Lauren Urasek nel 2014 è stata la ragazza più contattata di New York su OkCupid. Per spiegare la ricetta del successo ha pubblicato anche un libro, "Popular"

Sex and the app

Michele Masneri

Rapporto sullo stato dell’acchiappo digitale: leggera crisi per i grandi, vanno forte le nicchie. Millennial in prima fila, trendy il “poliamore”

San Francisco. Le azioni dell’amore vanno su e giù. Il titolo Match.com, principale gruppo mondiale del dating online, cioè dell’acchiappo su telefonino, è sceso del 4 per cento ultimamente dopo una trimestrale considerata modesta dagli analisti finanziari. Il gruppo, che controlla i fondamentali Match, Tinder e OkCupid, aristocrazia del rimorchio digitale, fa parte della finanziaria Iac-Interactive Corp, di proprietà del magnate californiano Barry Diller, marito di Diane von Furstenberg, inventrice della vestaglietta o wrap-dress (in cda c’è pure Chelsea Clinton).

 
Gli analisti sono incerti. E pensare che l’inizio dell’anno nuovo tendenzialmente favorisce l’amore, almeno virtuale. Sarà che tra i buoni propositi c’è quello di smetterla col cazzeggio e finalmente trovare invece la persona giusta, ma i siti di dating online registrano il picco dell’attività proprio nei primi giorni dopo capodanno. Secondo Lauren O’ Reilly di OkCupid, il picco si ha il 3 gennaio, perché “si tende a chiudere le vecchie storie prima delle vacanze e a voler ripartire dopo la fine dell’anno con un nuovo inizio”. Secondo la manager altri fattori che influenzano il picco sono: la pressione sociale dei parenti (quelli che davanti a pandoro/panettone ti chiedono: e la fidanzatina? Quando ti sposi?), e il crollo delle temperature che porta al desiderio di riscaldamento tramite coccole.


Forse a causa del climate change, che porta calore gratuito anche solitario, i mercati hanno però bocciato la trimestrale di Match che pure aveva fatto ottimi ricavi (320 milioni di dollari) ma ha abbassato le stime per l’anno in corso (“solo” 1,3 miliardi di dollari). Il gruppo corre così ai ripari e ha appena annunciato una nuova funzione: si chiama “missed connection” e ti indica quella persona che magari hai appena schifato e che però è a pochi passi da te, magari nel centro commerciale o nella rotonda o nell’apericena, o in altri luoghi e non luoghi di desolazione quotidiana. Il concetto di “occasioni mancate” è alla base anche del business model di Happn, altra applicazione recente a rapida crescita, passata da 10 a 26 milioni di utenti, che ti segnala le persone che incontri per strada (che hanno “pre-approvato” la tua foto profilo e hanno messo un reciproco “mi piace”). Saranno quelle strane occasioni o sarà raschiamento di barile per rosicchiare quote di mercato, ma ognuno si ingegna come può: la app più diffusa d’America, appunto OkCupid, si basa sulla rispondenza a una serie infinita di domande anche assurde (fede, lingue parlate, sei pronto a salire su una barca e non scenderne più?) ed è stata fondata da quattro scienziati di Harvard, forse un po’ involuti, perché scaricata la app e dopo aver speso ore a compilare un mostruoso questionario più complesso di quello che si faceva sui fiori e la voglia di fare il fioraio alla ferma militare, arrivano solo risposte di anziani sovrappeso interessati a fumetti e manga. “Usiamo la matematica per trovarvi appuntamenti”, è il claim, e evidentemente siamo noi sfortunati, perché il sistema funziona, con 7,3 milioni di messaggi al giorno, 50 dipendenti, sedi a New York e San Francisco.

Coerentemente con la sua natura un po’ nerd, OkCupid rilascia statistiche molto Silicon Valley: tra le parole usate per flirtare nel 2016 sono esplose “Pokemon Go”, più 119 per cento, e Trump (più 84 per cento), mentre “Game of Thrones” rimane il termine più utilizzato per quanto riguarda il tempo libero (76 menzioni su 100 mila messaggi). Tra gli aggiornamenti invece recentemente la piattaforma ha aggiunto anche la categoria “poliamore”, visto che la questione sta diventando sempre più trendy e secondo le statistiche il 4-5 per cento degli americani si professa appunto poliamoroso cioè non soddisfatto da relazioni tradizionali a due (basta spuntare la definizione “in relazione aperta con” e aggiungere il/la fortunat/a o malcapitat/a a seconda dei casi e vediamo il poliamore dove ci porta).

  
In Silicon Valley comunque il poliamore è già realtà, e la mitologia californiana ultimamente premia soprattutto gli unicorni, passati rapidamente dalla accezione di startup dal valore superiore al miliardo di dollari a quella di persona (generalmente femmina) bisessuale che desidera interagire sotto le coperte con una coppia. A parte questi animali assai richiesti, nella duplice accezione (a Berkeley si organizzano convegni e meetup su poliamorismo e ruolo dell’unicorno), OkCupid annovera segmenti sempre nuovi, dagli ormai patetici etero e gay ai più complessi genderqueer, e poi demisexual, heteroflexible ai temibili sapiosexual (persone eccitate da partner eruditi – normalmente, nella nostra personale statistica, più si professano sapiosexual più hanno anime da midinette).

Non si sa poi se sia il virtuale che modifica il reale o se si ingarellino a vicenda, però il sesso siliconvallico e americano in genere non è mai stato così complicato: e il business ne tiene conto; cambiano i gesti quotidiani, anche, e di certo lo “swipe” cioè quel gesto di strisciare la superficie dello smartphone, inventato da Tinder, ha cambiato le abitudini (strisciata a sinistra, si boccia il profilo del malcapitato; a destra, si approva, e potremo interagirvi). Jonathan Badeen, oggi chief strategist officer di Tinder e inventore della strisciata, in una recente intervista a Wired ha detto che l’intuizione gli venne una mattina dopo essere uscito dalla doccia, pulendo con la mano la condensa sullo specchio del bagno (e forse il cesso di Tinder sarà presto musealizzato come il garage di Apple). Grazie alla strisciata, Tinder tiene in piedi l’impero di Match.com, la base di clienti è triplicata da 500.000 a 1,5 milioni di clienti e il presidente e fondatore Sean Rad ha detto recentemente che presto arriveranno novità rivoluzionarie grazie alla immancabile intelligenza artificiale e alla realtà aumentata: tipo che sarà possibile fare un po’ di test virtuali prima di prendersi la briga di uscire veramente con qualcuno; si potranno cioè fare esperienze comuni (il manager non lo dice ma la prossima frontiera sarà ovviamente il cyber-sesso) e un test drive virtuale dell’altro, per vedere come va tra i nostri due avatar, che potranno andare al cinema o a fare una passeggiata o addirittura a cena, e poi se va bene tra di loro si uscirà finalmente noi in esterna nel mondo reale (coi prezzi dei ristoranti di San Francisco, è un’opzione che avrà grandissimo successo).

  
Nessuno però ha ancora trovato il sistema, tra intelligenze artificiali e i chatbot, cioè sistemi di messaggistica ormai dilaganti, di far dialogare finalmente i nostri Whatsapp e iMessage tra di loro senza disturbarci, soprattutto nelle prime fasi del rapporto amoroso. Mentre le nostre agende sono sempre più piene, non sarebbe male infatti un dialogo tra soli iPhone, con faccine e tutto, che analizza e segnala punti di contatto o tragiche incongruenze (“le piace Woody Allen!”; “ha votato Cinque telle!”; “odia il cavolo nero!”), magari tracciando anche un profilo psicologico e avvertendo di possibili disturbi (per questo esiste già una app, si chiama MyMd, che analizza le conversazioni via chat e le inquadra tra le categorie del Dsm, il prontuario di psichiatria: si eviterebbero maschicidi o femminicidi e in generale relazioni psicotiche).

 
Paiono comunque preistoria i precursori del corteggiamento geolocalizzato, tra tutti il vecchio Grindr di derivazione militare israeliana: un anno fa l’azienda californiana vendeva il suo 60 per cento ai cinesi di Beijing Kunlun, colosso dei videogiochi (il suo proprietario, Zhou Yahui, nei giorni scorsi è stato protagonista del divorzio più costoso della storia, 1,1 miliardi di dollari, quasi dieci volte quanto abbia pagato il sito di incontri gay, 155 milioni di dollari).

 
La società fu fondata nel lontanissimo 2009 da Joel Simkhai, famiglia di tagliatori di diamanti di Tel Aviv, dopo che Apple annunciò l’iPhone 2 con il Gps incorporato. Simkhai conobbe il suo Steve Wozniak, si chiama Morten Bek Ditlevsen, ed è un programmatore danese (etero). Insieme investirono 5.000 dollari e cambiarono per sempre il mondo, non solo gay. Oggi Grindr funziona in 196 paesi, il tempo medio di permanenza è di 54 minuti al giorno (dichiarati) contro i 42 di Facebook, ogni giorno vengono scambiati 38 milioni di messaggi e 8 milioni di foto. Grindr ha cambiato il panorama urbano, mandando in pensione saune e locali gay che sopravvivono solo se dotati di wi-fi e nei pochi rimasti normalmente al bancone ognuno rimira il suo schermo in cerca del vicino, che ugualmente comparirà a metri 6 (il minimo di distanza segnalato dal Gps).

  

La localizzazione mostra i contatti più prossimi e porta a utilizzi e funzioni da spionaggio che qualcuno attribuisce al genio ebraico tendenza Mossad: stellinando i contatti preferiti, essi rimangono tracciabili ovunque e per sempre sul globo, con scarto di metri sei; favorendo stalking e appostamenti, ma anche ponendo seri problemi di sicurezza in regimi poco friendly. E mutamenti sociologici segnalati da acronimi sempre nuovi, anche: dai più recenti “on prep”, che non è l’uso di creme da barba antiche bensì la terapia preventiva che stronca l’Aids; al classico nsa (no strings attached), al talvolta fatale pnp (party and play), al fwb cioè friends with benefits o trombamicizia. Intanto una squadra di 12 persone a Los Angeles che esamina senza requie (forse sostituita presto da intelligenze artificiali) foto di pudenda e pettorali provenienti da ogni latitudine, perché sul profilo non si possono mettere zozzerie, come in un ufficio censura del “Complesso della schiava nubiana” con Ugo Tognazzi. “Grindr è un’esperienza transattiva”, ha detto Simkhai al quotidiano israeliano Haaretz. Orgoglioso delle sue origini come ogni piccolo imprenditore, ha detto che acchiappare su Grindr “è come il mercato dei diamanti, un tempo andavi alla Borsa e mostravi la tua mercanzia, portavi fuori i clienti a cena con la famiglia, adesso si fa tutto online”. Se Philip Roth fosse più furbo dovrebbe subito farci un romanzo sulla famiglia Simkhai, dai diamanti a Grindr, e vincere finalmente il Nobel a mani basse con una storia di formazione queer sbaragliando tutte le scrittrici femmine anche di paesi molto sofferenti.

 
Prima ancora di Grindr nacque però l’acchiappo religioso di JDate, primissima società ad operare online, fondata da Joey Shapira addirittura nel 1997 e specializzata in amori confessionali: oggi rinominata SparkNetworks, quotata in Borsa, controlla JDate e JFix, per dating solo ebraico, e il colossale ChristianMingle con 13 milioni di utenti. L’amore online è un’unica grande chiesa: secondo il Pew Research Center, il 15 per cento della popolazione adulta utilizza siti di incontri online, e per i millennials della fascia 18-24 la percentuale sale al 27 per cento ed è triplicata in tre anni (ma sappiamo tutti che sono stime al ribasso). Intanto ognuno è alla ricerca della nicchia: ecco un Bristlr solo per barbuti e amanti del genere, FarmersOnly per contadini 2.0, l’immancabile GlutenFreeSingles per allergici al glutine e l’inquietante SingldOut che incrocia i dati di Dna tramite pratico test (in questo caso parlare di chimica non implica la metafora).

 
A volte infine la app imita la vita. Bumble, ultimo nato siliconvallico, è opera di Whitney Wolfe già manager di Tinder che ha creato questa applicazione ovviamente basata sullo striscio, ma dove il maschio può essere solo strisciato, non strisciante. Wolfe ebbe una realissima storia d’amore col cofondatore di Tinder Justin Mateen, che finì non a strisciate ma a pesci in faccia: lei denunciò il suo capo per molestie sessuali e mobbing vari e se ne andò dalla compagnia. Lui si dimise. Poi patteggiarono. Nel frattempo, sui giornali finirono tutti i whatsapp della coppia, con intercettazioni peggio della sguattera del Guatemala. Tra i più notevoli, lei a lui: “Non ci vengo in montagna con te”; lui a lei: “E certo, tu alla scalata preferisci fare la scalata sociale scopandoti l’islamico” (non si sa chi sia l’islamico). Wolfe rimase scioccata, e il risultato è questa app “100 per cento femminista” come la definisce la sua fondatrice: app in cui il maschio non può fare la prima mossa, e deve stare buono in attesa di essere scelto; se poi non risponde entro 24 ore alla profferta muliebre, viene pure cancellato.

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