Massimo Recalcati (a sinistra) con Agnese Landini Renzi, Alessandra Moretti e Maria Elena Boschi nel novembre scorso alla Leopolda (foto LaPresse)

Massimo Recalcati, lo psicoanalista organico

Marianna Rizzini

Dal lettino al Lingotto. Metamorfosi del guru in pectore della scuola politica renziana

Ci avevano provato con tutto, a rianimare l’esangue corpaccione del giovane eppure malconcio Partito democratico: con il politologo, con i padri fondatori, con gli esperti di leggi elettorali, con le madrine e i padrini, i cantanti e gli attori, i filosofi e gli scrittori, e con i camper, i treni, i volantini, le cosiddette “alchimie programmatiche” e l’amalgama tra componenti impossibili da amalgamare – rilanciata in ogni possibile versione. Ci avevano provato per anni, tra Walter Veltroni e Pier Luigi Bersani, senza esito che non fosse effimero come la primavera che ora – crudelissima – si abbatte su quel che resta dei giorni democratici. E tra un Veltroni e un Bersani e il 2013 dello sbarco grillino in Parlamento, l’arrivo del Matteo Renzi (anche detto “il Rottamatore”) era parso taumaturgico ad alcuni e prodromo di sfacelo ad altri.

 

Dopo il politologo, il giurista, l’intellò, nella sinistra a pezzi si tenta la carta del dottore d’anime che si fa “padre di Telemaco”

E infatti, sottotraccia, le componenti non amalgamabili avevano ricominciato a ribollire e ribollire e ancora ribollire, fino a che, dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, ci si era trovati a ripartire dal “via” e dalla domanda: come diavolo fare a tenere in piedi la baracca dove tra fan del “No” (non renziani) e fan del “Si” (renziani) si stava come in una trincea dell’antico e melmoso fronte occidentale? Ci avevano provato con tutto, inutilmente, e poi però è spuntata l’idea: lo psicoanalista! Ma non individuale: collettivo. Tantopiù che, sul fondale delle ex Leopolde, e sulla via del più mesto Lingotto 2017, già si stagliava la sagoma di colui che è stato soprannominato, anche su questo giornale (articolo di Guido Vitiello del settembre 2014), la “psico-star”: Massimo Recalcati, professore universitario e firma di Repubblica, nota anche per la versalità a dir poco sbalorditiva. Recalcati, infatti, può essere chiamato – ed è stato chiamato, su Rep. – a commentare l’universo mondo, spaziando tra terrorismo, rapporti genitoriali, incubi filiali, linguaggi papali, stanchezze occidentali e masochismi morali (della sinistra e non).

  

Dici Recalcati, e subito sgorga la venerazione presso i ceti medi riflessivi preparati ad accoglierlo come il “Sorrentino della psicanalisi”, come l’ha chiamato Andrea Minuz su Rivista Studio. Tuttavia Recalcati ha conquistato anche, nella sua vita pre-politica, per via del suo oggetto di studio e insegnamento ma anche per via del look, la nomea di “Alessandro Baricco dei disturbi alimentari” – la sua giacca di pelle nera e il capello scarmigliato castano fanno da specchio rovesciato alle maniche di camicia bianca e al capello scarmigliato grigio dello scrittore torinese. E se Baricco, in un giorno del 2015, ha invitato Renzi ad “andare avanti con ferocia” perché “a 40 anni non si hanno più alibi”, Recalcati, alla Leopolda 2016, ha indirettamente rincuorato il Renzi che si fa “Telemaco”, “figlio giusto” che sa “compiere il viaggio” e interpretare “il compito dell’eredità”. Nella sua vita pre-politica, infatti, Recalcati è stato il lacaniano autore del bestseller “L’uomo senza inconscio” (ed. Raffaello Cortina), ma soprattutto l’autoinvestita figura maieutica della generazione che si deve adattare a vivere in tempi di “scomparsa del padre” (titolo di un altro suo bestseller).

 

Nuova scuola di formazione politica al via, intitolata a Pier Paolo Pasolini. E nuovo lessico contro le “mummie” del “No”

Ma oggi come la mettiamo, che il padre è in qualche modo lui medesimo? Al Lingotto, infatti, Recalcati si spingeva ad annunciare il lancio (la prossima settimana, a Milano) della scuola di formazione politica per giovani postrenziani, un’anti Frattocchie intitolata e dedicata alla memoria di Pier Paolo Pasolini. E già a sentir nominare PPP, sotto i bagliori verdi luminescenti della scenografia, qualcuno ha cominciato a domandarsi: ma perché chiamare uno psicoanalista pasoliniano per ricostruire le basi della base – base del Pd, base orfana dei fratelli-coltelli scissionisti ribelli ed ex Pci-Pds-Ds? E perché mai uno psicoanalista e professore universitario e pluripremiata firma di Repubblica e autore di libri ormai talmente popolari da poter essere visti, metti caso, persino su un banco di autogrill, si è messo a evocare Pasolini come nome-simbolo della scuola politica prossima ventura mentre Renzi “ironizzava” su “Bandiera rossa”, si è domandato su Left Giulio Cavalli? E a quel punto era scontro a distanza di sinistre, con Recalcati e Pasolini in mezzo, ché, scriveva Cavalli su Left, Renzi avrebbe dovuto ricordarsi, prima di dire, come ha detto al Lingotto, “che essere di sinistra non è … alzare il pugno chiuso e cantare bandiera rossa…”, che Pasolini, in “La religione del mio tempo”, nel 1961, dedicava alla bandiera rossa le seguenti parole: “… Per chi conosce solo il tuo colore, bandiera rossa, tu devi realmente esistere, perché lui esista: chi era coperto di croste è coperto di piaghe, il bracciante diventa mendicante, il napoletano calabrese, il calabrese africano, l’analfabeta una bufala o un cane. Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa, sta per non conoscerti più, neanche coi sensi: tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie, ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli”.

 

Ma nel nuovo scenario di scissione, definita da Recalcati sull’Unità “narcisismo di élite e minoranze che non vogliono tramontare”, nel quadro del nuovo Pd pasolinano in “mutazione antropologica”, la bandiera era solo l’ultimo degli indizi. Perché, a ben guardare, gli indizi di recalcatizzazione del renzismo c’erano tutti. Indizio numero uno: il Matteo Renzi del semestre italiano di presidenza Ue, nel 2014. L’allora premier si era addentrato infatti in meandri extraeurocratici, sulla scia del Recalcati anche autore de “Il complesso di Telemaco, genitori e figli dopo il tramonto del padre” (ed. Feltrinelli). “Generazione Telemaco”, aveva detto dunque l’ex premier disseminando l’orazione di reminiscenze classico-liceali: “C’è una generazione nuova… che ha di fronte un compito ancora più difficile di quello del figlio di Ulisse: quello di raccogliere l’eredità dei padri fondatori dell’Unione e assicurare un futuro a questa tradizione… qualcuno pensa al rapporto tra Anchise e Enea, tra Pericle e Cicerone. Grecia e Italia sono agorà e foro, il tempio e la Chiesa, il Partenone e il Colosseo. E invece non pensiamo a questo quando parliamo di Grecia e Italia e neanche al senso della vita, nonostante Aristotele e Dante, Archimede e Leonardo. Pensiamo alla crisi, allo spread, alle difficoltà finanziarie, perché è molto forte nel nostro corpo la ferita lasciata dalla recente difficoltà congiunturale economica…”.

  

Secondo indizio: il Recalcati-Cassandra che, alla Leopolda 2016, un mese prima del referendum, forse presagendo la sventura, esortava la platea a reagire “alle mummie del ‘No’”, anime politiche ingessate contro il cambiamento, ed esortando si schermiva: “… molti di voi non mi conoscono… sono arrivato qui come un meteorite…”, e tuttavia si presentava subito come “il padre adottivo di Telemaco”. Non il narcisista Ulisse, dunque, che abbandona la famiglia per l’Altro. Ma chissà dove gli Ulisse del Pd ancora non scisso progettavano di spingersi, viste le non rosee prospettive, con la strada nuova sbarrata dai populismi (vedi alla voce Grillo) e la strada vecchia già segnata dagli errori (vedi alla voce “numerosi tentativi falliti di mettere in piedi una ‘Cosa Rossa’ alla sinistra del Pd). E lui, il Recalcati padre adottivo in jeans, in quel novembre di pre-sventura renziana spiegava alla platea non baldanzosa che cosa mai significasse il “saper ereditare”, sottolineando altresì che il Sì al referendum “non profanava e non violentava”, e che dunque “eredità” non poteva in ogni caso voler dire “tutela museale del testo” costituzionale, con “fascinazione masochistica” per il No e conseguente “pietrificazione”.

 

I capelli scarmigliati da “Baricco dei disturbi alimentari”. Contro i narcisismi delle élite, pur piacendo alle élite riflessive

E ora, a riascoltare il Recalcati della Leopolda, s’immaginano gli allievi della prossima ventura scuola “PPP” alle prese con spericolate analisi sulla “saccenza” e “impotenza” del “paternalismo”, altra bestia nera dello psicoanalista che può ben parlare di didattica e di “Buona Scuola” (sovente lo fa), avendo dato alle stampe, nel 2014, “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento” (Ed. Einaudi), terzo best-seller dal titolo capace di sbalordire il borghese ma pure di far scivolare il passante nel dubbio: che cosa mai vorrà dire? Ed ecco che il volumetto scioglie l’enigma: “Non respira, non conta piú nulla, arranca…è delusa, afflitta, depressa, non riconosciuta, colpevolizzata, ignorata, violentata… E’ già morta? E’ ancora viva? Sopravvive? E’ questo il ritratto smarrito della nostra Scuola. Ma per scegliere la via dell’erotizzazione del sapere occorre che l’insegnante sappia preservare il giusto posto dell’impossibile… Il maestro non è colui che possiede il sapere, ma colui che sa entrare in un rapporto singolare con l’impossibilità che attraversa il sapere, che è l’impossibilità di sapere tutto il sapere”.

 

Il Recalcati anticapitalista amoroso che difende il Godimento non seriale, pur restando recensore seriale su Rep.

Ma se Renzi è Telemaco e Recalcati il papà adottivo, la triade “Padre, Legge e Desiderio sono i pilastri della dialettica (didattica?) dello psicoanalista che il bagno di folla non lo disdegna, anzi, a differenza dell’intellettuale organico “evaporato” anche più del padre di cui Recalcati denuncia da anni la sparizione. La sinistra che desidera scindersi per Recalcati “non è mai cresciuta”, ma gli eserciti di Peter Pan moderni che desiderano sul piano privato “l’amore senza vincoli” in nome di una malintesa “libertà”, cadono nell’“illusione che ha generato solo fuochi fatui”. “Desiderio e godimento” asserviti alla dittatura del Nuovo: questo il punto del Recalcati da frammento di discorso amoroso elevato a pezzo da prima pagina di giornale. Un Recalcati autore di “Non è più come prima” (ed. Raffaello Cortina, 2014), testo in cui si scandagliano gli abissi ingannevoli dell’amore liquido, per dirla con Zigmunt Bauman: “… L’insofferenza nei confronti di ogni forma di legame che implichi responsabilità”, scrive Recalcati, “hanno animato un nuovo padrone. Non più quello con in mano il bastone dell’interdetto, ma quello che esige un godimento sempre Nuovo e che, di conseguenza, vive la relazione che dura nel tempo come una camera a gas che ammazza la fascinazione misteriosa del desiderio… Anziché elaborare con dolore la perdita dell’oggetto amato, si preferisce trovare nel più breve tempo possibile il suo sostituto adeguandosi alla logica imperante che governa il discorso del capitalista: se un oggetto non funziona più, nessuna nostalgia! Sostituiscilo con la sua versione più aggiornata…”.

  

E qui le cose si complicano: c’è un Recalcati prossismo guru della scuola renziano-riformista, che però, per alcuni aspetti psico-economici, sembra parlare come il transfuga (ex Pd, poi Si) Stefano Fassina: “… La funzione del papà in psicoanalisi è quella di ricordare che la vita umana è attraversata dal limite mentre per il discorso del capitalista tutto è possibile: acquistare, consumare, evitare la morte…”. E allora tocca disegnare il padre “non padrone”, ma “testimone”, mentre il figlio prende coraggio. E però intanto il Renzi-Telemaco deve attraversare il post-referendum (e pre-congresso). Che fare? Viene in soccorso, volando al di là dello steccato-primarie, il Recalcati dottore (ma anche recensore di autori illustri di Repubblica, da Eugenio Scalfari a Michele Serra, lui che scrive su Repubblica), un dottore che mette la sinistra sul lettino: “… La critica ostinata caratterizza la pubertà e il velleitarismo adolescenziale… Il dramma della politica italiana, non solo della sinistra, è il fallimento dell’eredità. Renzi ha provato a correggere questo sintomo consentendo a una nuova generazione di farsi avanti. I figli anziché ereditare il testimone dai padri sono osteggiati dai padri. Accade anche a destra con Berlusconi e Grillo. I figli non allineati coi loro padri-padroni vengono sistematicamente espulsi. Ogni scissione, quando sono in gioco diverse generazioni, viene al posto di un lutto mancato: si invoca lo spettro della scissione invece di saper tramontare”.

 

Ma la vera domanda è: se Renzi è il figlio e Recalcati il padre, chi sarà la madre? Non si può rispondere la troppo gauchiste “Laura Boldrini”, madre dolente della Camera tutta. Lumi verranno, forse, dalla rilettura critico-politica de “Le mani della madre” (ed. Feltrinelli), bestseller del Recalcati 2015.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.