla e complimentarsi di persona. L’orgoglio della cantante, da sempre legata alla religione ortodossa e non disponibile ad avvicinare il capo della Chiesa cattolica, fece saltare l’appuntamento, addirittura senza preavviso. Il mite Pacelli non si diede per vinto e ripropose l’invito nella primavera successiva. I due si incontrarono, ma non fu tutto rose e fiori: quando Pio XII chiese ragione di un Parsifal cantato nella versione con testo italiano la Callas rimbrottò spigolosa che l’italiano è lingua del canto e la musica di Wagner non perdeva nulla, pur accompagnando un testo tradotto.

 

Quando si parla di musica e pontefici s’impone la presenza di Benedetto XVI. Tanto è stato scritto sul suo amore per l’arte dei sette suoni. Molto più che una passione, una conoscenza approfondita che ha origini lontane. Lo studio del pianoforte, l’ascolto di generi ed esecuzioni diverse, la lettura di testi anche musicologici. Una passione personale divenuta punto focale anche del suo programma pastorale come Papa. Da un lato l’attenzione alla qualità del repertorio proposto nelle liturgie in tutta la chiesa universale (leggere per capire il volume Lodate Dio con arte, Marcianum Press), dall’altro l’invito accorato a vivere la bellezza e a non perdere occasione per parlarne e goderne. La musica con la sua vibrazione può diventare un punto per raggiungere e incontrare le persone, anche le più lontane per esperienza e cultura. Si pensi ai numerosi esponenti del mondo culturale e musicale visti e ospitati, ai tantissimi concerti a cui ha partecipato e ai discorsi che ne sono seguiti. Pagine memorabili per bellezza e profondità di giudizio che negli anni gli hanno procurato, oltre alla stima di tutti i più grandi musicisti del panorama mondiale (Riccardo Muti, Daniel Barenboim, Zubin Mehta ecc.), una laurea honoris causa dell’Accademia di Musica di Cracovia.

 

Nell'esigenza intrinseca di parlare con Dio, l'origine della musica occidentale
per Ratzinger.
La sedia nell'aula
Paolo VI

Benedetto XVI si inserisce nell’alveo di un altro Papa-artista: san Giovanni Paolo II. Amante del teatro, sensibile alla poesia e ricercatore della bellezza. Magistrale in tal senso la lettera agli artisti dell’aprile 1999, documento unico nella storia di un pontificato e destinato a quanti sono convinti che la bellezza sia “un invito a gustare la vita e a sognare il futuro”. Giovanni Paolo II e ancor più Papa Benedetto si battono per vincere quella frattura tra estetica ed etica, dimostrando come “una ragione che volesse spogliarsi della bellezza risulterebbe dimezzata, come anche una bellezza priva di ragione si ridurrebbe a una maschera vuota e illusoria”. (Messaggio di Benedetto XVI al presidente del Pontificio consiglio della cultura, 24 novembre 2008). Benedetto XVI poi è stato il primo a indicare esplicitamente, con il discorso al mondo della cultura francese tenuto al Collège des Bernardins nel 2008, dove risiedesse l’origine della musica occidentale: nell’esigenza intrinseca di parlare con Dio e cantarlo con le parole donate da Lui stesso.

 

E Papa Francesco? Tutto nasce da due particolari: una bocca chiusa e una sedia vuota. E’ domenica 17 marzo 2013. Piazza San Pietro è stracolma per il primo Angelus del nuovo Pontefice. Recitata la preghiera, tutti attendono la consueta benedizione intonata. Nulla, tutto parlato. E poi il “buon pranzo” augurato a una folla festante. In tutte le celebrazioni Francesco non intonerà mai nulla. La spiegazione arriverà qualche tempo dopo parlando ai pueri cantores raccolti in udienza: “Mi piace sentire cantare ma se io cantassi sembrerei un asino”. Maggiore risalto ebbe la sedia vuota del 25 giugno 2013. Per le celebrazioni dell’Anno della fede l’Orchestra della Rai di Torino è invitata nell’aula Paolo VI per un concerto diretto da Juraj Valcuha. Su quella sedia il Pontefice non sederà. Una scelta improvvisa che in pochi minuti fa il giro del pianeta. Da un lato l’imbarazzo della Curia, dall’altro le voci incontrollate che già parlano di gravi dissidi tra il Papa e il clero romano. Altri trovano in quell’assenza la prova provata che lo spessore musicale di Papa Francesco non sia paragonabile a quello di Benedetto. Ma è proprio così? Facciamo un passo indietro.

 

Il soprano argentino Haydée Dabusti
al Foglio: "Il cardinale Bergoglio assisteva
alle nostre prove
in un angolo
e ci dava consigli"

Regina Maria Sivori è una casalinga con la passione per l’opera. Ogni sabato pomeriggio, terminato il pranzo, raduna di fronte a una vecchia radio a transistor i suoi cinque figli per ascoltare insieme una trasmissione dedicata al bel canto. La musica si libra un po’ metallica dagli altoparlanti e Jorge Mario, il più grande dei cinque, è rapito da quell’ineludibile appuntamento settimanale. Da questa radio, da quella mamma e dall’opera nasce la passione per la musica di Francesco. Una passione, timidamente celata, per tutta la musica, sinfonica, da camera ma soprattutto lirica: Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni con quella fede popolare così presente nella partitura, Aida, Norma. Cita la Turandot, Francesco, quando deve spiegare che cosa sia la speranza cristiana la quale “non è un fantasma e non inganna”. Ascolta la Tetralogia dell’anello ma nella versione di Furtwängler alla Scala nel ’50: di Richard Wagner Francesco apprezza il carattere sinfonico del canto, per quanto molti aspetti della sua opera non collimino con la visione cristiana. Invece del direttore tedesco ripete: “E’ il più geniale direttore tedesco, il miglior conoscitore di Beethoven e Wagner". Ama Mozart “ovviamente” (tiene a precisare). “Quell’Et incarnatus est della sua Messa in do minore è insuperabile: ti porta a Dio!”. Nelle orecchie di Francesco son risuonati anche i ritmi tangheri sui quali un Bergoglio molto giovane accennava schivo qualche passo di danza con tra le braccia la “fidanzatina del gruppo del ballo”. “E’ una cosa che mi nasce da dentro”. Del tango (soprattutto quello delle origini, la milonga, del periodo della “vecchia guardia”) Francesco ama il carattere popolare, l’aspetto sanguigno e passionale. Ma anche il suo ritmo fatto di accenti spostati e numerosi momenti improvvisativi. Insomma il 266° successore di Pietro sembra tutt’altro che sprovveduto nell’arte delle sette note. Il soprano argentino Haydée Dabusti, ne è testimone. E’ il 25 marzo 2003 e come ogni anno la Cattedrale di Buenos Aires ospita le celebrazioni per l’Immacolata Vergine. Il cardinal Bergoglio sfila lungo la navata centrale, elevando il quadro di Maria. Il passo, come adesso, un po’ incerto, è accompagnato dall’intonazione dell’Ave Maria di Franz Schubert e dal silenzio devoto dei fedeli che riempiono le altre navate. Haydée, sul coro della cattedrale, intona la melodia. Ha da pochi anni ripreso la sua carriera come cantante lirica. La morte sotto i suoi occhi del giovane marito aveva segnato la fine di ogni esperienza musicale. “Non avevo più risorse morali per continuare a fare musica e ho aperto un negozio di piante e fiori”, dice al Foglio. Eppure per la giovane Dabusti le condizioni per una promettente carriera sembrano esserci sin dal principio: ammessa nel coro di voci bianche del Teatro Colon, migliore allieva all’Accademia del Teatro Colon di Buenos Aires, primi ruoli già negli anni di formazione, interesse crescente del mondo musicale. Sedici anni di silenzio fino all’incontro con il secondo marito che la invita a riprendere lo studio del canto e in seguito l’amicizia con Bergoglio che le darà “le ragioni spirituali per riprendere a cantare”. Tra i due c’è subito intesa. Haydée cura vocalmente il coro della Cattedrale, organizza concerti e ha modo di vedere spesso il futuro Papa. “Assisteva alle nostre prove in un angolo in penombra, ci dava consigli ed era molto attento alla liturgia. Desiderava che alcuni brani del repertorio operistico fossero cantati durante le celebrazioni. A Pasqua per esempio, si intonava ‘Inneggiamo al Signor’ della Cavalleria rusticana”.

 

Nella stessa Cattedrale si organizzano concerti con orchestre e cori che vengono introdotti dalla voce affannosa del futuro pontefice. Bergoglio si interessa della vita di ciascun corista. Di tutti ricorda gli impegni, le problematiche e i progetti futuri. Anche a distanza di mesi il cardinale fa sentire la sua paternità. In particolare si affeziona ad Haydée e alla sua storia. La invita a cantare, andare avanti e donare il suo talento come le è stato donato da Dio. Così il soprano inizia a debuttare in molteplici ruoli, per lo stupore degli addetti ai lavori e la malcelata invidia di colleghi che non accettano l’inaspettato ritorno di una cantante ferma da sedici anni. Più di trenta ruoli ricoperti sino a oggi, tra le opere Traviata, Aida, Ballo in maschera, Norma. Proprio la Norma è una delle opere a cui Papa Francesco è più legato. “Quando ci vediamo a Roma (dal 2013 si sono incontrati ben sette volte) mi chiede se sto cantando Norma. E’ un’opera allo stesso tempo complicata e sublime che il Pontefice adora e conosce molto bene ritenendola la regina del repertorio belcantistico”. Come conosce molto bene alcune derive che si stanno prendendo all’interno della chiesa in materia di musica nella liturgia: le aperture alla musica rock e al pop per non parlare di fenomeni “musicali” in ambiti religiosi. Fratello Metallo, il gruppo peruviano le Siervas o Suor Cristina in Italia che durante le puntate di “The Voice” rivendicava un presunto, e mai verificato, appoggio papale. Francesco lo ha ribadito anche nel suo intervento al Convegno internazionale su "Musica e Chiesa": “La musica sacra ha il compito di donarci la bellezza di Dio, per questo non deve mai cadere in banalità e superficialità. Lo conferma Haydée. “Papa Francesco ascolta tutta la musica ed è sicuramente attento alle nuove forme musicali. Nell’ambito della liturgia però esige che la musica aiuti a pregare e non distragga”.

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