L’ascesa di politici populisti come Catilina o Clodio contribuì a destabilizzare ulteriormente l’intero sistema (Cesare Maccari, “Cicerone denuncia Catilina”, 1889, Roma, Palazzo Madama)

I nuovi barbari

Giulio Meotti

Nazionalismo, crisi demografica, islam, debito pubblico, ipertrofia, panem et circenses: il crollo dell’antica Roma un monito per l’Europa d’oggi. Parla lo storico David Engels

Le cause della decadenza di Roma costituiscono un tema dominante del pensiero storico dal mondo antico ai giorni nostri, quasi un paradigma. Ma è vero anche che nelle storie di quella decadenza gli europei occidentali amano rispecchiarsi. Uno storico belga, David Engels, legge la storia di Roma come un ammonimento all’Europa contemporanea. Engels lo ha appena detto al maggiore quotidiano austriaco, Kronen Zeitung: “Seguiremo l’esempio della decomposizione della Repubblica romana. Proprio come la tarda Repubblica romana, anche l’Europa si trova su un vulcano che può scoppiare in qualsiasi momento”. Docente di Storia romana alla Libera Università di Bruxelles, un bastione del secolarismo intellettuale, Engels su questo tema ha scritto anche un libro affascinante, “Le déclin”. Nel recensirlo, il Monde scrive che “la parte più incisiva del libro sta nella critica di una concezione disincarnata della costruzione europea”. Engels, infatti, nel saggio spiega che “il disperato e infruttuoso tentativo di rifiutare i valori tradizionali del passato e costruire una nuova identità collettiva europea basata su ideali universalistici è più un sintomo della crisi che la soluzione”.

 

Apriamo l’intervista a Engels partendo dai motivi del suo pessimismo. “Perché la storia sembra ripetersi e non vedo nulla di buono per le prossime generazioni di europei”, dice lo storico belga al Foglio. “Ovviamente, come storico, evito di pensare in termini di pessimismo e ottimismo, e non ho una agenda politica tale da sviluppare uno sguardo realistico e pragmatico. La mia prospettiva specifica sulla storia è condizionata dal metodo delle analogie storiche, ovvero sono persuaso che il presente e il futuro possano essere meglio compresi paragonandoli a periodi simili del passato. Nel mio libro, ‘Le déclin’. La crise de l’Union européenne et la chute de la République romaine’, ho cercato di spiegare che la presente crisi della società occidentale riflette gli ultimi decenni della Repubblica romana: disoccupazione di massa, polarizzazione sociale, declino demografico, globalizzazione, materialismo, immigrazione di massa, cosmopolitismo, individualismo, scomparsa della tradizione religiosa, fondamentalismo, declino della famiglia, tecnocrazia, guerra asimmetrica, politicamente corretto, populismo, spesa sociale, apolitismo, debito pubblico, lobbismo e una cultura basata su ‘panem et circenses’. Questi paralleli sono, ovviamente, poco lusinghieri per il presente, e le analogie sono così ovvie e pericolose che penso andremo incontro allo stesso destino della Repubblica romana ”. Engels continua con la rievocazione.

 

“Negli ultimi decenni della Repubblica romana , ossia a metà del Primo secolo a. C., era diventato evidente che lo stato romano non era più in grado di affrontare le numerose crisi che ho appena elencato e impostare le riforme politiche, istituzionali ed economiche necessarie per la propria sopravvivenza. Infatti, da un lato, l’élite senatoriale ricca e potente si era sclerotizzata nelle proprie rivalità interne nonché nell’impossibilità costituzionale di prendere decisioni a lungo termine. D’altra parte, l’ascesa di politici populisti, come Catilina o Clodio, aveva contribuito a destabilizzare ulteriormente l’intero sistema attraverso l’emanazione di leggi demagogiche e pericolose. In combinazione alla crescente insoddisfazione e alla povertà della gente, questo alla fine ha portato al disastro economico e politico, allo scoppio della decennale guerra civile e, alla fine, all’ascesa al potere di un individuo, Augusto, che ha restaurato legge e ordine, ma al prezzo della libertà politica. Temo che questo possa essere il modello esatto del destino dell’Europa nei prossimi due o tre decenni: un immobilismo crescente, l’ipocrisia e la corruzione delle élite politiche, la compromissione degli ultimi residui di stabilità attraverso la rivolta delle masse, e un aumento di movimenti populisti ovunque in occidente (Trump è solo l’inizio), il tutto portando a una graduale perdita di controllo dello stato e allo scoppio della grande guerra civile”.

 

Contrariamente a Roma, però, Engels non si aspetta la guerra tradizionale, quanto la guerriglia stile Molenbeek, il nido jihadista di Bruxelles: “Sarà piuttosto una situazione in cui gran parte delle città saranno dominate da milizie in competizione e da gruppi religiosi, in cui la legge ufficiale diventerà così inefficace che i problemi saranno regolati con i capi locali, dove la sicurezza sociale diventerà più o meno inesistente e la differenza tra ricchi e poveri aumenterà ancora di più, e dove l’odio tra i fondamentalisti, i gruppi europei e gli immigrati porterà a continui atti di terrorismo. Tutto questo porterà alla rovina economica dell’Europa e, alla fine, quando la gente sarà diventata così disperata da pensare di non avere nulla da perdere, all’affermarsi della dittatura. Come Augusto con la sua ‘Res publica restituta’, questo nuovo governo proclamerà il ‘restauro’ della democrazia, della legge e dell’ordine, ma, in realtà, avrà istituito un governo autoritario di lunga durata, non dissimile dalla Russia di Putin. E come a Roma, temo che la gente applaudirà, piuttosto che opporsi aì essa”.

 

Engels indica il paradosso della cattiva coscienza europea. “Ancora una volta, come storico, credo che il nostro stato politico mentale attuale, caratterizzato da insicurezza e cattiva coscienza, debba essere visto in una prospettiva a lungo termine, e mi sembra interessante notare che nel mondo antico tardo-ellenistico e tardo-repubblicano vediamo un’evoluzione abbastanza simile. Sappiamo che a Roma anche la legittimità di espansione imperiale è stata fortemente discussa, che le differenze etniche o culturali sono state criticate e sostituite dalla fede nel cosmopolitismo e nell’umanesimo, e la religione tradizionale è stata combattuta nel nome della ragione e della logica. Naturalmente, la contemporanea ‘correttezza politica’ è molto più influente di duemila anni fa, a causa delle esperienze traumatiche delle guerre mondiali e della decolonizzazione, e ha raggiunto un grado di disgusto di sé abbastanza unico nella storia, tanto che è diventata una corrente di pensiero criticare la cultura occidentale in tutti i suoi aspetti – politica, religione, cultura, economia, ecc. – per i suoi precedenti crimini storici e chiedere scusa per la nostra mera esistenza, mentre, allo stesso tempo, siamo invitati a valorizzare, a volte anche ad abbracciare, culture straniere al fine di mostrare la nostra ‘tolleranza’ e la redenzione. Questa antinomia mi sembra molto pericolosa, tanto più che la presunta ‘apertura’ è in ultima analisi basata sulla prospettiva eurocentrica, dove i valori occidentali specifici e ancora abbastanza giovani - la democrazia rappresentativa, l’ultra-liberalismo, il secolarismo, il materialismo, la radicale uguaglianza di genere - sono unilateralmente considerati come diritti ‘umanisti’ onnicomprensivi e più o meno brutalmente imposti in tutto il mondo sui popoli e culture con una prospettiva molto diversa su come una società ideale e armonica dovrebbe essere”.

 

Qui entra in gioco un paradosso: “Il risultato assurdo è che, mentre la cultura ‘europea’ si sta diffondendo in Asia e in Africa e fa scattare risentimenti crescenti, la stessa Europa è sempre meno europea, diventando la casa di gruppi stranieri che vogliono beneficiare delle straordinarie opportunità materiali offerte dalla nostra società, mentre sono paradossalmente rafforzati nel loro desiderio di non essere assimilati da un’interpretazione di ciò che ‘tolleranza’ dovrebbe significare”. E’ l’islam che sta fratturando il sistema europeo o è l’ermegenza islamista una conseguenza della faglia? “Nel mio punto di vista comparativo, non è l’islamismo che frattura il progetto europeo, ma piuttosto l’autoscioglimento della cultura occidentale che sta portando in tutto il mondo all’ascesa di gruppi religiosi o movimenti identitari che cercano di opporsi a ciò che percepiscono come la decadenza, aggrappati a una interpretazione tradizionalista dell’identità, spesso totalitaria. In questa prospettiva, l’islamismo radicale mi sembra in continuità diretta con i movimenti anarchici, comunisti e fascisti della prima metà del XX secolo, e non c’è da meravigliarsi che la guerra civile siriana assomiglia in molti aspetti alla Guerra civile spagnola degli anni Trenta: i giovani delusi dalla superficialità spirituale e intellettuale della loro società, disgustati dalla ingiustizia del sistema politico e giuridico, ed esclusi dalla mobilità sociale, sviluppano un nuovo, ‘totale’ sistema utopico di pensiero in cui ognuno ha il proprio posto.

 

La differenza principale sembra, ovviamente, il fatto che l’islam è in qualche modo ‘importato’ in Europa da gruppi esteri. Tuttavia, è da notare che la maggior parte dei terroristi fondamentalisti ha goduto di una socializzazione tipica occidentale, e che sempre più giovani europei che vivono nella periferia tentacolare delle nostre megalopoli si stanno convertendo all’islam al fine di trovare un nuovo senso di appartenenza sociale e la spiritualità della loro vita che la cultura occidentale con il suo materialismo, l’individualismo e l’ipocrisia, non sembra in grado di fornire. In questa prospettiva, l’ascesa dell’islam e la lenta scomparsa delle forme tradizionali di cristianesimo, cattolico e protestante, è l’esatto equivalente morfologico delle religioni orientali che hanno sostituito lentamente il declino della religione romana repubblicana nel Primo secolo a. C. e nel Primo secolo d. C. Le prime sette cristiane nutrivano ostilità radicale verso la società pagana e desideravano cercare la propria morte, al fine di ottenere il paradiso…”. Nel romanzo “Cuore di tenebra”, Joseph Conrad definì Bruxelles la città dei sepolcri imbiancati. Il caso belga insegna qualcosa sul destino dell’Europa? “Appartengo alla minoranza di lingua tedesca del Belgio, quindi il mio punto di vista è, in una certa misura, la prospettiva di un estraneo e non può essere totalmente rappresentativo”, conclude Engels in questa intervista al Foglio.

 

“Tuttavia, spesso mi chiedo se la decisione dell’Unione europea di istituire la maggior parte delle sue istituzioni in Belgio sia stata davvero una buona idea, o fino a che punto alcuni problemi o modelli di comportamento tipici del Belgio potrebbe rovesciarsi sull’Unione europea. Così, esattamente come l’Unione europea, il Belgio a che fare con il problema di come definire la propria identità e il modo di mediare tra gli interessi contrapposti dei suoi principali gruppi di popolazione, e cerca di escludere tutti i riferimenti alla storia, cultura, tradizione e religione. Esattamente come l’Unione europea, i politici belgi hanno anche sviluppato una vera e propria maestria nell’arte del compromesso e del ‘bricolage’ istituzionale, che è quello di non prendere mai una decisione vera ma piuttosto di spingere i problemi sempre crescenti da una legislatura all’altra, con il risultato negativo che la loro soluzione diventa semplicemente a poco a poco impossibile. Esattamente come l’Unione europea, e in nome della sussidiarietà e del federalismo, il Belgio troppo spesso ha sviluppato le sue istituzioni ufficiali fino a un tale grado di complessità e di ipertrofia che è diventato assolutamente impossibile realizzare una riforma a lungo termine o di reagire adeguatamente alle numerose minacce dei tempi pericolosi in cui viviamo.

 

Inoltre, esattamente come l’Unione europea, il Belgio ha messo a punto una politica di frontiere aperte e di multiculturalismo e, grazie alla sua complessità interna, è diventato un obiettivo del terrorismo islamico. E, infine, esattamente come l’Unione europea, il Belgio, invece di ammettere apertamente i suoi numerosi problemi interni, continua a promuovere una immagine di sé grandiosa e anacronistica composta da un curioso misto di ricordi di tempi ormai passati quando il Belgio è stato tra i paesi più sviluppati del mondo, e da un orgoglio pieno di sé, della propria tolleranza e ‘correttezza politica’ tale che, paradossalmente, cresce nella stessa misura in cui la società belga è piagata da terrorismo, criminalità e populismo”. Dopo la Repubblica fu l’Impero. E nel giro di una sola generazione il crollo. Cominciò con un affanno fatto di incubi mascherati, ansie, presentimenti, lucidità dolente, nostalgie e cattiva coscienza. Sotto l’apologia, si sentiva il tedio del presente e la paura del futuro. E anche questa fase successiva ci appare come il dejavù di un’epoca del disincanto, fatta di disperata rinuncia ed elegante scetticismo, che tiene di mira l’Europa contemporanea.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.