Nino Rizzo Nervo (foto LaPresse)

Chi è Nino Rizzo Nervo, l'uomo di tv che dalla squadra di Palazzo Chigi tiene d'occhio la tv post renziana

Marianna Rizzini

Post democristiano di sinistra come il premier, post uomo Rai come il premier, in buoni rapporti con il Colle come il premier. Un siciliano "cortese, non caciarone, non dirigista" nell'inner circle di Gentiloni, tra new entry e post renziani

"Chiama qualcuno… Chiama Rizzo Nervo". Questa è la frase con cui, di solito, i direttori di giornale si rivolgevano ai cronisti incaricati di scrivere un qualsiasi, cosiddetto “pezzo Rai” negli anni in cui c’era sempre aperto un caso Rai (tipo l’ultimo attrito tra l’allora direttore generale Mauro Masi e Michele Santoro o le adombrate “ingerenze berlusconiane” nei momenti duri del tormentone “Raiset”, con la Rai sospettata di connivenza con il nemico Mediaset via Palazzo Chigi). Qualsiasi cosa fosse successa, qualunque fonte si fosse già consultata, a un certo punto non ci si poteva esimere: per avere la versione temperata dei fatti, depurata cioè almeno apparentemente della virulenza o dell’estrosità giunta attraverso altre voci, toccava appunto chiamare Rizzo Nervo (Nino), oggi vicesegretario generale della presidenza del Consiglio con Paolo Gentiloni premier e ieri direttore del quotidiano Europa e consigliere d’amministrazione Rai di provenienza cattocomunista (Margherita) e di solida amicizia con il già ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni (stessa provenienza, stessa Margherita).

 

Non che Rizzo Nervo fosse imparziale, ma non pareva mai troppo parziale. Non che fosse disinteressato ai movimenti dei tanti piccoli gruppi di pressione e potere acquattati in Viale Mazzini, ma non gli si leggeva in faccia. Non che fosse poi così moderato: ne sa qualcosa Augusto Minzolini, ex direttore del Tg1 ed ex senatore di Forza Italia condannato per peculato (le sue dimissioni dal Senato sono state accolte due giorni fa), a suo tempo oggetto di una lettera di fuoco al cda firmata Rizzo Nervo (tema: carta di credito e spese). Tuttavia Rizzo Nervo, che a schierarsi si schierava, era considerato una specie di riserva della Repubblica della tv pubblica: l’uomo che sapeva tutto (in Rai e di cose Rai), l’uomo dai collegamenti solidi con la radice sindacal-politica dell’Usigrai (tramite Beppe Giulietti), l’uomo di cortese e fredda sicilianitudine, quella che oggi lo rende affine al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, antica conoscenza del periodo iniziale della carriera (testata giornalistica regionale).

 

“Chiama Rizzo Nervo”, e Rizzo Nervo rispondeva. E oggi quasi quasi non ci si capacita nel vedere Rizzo Nervo ricoprire il ruolo non di fonte ma (forse) di notizia – ché, da qualche giorno, se non da qualche mese, complice la crisi della Rai renziana, con caso “Report” esploso e dg Antonio Campo Dall’Orto in bilico sulla soglia dell’addio, si rincorrono le voci di un potenziamento del suo impegno sulla Rai, ma forse pure “in” Rai. Chissà dove, ma da qualche parte: si è detto “al posto dell’ex direttore editoriale Carlo Verdelli”, che due giorni fa, su Repubblica, lanciava un j’accuse-sfogo sulle circostanze delle sue dimissioni. E si è detto pure “al posto di Campo Dall’Orto”, ipotesi che circolava come possibile quando ancora si pensava potesse vincere il Sì al referendum costituzionale, e che oggi fluttua nel toto-nomi come iperbole, da quanto Gentiloni e Rizzo Nervo paiono simili per stile e quasi sovrapponibili per formazione politica, ugualmente invisibili al primo sguardo e ugualmente dotati della capacità di sparire anche una volta adocchiati. E però, tra un Giancarlo Leone prossimo dg (ipotesi uno) e un Paolo Del Brocco prossimo dg (ipotesi due), l’ipotesi tre (Rizzo Nervo da qualche parte) resta in campo come piccola misteriosa certezza: non si sa esattamente come e quando, ma Rizzo Nervo, il vicesegretario della presidenza del Consiglio Gentiloni, giunto a Palazzo Chigi come super-fiduciario del premier anche per occuparsi di Rai, di Rai si occuperà prossimamente.

 

Grigi, hanno detto: Gentiloni premier “grigio” (dopo l’epoca della rottamazione a colori forti) e Rizzo Nervo vicesegretario alla presidenza “grigio” (per osmosi e simbiosi con il neopremier), per di più negli anni della presidenza della Repubblica Mattarella, la cui cifra di base può senz’altro ricadere nella categoria “understatement”. Ma non è detto che il grigio sia incolore – non a caso l’Espresso, a Gentiloni da poco insediato, riscontrava l’esistenza di un prototipo di “homo gentilonianus” nelle stanze di Palazzo Chigi) Non un “uomo grigio” ambiguo o inquietante come nel romanzo “Momo” di Michael Ende, saga anni Settanta in cui una bambina empatica salvava il vicinato dalla razza paranormale degli “uomini grigi” che rubavano il Tempo agli uomini. Né “l’homo gentilonianus” può essere considerato immobile: si muove, ma senza che il movimento risulti scomposto, scattoso, troppo evidente. E però, due mesi dopo l’incoronazione dell’Espresso, i “gentiloniani” si trovano con un faro puntato dritto dritto su di loro, e proprio a causa della Rai, croce e delizia di Gentiloni e Rizzo Nervo, di Rizzo Nervo e Gentiloni, due che, nonostante l’apparenza defilata, non vogliono assolutamente essere percepiti come “uomo grigio” e “ombra grigia dell’uomo grigio”. E la cosa è parsa evidente, nell’ultimo periodo – e non soltanto all’emersione di un intoppo Rai – all’ambiente renziano da cui pure Gentiloni proviene (si sa che non sempre “proviene” è sinonimo di “appartiene”). Dunque il romanzo, ora, non è un’avventura distopica scritta da Ende e neanche un noir di Giorgio Scerbanenco, con “gli uomini in grigio” misteriosi e sfuggenti: il colore neutro diventa vantaggio sottile, ponte verso il 2018 (no elezioni anticipate), persino “linguaggio del corpo introflesso, non memorizzabile” (copyright Maurizio Crippa, su questo giornale: “… Gentiloni non gesticola, china leggermente la testa”, con “l’accuratezza dei modi e degli abiti di chi non ha dovuto impararli da adulto…come appare agli italiani? autunnale”). Fatto sta che il nome di Rizzo Nervo, complice l’agitazione in Rai, e anche se il dato storico e il passaparola nei Palazzi vede il dg Campo Dall’Orto spesso intento a confrontarsi (e a volte confidarsi) con lui, è uscito dalla semioscurità come possibile “aggiunta” o “alternativa” post renziana nel mondo Rai. Motivo per cui, da più angoli, si scrutano le per ora invisibili mosse del vicesegretario generale della presidenza del Consiglio, indefinibile per età (ha il volto abbastanza giovanile e abbastanza maturo di chi dopo i quaranta ha sempre avuto la stessa faccia), e a lungo sovrapponibile per aspetto a Paolo Romani, suo omologo plenipotenziario per la Comunicazione sul lato berlusconiano (li chiamavano “i gemelli”, per via delle analogie cromatiche e stilistiche di occhi, occhiali e capelli).

 

E chissà se, nell’incertezza del futuro Rai, Rizzo Nervo potrà conservare, oltre alla lateralità, l’aria serena da post democristiano di sinistra che lo rende intercambiabile con Paolo Gentiloni nell’immaginario collettivo degli osservatori di cose Rai (e infatti c’è chi trasecola: “Lui al posto di Campo Dall’Orto? Sarebbe troppo: come mettere Gianni Letta in Rai ai tempi di Berlusconi, o come dare a Gentiloni direttamente l’interim sulla Rai). Perché fino a oggi il nome “Rizzo Nervo”, come il nome “Gentiloni”, era immerso nella penombra rassicurante che avvolge i nomi di coloro che dirigono (un giornale? un paese? un ministero?) ma non sono propriamente caratterizzati da personalità dirigistica. “Molto preparato, molto preciso, uno che si fida dei collaboratori, uno che sa come far girare la macchina, uno che ricorda qualsiasi evento Rai dagli anni Settanta a oggi, un direttore competente anche se non ispiratore di mattate polemiche”, dicono infatti di Rizzo Nervo in Rai, dove l’ex consigliere ha percorso tutti i gradi della carriera giornalistica (con approdo al Tg3), e a La7, dove pure, per una breve stagione, ai tempi di Roberto Colaninno, lavorò al fianco di Gad Lerner, in seguito auto-ironizzando moltissimo sull’ottima liquidazione ricevuta – e lì venne fuori uno humour siciliano persino caustico, anche se sempre nei limiti della riservatezza generale del carattere. E oggi Rizzo Nervo, dice chi l’ha visto in questi giorni, si comporta come colui “che vuole tenere un atteggiamento da ‘squadra Gentiloni che silenziosamente osserva’”. Squadra, dunque, ché Gentiloni ci tiene a dipingersi non solitario nella gestione.

 

E infatti non c’è soltanto il quasi-clone Rizzo Nervo, a stretto contatto con il premier: l’inner circle si completa con il portavoce Filippo Sensi, anche detto “Nomfup”, già portavoce di Renzi, e con Antonio Funiciello, già renziano di area Luca Lotti e quarantenne capo staff. E ci sono, sì, attorno a Gentiloni, altri tratti di continuità con il governo precedente, specie nell’area dei consiglieri economici: Marco Simoni, che prima si occupava di arricchire l’agenda internazionale di Renzi sul versante economico, oggi, per Gentiloni, si occupa anche di relazioni col mondo industriale italiano. Luigi Marattin continua a seguire la finanza locale, i rapporti con l’Anci e con la conferenza regioni. Ma se Marco Leonardi, in epoca renziana, era detto “il vice Nannicini” (da Tommaso, consigliere economico di Renzi), in epoca gentiloniana è detto direttamente “il Nannicini di Gentiloni”, anche per via del forte focus sulle tematiche lavoro&pensioni (in direzione riforme).

 

E se agli Affari europei è rimasto Marco Piantini, già consigliere in tempi renziani con incarico specifico su Brexit, per la politica interna sono arrivati Gabriele De Giorgi, allievo di Arturo Parisi e già capo segreteria del sottosegretario Manzione, e Simona Genovese (prima al Senato con Luigi Zanda). Nuovi innesti anche per le questioni giuridiche, con Valentina Canalini (provenienza studio Gianni Origoni, già vincitrice del premio “avvocato emergente” della Legalcommunity Energy italiana) e con Laura Tempestini, amministrativista già braccio destro di Antonello Soro alla Autorità per la Privacy.

 

Ma nei giorni in cui il dg Rai Antonio Campo Dall’Orto più è sotto pressione, tra minaccia di sfiducia da parte del cda e polemica sugli stipendi degli artisti, risale dagli scantinati Rai anche il fantasma del primo piano-news (preparato dall’allora dg “tecnico” Luigi Gubitosi con la consulenza, tra gli altri, di Rizzo Nervo), un piano che era stato a un certo punto considerato, dai nuovi vertici, da accantonare o quantomeno da rivisitare fortemente. Ma ora che Rizzo Nervo potrebbe tornare a occuparsi di Rai con investitura del Palazzo, chissà se quel piano rispunterebbe fuori (e chissà come sarebbe accolto).

  

Flashback: c’è memoria, in Rai, di un Rizzo Nervo versione “combat”. E non soltanto per la suddetta battaglia anti-Minzolini e per la successiva guerra contro le nomine in tempi di dirigenza Garimberti-Lei, con clash tra catto-sinistra (di Rizzo Nervo) e sinistra di Repubblica (dell’allora presidente Rai e penna illustre del quotidiano Paolo Garimberti). Ma anche per via del caso, documentato punto per punto dal “Post”, che va sotto il nome di “Pier Luigi Bersani e Gianfranco Fini a ‘Vieni via con me’” (novembre 2010). L’allora dg Mauro Masi, infatti, apprendendo dell’intervista del duo Fazio-Saviano a Bersani e Fini, aveva criticato la presenza dei due esponenti politici in nome di una precedente direttiva che prendeva il nome dell’ex dg Claudio Cappon e che, a detta di Masi, impediva la partecipazione dei politici a programmi di varietà. Seguiva scambio di comunicati con Rizzo Nervo in cui Rizzo Nervo scriveva: “il dg deve smettere di pensare che la Rai sia una cosa sua…in quale paese al mondo si può vietare che il presidente della Camera e il principale segretario del partito di centrosinistra possano intervenire sui valori della destra e della sinistra?” e Masi rispondeva che “il consigliere Rizzo Nervo è da troppo tempo abituato ad affrontare problematiche aziendali rimaste irrisolte con roboanti e minacciose dichiarazioni rilasciate alle agenzie di stampa in orario pomeridiano. Al riguardo è bene che lo sappia, ma lui lo sa benissimo, che io non mi faccio intimidire né da lui né da altri…”.

 

Ed è nella risposta a Masi che Rizzo Nervo svela tratti caratteriali non in linea con l’abituale (presunta?) lateralità: “Rassicuro Masi: io non ho l’abitudine di intimidire nessuno, piuttosto sia lui a smettere di intimidire direttori di rete, conduttori, autori e artisti e cominci, se ne è capace, una buona volta a lavorare per l’azienda e non contro l’azienda. Gli chiedo anche di perdonarmi: io ho sempre lavorato nel settore del giornalismo, della comunicazione e della televisione, e ammetto che su alcune materie possa saperne meno di un ex segretario generale della presidenza del Consiglio, che la televisione l’ha sempre conosciuta come uno dei tanti elettrodomestici presenti nelle nostre case. Ritengo però che anche un burocrate possa capire cosa intendevo per ‘abuso di potere” di un direttore generale della Rai…”. Ne discende addensamento di interrogativi riguardo a Rizzo Nervo e all’affine Gentiloni: defilati ci sono oppure ci fanno? 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.