Foto Patrick Nouhailler via Flickr

Gallipoli dreaming

Marianna Rizzini

Ambizioni e gaiezze della Puglia. Da Emiliano a Placido, la regione che spezza i luoghi comuni sul sud

È successo di nuovo – che qualcuno o qualcosa irrompesse a un certo punto in una storia che pareva scritta – e che sullo sfondo si stagliasse, di nuovo, la sagoma della Puglia. Accade infatti che Michele Emiliano, presidente della regione, dopo breve e misterioso titubare, decida di candidarsi alla segreteria del Pd in contrasto con “l’anaffettivo e napoleonico” Matteo Renzi (parole sue), sferrando il colpo collaterale agli scissionisti bersanian-dalemiani (“senza tesi, strutture e nome”, parole sue). E accade che la variabile e costante pugliese si ripresenti sulla scena come già molte volte è successo nel recente passato politico-giudiziario, ma con contorno cultural-turistico (Apulia Film Commission, inglesi in visibilio che abbandonano il Chiantishire per il Salento, radical-chic ex capalbiesi che decidono di comprare la masseria nel leccese, rivendendo nel contempo il casale maremmano). Il pugliese Emiliano, infatti, ex magistrato e per due volte sindaco di Bari, già in agitazione anti-renziana dai tempi del referendum sulle trivelle (per non dire del suo impegno per il “No” al referendum costituzionale) conferma il sospetto che ci sia qualcosa che fa della Puglia una terra di gran schiaffoni politici (vedi Nichi Vendola ai tempi delle primarie con cui fece saltare i piani dalemiani – nel 2005, con bis nel 2010) e di casi mediatico-giudiziari: caso Ilva, ma pure caso Tarantini, caso Frisullo e caso Tedesco, per non dire della mediaticità intrinseca di tutti gli ex magistrati ora diversamente impiegati (lo stesso Emiliano, ma anche Gianrico Carofiglio, ex pm poi senatore pd ma soprattutto scrittore di legal thriller e nel 2011 finalista al premio Strega).

 

Che sia l’aria, la storia, la terra, il mare o il carattere dei suoi abitanti, c’è sempre una Puglia che spunta dalle cronache, anche dove non ti aspetti – e se sul Milleproroghe ci si era tutti concentrati sulle diatribe romane tassisti-Uber, si è poi scoperto che ben quattro senatori pugliesi, tutti fuoriusciti da Forza Italia e iscritti al gruppo Conservatori e Riformisti dell’ex presidente della regione Puglia Raffaele Fitto, pure lui già dispensatore di schiaffoni politici nei tempi d’oro del berlusconismo, avevano proposto il cosiddetto “emendamento anti FlixBus” (servizio di trasporto via autobus low cost). E se in territorio pugliese i partiti hanno imparato a stare all’erta di fronte all’emersione dell’elemento caratteriale (a sinistra ma pure a destra, dove oltre alla ribellione di Fitto si fece notare anche quella di Adriana Poli Bortone), dal lato procure il lavorìo è intenso – pure troppo. La procura di Trani, infatti, s’è resa negli anni celeberrima per combattività non lontana dai riflettori (anzi): inchieste contro Silvio Berlusconi in piena crisi Santoro-Rai, con intercettazioni finite sui giornali, tra Agcom ed ex dg di viale Mazzini (Mauro Masi). Ma anche inchieste in linea con il comune sentire allarmistico-complottistico-internettiano su agenzie di rating, banche e vaccini. E però qualcosa è andato storto: nell’ottobre 2016, infatti, il Consiglio superiore della magistratura ha aperto un fascicolo sulla condotta dell’ufficio pugliese (sulla base di esposti anonimi che parlavano di intrecci e conflitti di interesse tra avvocati, imprenditori e magistrati). Ma l’occhio del Csm era già puntato sulla piccola, celebre procura, per via di un libro scritto da un gip un tempo in servizio a Trani, Roberto Oliveri del Castillo, che nel romanzo dai nomi non riconoscibili ma dal riconoscibilissimo ambiente (“Frammenti di storie semplici”. ed. Città del Sole), descrive fatti e misfatti in un piccolo tribunale “davanti al mare, in mezzo al castello e alla cattedrale” in cui si trama per mettere sotto indagine “qualche imprenditore o qualche politico”. Ma già la procura di Trani era stata detronizzata in estate, per via delle foto che avevano fatto intuire rapporti troppo amichevoli tra due parti avverse dello stesso processo (sulla strage del treno Andria-Corato).

 

Dalla Puglia era partito l’ambizioso imprenditore “Gianpi” Tarantini, amico di Silvio B. e protagonista del processo scaturito dal caso D’Addario (processo per sfruttamento e induzione della prostituzione), e anche se poi un parziale oblìo aveva inghiottito la coda di polemiche sulle notti romane e baresi, l’immagine della “primavera pugliese”, propagandata a oltranza da Nichi Vendola, aveva ricevuto un altro colpo con il pasticciaccio degli appalti truccati e dei parcheggi sotterranei (sempre a Bari).

 

Non solo: la Puglia felix dei primi anni Duemila, amata dal regista Ferzan Ozpetek nonché patria dell’attore Riccardo Scamarcio, nel 2012 era stata descritta come “infelix” in un reportage sul campo di Aldo Cazzullo, che sul Corriere della Sera così scriveva: “… alla fine il berlusconismo non è caduto al Nord, in una città rigorosa come la Torino azionista, ma al sud, nella Bari levantina dei traffici e del piacere…”. Ed era l’epitaffio sull’eterno “laboratorio pugliese”, sempre per dirla con il Vendola allora presidente della regione, ma già poeta itinerante per strade e mercati durante la campagna per le primarie – con momenti di commozione nel ricevere in dono un orecchino da una signora e nel rievocare la nonna che gli aveva insegnato “l’importanza dello spariglio a scopone scientifico”. Erano i giorni gloriosi pre-regionali del 2010, e Nichi, con grande sforzo e rinforzo delle cosiddette “fabbriche”, operose mini-centrali di raccoglimento consenso sul territorio, se ne andava in giro per mari, uliveti e antiche città con l’aria baldanzosa di chi, per due volte, aveva sconfitto il rivale Francesco Boccia (ora in area Emiliano), l’uomo che altri avrebbero voluto (leggendaria la frase del “cittadino d’adozione” di Gallipoli Massimo D’Alema: “Il Pd con Boccia anche per il bene di Vendola”, e leggendaria la frase di Vendola: “… Mi volevano far fare la parte della legna nel forno di Casini…”). Ma l’idea della Puglia-laboratorio, sogno mezzo avverato-mezzo sfumato non finisce con la fine dei dieci anni vendoliani: nel 2014, durante le primarie del centrosinistra (in vista delle regionali 2015), il “delfino” di Nichi, senatore Dario Stefàno, parla della Puglia come di una possibile “California del sud”, ma non tanto a livello delle start-up che hanno stregato, oggi, l’ex premier Matteo Renzi in viaggio oltreoceano, quanto a livello di “modernità e bonifica”, con la Taranto dell’Ilva che nel tempo diventa “come la Ruhr”: “… Non respingo la presenza dell’industria”, diceva Stefàno, “purché non sia pesante e si dimostri compatibile con l’ambiente. Nel 2005 abbiamo avviato una linea di direzione strategica che ha cambiato la Puglia: non avevamo aeroporti che funzionassero, non facevamo turismo. Siamo passati da un milione e mezzo di passeggeri in un anno a 8, 5. Abbiamo ripulito il mare, illuminato il sole? No. Abbiamo aggiunto l’identità, la cultura, il recupero del ptrimonio culturale”. Ma tra una notte della taranta e l’altra, un Michele Placido ambasciatore della regione all’Expo, un’invasione di turisti e un film di Checco Zalone (il pugliese che spicca anche economicamente nel mare magnum dei comici), e a margine della Fiera del Levante (l’appuntamento di fine estate dove le prove generali d’alleanza tra dalemiani e non, casiniani e non, vendoliani e non prendevano forma), qualcosa ha disturbato l’autopercezione della Puglia “californiana”. E oggi Rino Formica, più volte ministro del Psi in giorni di Prima Repubblica, osservando dall’esterno la sua Puglia dice che a Bari, a un certo punto, si è diffusa una certa “idea passiva di attesa, confidando nelle virtù salvifiche del mercato”.

 

Fiorisce, nel frattempo, il dibattito sulla possibilità di recupero dell’agricoltura “da Tavoliere” (modello anche antropologicamente diverso da quello padano. E si cercano, a sinistra, i motivi ricorrenti della “vitalità” politica anche brutale di alcuni personaggi pugliesi (tipo Emiliano che lascia con un palmo di naso gli scissionisti mesti Roberto Speranza ed Enrico Rossi). Che il genius loci levantino sia alla base di tutti i casi di protagonismo politico-giudiziario-letterario locale o che siano soltanto coincidenze, Franco Cassano, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali all’Università di Bari e dal 2013 deputato del Pd, intravede intanto, in casi diversissimi tra loro, una comune “manifestazione di vitalità”. “Quando parliamo di Puglie, e uso apposta il plurale”, dice Cassano, “possiamo dire che il protagonismo, politico e non, è, almeno da un certo momento in poi, un fenomeno costante, con facce che cambiano a seconda del periodo. Negli anni Sessanta, che sono stati gli anni del centrosinistra, delle Partecipazioni statali e di Aldo Moro, dell’Italsider a Taranto e del Petrolchimico a Brindisi, prevale una visione modernizzante in alcune zone e una visione più arcaico-magica in altre, come nel Salento. Taranto invece, in quegli anni, è molto orgogliosa della sua dimensione industriale e operaista. Ci sono zone più levantine e zone che affondano nella tradizione agraria. Ma a un certo punto si assiste a un cambio di stagione, generazionale e del pensiero, e la modernità per com’era stata concepita entra in crisi. E’ in quel momento che il Salento prende forza, e si afferma l’idea post-moderna di un superamento della dimensione industriale attraverso il turismo”. Come costante sottesa all’“attivismo”, c’è intanto la “diversità” della regione nel quadro del Mezzogiorno: “La Puglia si sente più dinamica”, dice Cassano, “e ha cercato di leggere se stessa come protagonista anche in polemica con la tradizione delle grandi capitali meridionali, Palermo e soprattutto Napoli, che ha alle spalle una lunga storia di conurbazione da metropoli europea. Da questo punto di vista la Puglia, più provinciale, si è sentita più libera di diventare la parte del sud che ce la fa e  si libera del passato”. Alla fine degli anni Novanta e nei primi Duemila, dice Cassano, la Puglia prende anche coscienza della propria “dimensione mediterranea” da “regione più orientale d’Italia, vicina all’Albania, terra di sbarchi e ponte verso altre realtà. È in questo quadro che si forma un’idea di Mezzogiorno diversa da quella dominante.

 

C’è poi un altro elemento: tranne che negli anni bui della Sacra Corona Unita, l’immagine della Puglia, a differenza di quella di altre regioni italiane, non è ipotecata dalla questione ‘criminalità organizzata’. Cosa che ha rafforzato il desiderio di protagonismo”. Un protagonismo che “ha creato continuamente spunti, senza tuttavia andare a segno”. Quanto alle primavere pugliesi, dice Cassano, “erano indizio e riverbero di una crisi del sistema dei partiti: i sindaci del Mezzogiorno avevano in parte assorbito il deficit di legittimazione, ed era già percepibile un elemento di personalizzazione e una critica all’onnipotenza dei partiti da parte di una società civile che aveva idee, velleità e ambizione. Poi però, sul lungo periodo, il fermento si è spento, anche per la difficoltà di sintonizzazione e coordinamento con le politiche nazionali”. Quanto alla magistratura pugliese, dice Cassano, il protagonismo si è fatto innanzitutto sentire sulla scorta di un successo – il ridimensionamento della Sacra Corona Unita – e “dell’idea un po’ pugliese del ‘noi abbiamo capito come va il mondo e siamo all’inizio di una fase di respiro e innovazione’, a cui poi però è seguita un’implosione”. In questo quadro, il caso Ilva “segna il punto più doloroso di un passaggio di fase: dall’esaltazione del sogno modernista al rivoltarsi della modernità in incubo, un problema anche nazionale. Le torri industriali di Taranto, all’inizio viste come presidio di modernità, poi diventano simbolo di inquinamento e malattia, e motivo di rivolta. Nel film del regista salentino Edoardo Winspeare, ‘Il miracolo”, del 2003, Taranto già appare come dentro una bolla inquinata in cui è difficile pensare il futuro e in cui già aleggia il tema dei tumori”. Nel caso Ilva, dice Cassano, “è emerso, concentrato, un interrogativo non soltanto pugliese: come risanare senza perdere un indotto. E si è vista, in quel caso, l’empasse e la fatica dei governi che si fanno elemento di conflitto personale, terreno di scontro e demagogia. Intanto anche il Mediterraneo, che negli anni Novanta appariva al pugliese come una grande promessa, dopo l’11 settembre, con il ritorno sul campo del fondamentalismo, si è fatto minaccioso. Anche di questo bisogna tener conto in Puglia, se si vuole che la spinta propulsiva del protagonismo non si fermi a metà strada”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.