Per Rousseau, la democrazia è impossibile se non sotto le spoglie di adesione a una religione civile. Nella foto LaPresse, Beppe Grillo e Davide Casaleggio

Rousseau spiegato ai grillini

Antonio Gurrado

Le regole della democrazia. Perché il sistema operativo del M5s usa a sproposito il nome del filosofo

Ho studiato Rousseau. Intendo con questo sintagma francofono due concetti: sia l’illuminista ginevrino nato nel 1712 e morto nel 1778, sia il cosiddetto sistema operativo del Movimento 5 stelle, che virgoletterò per distinguerlo dal filosofo e non creare il minimo equivoco. Non c’è bisogno di essere specialisti di informatica per essere a conoscenza del fatto che “Rousseau” non sia propriamente un sistema operativo, già per il solo fatto che, per farlo funzionare, bisogna accedere a internet tramite un browser che a sua volta funziona su un altro sistema operativo. Quest’utilizzo confuso, se non ingannevole, di termini specifici conduce inevitabilmente a una domanda consequenziale: oltre a usurpare il nome di sistema operativo, il marchingegno escogitato dai grillini usurpa anche il nome del filosofo? “Rousseau” tenta surrettiziamente di farsi passare per Rousseau?

 

Il punto naturale da cui muovere l’indagine è la homepage dello pseudo-sistema operativo, dove si risponde alla domanda su cosa sia “Rousseau”. “I suoi obiettivi”, scrive l’anonimo estensore, “sono la gestione del M5s nelle sue varie componenti elettive e la partecipazione degli iscritti alla vita del M5s attraverso, ad esempio, la scrittura di leggi e il voto per la scelta delle liste elettorali o per dirimere posizioni all’interno del M5s”. Più nel dettaglio, “Rousseau” consente di partecipare alla stesura di leggi nazionali proposte dai parlamentari (funzione “Lex nazionale”) ovvero regionali o europee, proposte rispettivamente da consiglieri ed europarlamentari (funzione “Lex regionale” e “Lex Europa”); di pronunciarsi con un voto sulla formazione delle liste elettorali o su uno specifico tema di dibattito; di raccogliere fondi “per elezioni o eventi del M5s” o “a tutela legale del M5s o di suoi iscritti ed eletti”; di formulare leggi “che in seguito verranno presentate dagli eletti nelle diverse sedi” (funzione “Lex iscritti”); e infine di accedere a una piattaforma di e-learning e una di sharing (vulgo, qualche lezione e un archivio).

 

"Rousseau" consente di partecipare alla stesura di leggi proposte dai parlamentari, o di pronunciarsi sulle liste elettorali

Da queste righe introduttive “Rousseau” appare fatto per sopperire a un difetto della democrazia rappresentativa che Rousseau aveva individuato perfino nella più perfetta di quelle vigenti al suo tempo, l’Inghilterra; del popolo inglese, il filosofo pensava che fosse libero il giorno delle elezioni ma che, una volta insediati i suoi rappresentanti, diventasse “schiavo”, diventasse “niente”. “Rousseau” serve a rendere più liberi e importanti i cittadini per mezzo di un intervento diretto sulla gestione dell’attività dei rappresentanti eletti. Non a caso infatti le più rinomate e innovative funzioni di “Rousseau” sono quelle volte alla stesura e alla proposta di leggi, di cui gli eletti si fanno tramite ciascuno nella propria sede. A un occhio ingenuo può sembrare trattarsi di una maniera cool e 2.0 di rispolverare le un po’ patetiche leggi di iniziativa popolare per la cui insensatezza e indolenza gli italiani si sono distinti per sedici legislature. In realtà Rousseau avrebbe approvato. La sua più grande intuizione fu forse spostare il baricentro della filosofia politica dal potere esecutivo al potere legislativo, ovvero dalla potestà di applicare la legge alla potestà di plasmare la legge. “Rousseau” è il tentativo di tradurre informaticamente (non per nulla è un sistema operativo, no?) questa intuizione, seppur con qualche decisiva imprecisione formale (non per nulla si chiama sistema operativo senza esserlo, no?).

 

Dunque. Rousseau si colloca entro una tradizione contrattualistica alla quale possiamo ascrivere campioni come Hobbes e Locke. Caratterizza le teorie di Hobbes e Locke l’idea che la società civile sorga da uno stato di natura per mezzo di un accordo i cui contraenti cedano parte dei propri diritti allo scopo di consegnarli a qualcuno che li governi. In Hobbes si tratta di un sovrano rispetto al quale ogni altro cittadino è suddito, e che congloba la volontà di ciascuno; è colui che “ha tanta forza e potere da poter disciplinare, col terrore, la volontà di tutti in vista della pace interna”, come scrive nel “Leviatano”. In Locke si tratta di un potere civile il cui compito è di punire i trasgressori, evitando che i cittadini si facciano giustizia da sé, e garantendo al sovrano un margine di libertà d’azione detto “prerogativa”. Rousseau ricalibra i termini della questione introducendo una distinzione fondamentale fra “sovranità” e “governo”, che abitualmente venivano associati: alla sovranità spetta il potere legislativo, al governo quello esecutivo; la sovranità si identifica con l’intero corpo politico, mentre il governo è solo “un corpo intermedio stabilito tra i sudditi e la sovranità per la loro reciproca corrispondenza”.

 

Rousseau è fermamente contrario all'aristocrazia ereditaria, tramandata di padre in figlio, e ritiene primitiva l'aristocrazia naturale

In questo contesto, “Rousseau” fa bene a esortare i cittadini a stendere le leggi che gli eletti presenteranno nelle sedi competenti: sia perché il potere legislativo appartiene all’intero corpo politico (e non alla sola porzione di eletti dal popolo), sia perché al governo secondo Rousseau spetta incaricarsi esclusivamente della mera esecuzione delle leggi. Il governo è un tramite piuttosto diafano, una sorta di canale di scolo fra legislazione materiale e potere della sovranità. Il governo può essere di due tipi: tirannico, qualora abbia “interessi diversi e opposte volontà” rispetto al popolo; legittimo, qualora vi sia perfetta unità d’interessi fra il popolo e l’esecutivo. Sembra semplice, fino a che non sorge un dubbio: come si fa a misurare e stabilire l’interesse del popolo?

 

Per mezzo della volontà generale, che però non è l’unanimità né tanto meno il voto a maggioranza in base a cui si dirimono su “Rousseau” le diatribe interne al M5s. E’ un concetto piuttosto vago che deriva a Rousseau dal principio più terribile della sua teoria politica, ossia che la società politica nasca per mezzo della “alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità”. Così facendo ciascun associato “mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale”; che potremmo definire un vettore, sancito una volta per tutte, funzionale a imporre la direzione in cui dovranno andare tutte le leggi che verranno emanate nella società civile dalla sua costituzione al suo esaurimento. La volontà generale incarna il motivo e lo scopo per cui gli associati hanno alienato tutti i propri diritti per creare la sovranità.

 

E’ qui che la divergenza fra Rousseau e “Rousseau” sembra farsi insanabile. “Rousseau” annuncia adamantino che “solo gli iscritti al M5s possono accedere a Rousseau”; io in effetti ho tentato di accedere a “Rousseau” per proporre una legge che proibisca ai sistemi operativi di chiamarsi con nomi di filosofi a vanvera ma sono stato subitaneamente reindirizzato sul dominio www.movimento5stelle.it dove mi si è palesato un modulo da compilare per dichiarare la mia ferma volontà di iscrivermi al M5s. Una nota a margine spiega che detto Movimento “è una libera associazione di cittadini”; Rousseau potrebbe concordare, perché è la definizione che egli stesso darebbe alla società civile, sorta per contratto dallo stato di natura. La medesima nota seguita: “Vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi” (Rousseau o non Rousseau, sorprende che una libera associazione voglia collocarsi al di fuori di legami associativi) “e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo e di indirizzo normalmente attribuito a pochi”. Addio. Rousseau – basterebbe leggerlo – non intende riconoscere il ruolo di governo alla totalità dei cittadini, sia perché sarebbe materialmente complicato incaricare del potere esecutivo sessanta milioni di italiani, sia perché il governo deve limitarsi a fare da tramite con il corpo politico, non procedere all’identificazione mistica con esso.

 

La volontà generale non è l'unanimità né il voto a maggioranza con cui si dirimono su "Rousseau" le diatribe interne al M5s

Sorprende inoltre che, pur essendo “Rousseau” aperto solo agli iscritti al M5s, il M5s intenda sottrarre il potere esecutivo (qui confuso col legislativo) ai rappresentanti per consegnarlo alla totalità non degli iscritti ma dei cittadini. Significa o che l’obiettivo di “Rousseau” è far iscrivere al M5s tutti i cittadini o che il M5s riconosce come cittadini solo e soltanto i propri iscritti. Cosa c’è sotto? C’è sotto l’inconfessato peccato originale di “Rousseau”, ovvero l’implicita presa di coscienza che, per Rousseau, la democrazia è impossibile: per due motivi. Anzitutto perché è vero che nell’antica Grecia i cittadini avevano le ali ai piedi quando si trattava di correre a votare in assemblea e tralasciavano i propri mestieri per darsi alla politica a universale beneficio; ma è anche vero che riunire in una sola sala centinaia di migliaia o milioni di persone può rivelarsi complicato. Il fatto che “Rousseau” possa avere risolto questa difficoltà logistica grazie a internet non elimina il secondo motivo di perplessità di Rousseau dinanzi alla democrazia, che è esattamente l’errore in cui incorre la nota a margine sul sito del M5s a cui voleva farmi iscrivere “Rousseau”.

 

La democrazia, aggiunge Rousseau, non prevede la distinzione fra potere legislativo e potere esecutivo e ciò la indebolisce, poiché essa intende affidare all’intero corpo politico sia il potere di emanare leggi sia quello di farle rispettare. Non si può. Fare leggi significa esprimere la volontà generale ma, se lo stesso corpo politico che deve emanarle fosse chiamato ad applicarle, verrebbe progressivamente corroso dall’interesse particolare (di singoli o di gruppi di potere) e finirebbe per trasformare in maggioranza o addirittura in unanimità principii contrari all’originaria volontà generale. “Una vera democrazia non è mai esistita e non esisterà mai”, conclude Rousseau ancora ignaro del fatto che un sistema operativo suo omonimo tenterà di realizzarla scaricando la responsabilità su di lui.

 

Più che politico, l’obiettivo di Rousseau sembra essere etico. La sua teoria contrattualista prende le mosse dalla consapevolezza che la società così come siamo abituati a conoscerla sia stata generata dal “patto iniquo”: un accordo fra furbi e turlupinati, in soldoni, che istituiva la proprietà privata e causava da un lato la formazione degli Stati, dall’altro la sperequazione fra ricchi e poveri. Il suo obiettivo è sostituire al patto iniquo un patto equo, al quale tuttavia non si può arrivare senza proporsi il miglioramento dei contraenti, ovvero dei cittadini stessi. “La patria non può sussistere senza libertà, né la libertà senza virtù, né la virtù senza i cittadini; se riuscirete a formare i cittadini, otterrete tutto”. Formazione (e-learning), propaganda (“Fate girare!!1!”) e virtù (“O-nes-tà”) sono cardini del rousseauvismo deforme del M5s. A questo scopo, del resto, Rousseau delinea nel “Contratto sociale” una religione politica che preveda una obbligatoria “professione di fede puramente civile, della quale il sovrano deve fissare gli articoli, non come dogmi di religione ma come sentimenti di socialità, senza i quali è impossibile essere buon cittadino né suddito fedele”.

 

La divergenza insanabile, quando si legge che solo gli iscritti al Movimento possono accedere al sistema operativo

Per Rousseau, dunque, la democrazia è impossibile se non sotto le spoglie di adesione a una religione civile, “che contenga positivamente tutte le massime sociali che ciascuno avrebbe il dovere di ammettere”. Quanto però all’esercizio del potere politico – quello che il M5s lamenta essere stato “normalmente attribuito a pochi” – la musica è diversa. Lo si capisce dai termini sognanti, non è chiaro quanto autoingannevoli o quanto ruffiani, con cui Rousseau parlava della propria città d’origine; di Ginevra elogiava la libertà dei cittadini, che ravvisava nella loro totale soggezione alle leggi in cambio della loro piena partecipazione al potere legislativo. Non è lo stesso futuro radioso che preconizza “Rousseau”, qualora dovesse alfine realizzarsi la fusione fra “gli iscritti del M5s” e “la totalità dei cittadini”? Indubbiamente; se non che la Ginevra dell’epoca era sì una repubblica ma controllata con decisione da una salda oligarchia patrizia, che oggi si rivelerebbe piuttosto sorda alle istanze legislative del quidam via internet.

 

E Rousseau stesso, benché possa sorprendere, propendeva per l’aristocrazia. Spiace per Casaleggio jr, ma Rousseau è fermamente contrario all’aristocrazia ereditaria, tramandata di padre in figlio, e ritiene primitiva l’aristocrazia naturale (ossia la supremazia del più anziano o del più prestante). Gli resta l’aristocrazia elettiva, instauratasi nella società quando la diseguaglianza familiare si impose sulla diseguaglianza naturale, ossia quando il popolo iniziò a preferire il farsi governare da ricchi e potenti anziché dai più esperti fra gli anziani. Se l’aristocrazia elettiva premia dunque facoltosi e prevaricatori, la colpa è del popolo. Come districarsi da quest’errore? E’ molto semplice: impedendo al popolo di votare, anzi, illudendolo che il suo voto sia decisivo quando invece un complicato marchingegno gli preclude ogni efficacia.

 

Rousseau non conosceva internet (del resto era un filosofo, mica un sistema operativo) ma conosceva la storia. Dagli antichi comizi romani trae un complicato modello elettorale censitario tale che – allo scopo di salvaguardare la volontà generale – la classe più elevata costituisse il centro decisionale di ogni votazione del popolo riunito in assemblea, benché numericamente inferiore alla plebaglia. Il popolo, del resto, per Rousseau era una “moltitudine cieca” che “vuole sempre il bene ma non lo scorge da sé”, e come tale va indirizzata e condotta. Da chi? Dalla figura più inquietante in Rousseau, ma forse anche in “Rousseau”, ovvero “il legislatore”: viene definito uomo eccezionale, inventore della macchina, né magistrato né sovrano, anonimo estensore delle leggi che la volontà generale richiede e che il popolo promulgherà. Uno che dice: “Fidatevi di me”.

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