Kin Jong-un (foto LaPresse)

Ancora 24 ore per capire cosa succede in Corea del nord

Mario Sechi

Gli Stati Uniti aspettano. Se Kim Jong-un fa scoppiare la Bomba, per gli Stati Uniti e per la Cina la faccenda si mette malissimo

Venerdì Santo. La passione del Signore

 

Numeri

La storia è appassionante come una spy story di Le Carrè. I numeri sono quelli che ha mandato in onda ieri Radio Pyongyang e sono considerati dei dati cifrati, istruzioni alle spie della Corea del Nord alla vigilia del centocinquesimo anniversario della nascita del fondatore del paese, Kim Il-sung, nonno dell’attuale capo del regime, Kim Jong-un. Radio Pyongyang secondo quanto riporta l’agenzia sudcoreana Yonhap alle 1.15 (ora di Seoul) ha mandato in onda per due volte una serie di pagine e numeri: “Numero 69 a pagina 823, numero 92 a pagina 467 e numero 100 a pagina 957”. E’ la trentaduesima volta che questo tipo di messaggi viene usato alla radio della Corea del Nord. Sono davvero istruzioni inviate alle spie? In passato era considerato un normale metodo di comunicazione, oggi potrebbero essere solo un tentativo di depistaggio nei confronti delle agenzie di intelligence che monitorano le mosse del regime radioattivo, ma con lo svitato dell’Asia tutto è possibile. Mancano 24 ore alle celebrazioni della nascita del nonno di Kim, data indicata come possibile detonatore del sesto test nucleare della Corea del Nord.

 

Cosa stanno facendo gli americani?

Aspettano. Se Kim fa scoppiare la Bomba, per gli Stati Uniti e la Cina la faccenda si mette malissimo. Trump ha chiesto ripetutamente al presidente cinese Xi di intervenire per fermare Kim, ma dalle osservazioni degli analisti militari le cose vanno esattamente in direzione contraria rispetto a quelle auspicate dalla Casa Bianca. Si presenta la domanda del compagno Lenin: che fare? Se la Corea del Nord fa un test nucleare o lancia un altro missile al largo delle coste del Giappone, la risposta quale sarà? Le voci su un possibile bombardamento preventivo da parte degli Stati Uniti in queste ore si sono rafforzate, la rete televisiva Nbc ha attribuito a diverse fonti anonime dell’amministrazione americana l’idea del piano, ma dal Pentagono e dalla Casa Bianca la reazione è stata gelida perché le ragioni contrarie a un intervento di quel tipo sono robuste: bombardare un sito militare o intercettare un missile nordcoreano potrebbe innescare reazioni imprevedibili da parte della Cina, il Giappone sarebbe subito sotto tiro, così come le truppe americane da sempre presenti nell’area della crisi. Ma i missili di Kim sono una reale minaccia per gli Stati Uniti? Sì, occhio a questo grafico pubblicato in un report della Heritage Foundation:

 

 

Cosa dice la Cia

Ieri il titolare di List ha segnalato l’incontro di Mike Pompeo, direttore della Cia, al Center for Strategic and International Studies di Washington. Pompeo ha detto molte cose interessanti, un paio riguardano la Corea del Nord e sono fondamentali per capire il livello di allarme al quale siamo giunti:

  • La minaccia. Quanto è reale? Molte amministrazioni hanno cercato di fronteggiare la minaccia di un missile balistico intercontinentale in grado di piazzare una testata nucleare negli Stati Uniti, oggi siamo sempre più vicini a questo, come non mai nella storia della Corea del Nord.
  • Il tempo e le opzioni. Da anni Kim lancia missili e fa scoppiare bombe. Cosa è cambiato? Cosa c’è di diverso, di unico, di nuovo, è che hanno fatto un altro passo avanti su quella strada – ogni test, ogni sforzo – la loro base di conoscenza e la loro capacità di farlo è cresciuta, lo avvicina, e tutto questo riduce le opzioni per prevenirlo e rende più probabile una decisione cattiva in una giornata sbagliata del leader della Corea del Nord.
  • Le informazioni dell’intelligence. Sono affidabili? C’è qualche buco nei report della Cia? Spendo molto tempo preoccupandomi della loro esattezza. Stiamo dando buone e reali informazioni al Presidente. Ma mi preoccupo ogni giorno su qualcosa che potrebbe esserci sfuggito, qualcosa a cui non abbiamo accesso, qualcosa che noi non possiamo afferrare.
  • Il punto di non ritorno. La discussione con Pompeo giunge a un parallelo tra la situazione iraniana e quella coreana, lo stallo, l’impossibilità di intervenire perché il programma nucleare è troppo avanti e troppo rischioso per i soggetti vicini coinvolti. Esiste la possibilità che non si possa più fare niente. Sappiamo che non è solo un rischio nucleare. Non è a una dimensione. Abbiamo una nazione che ha sviluppato un missile intercontinentale capace di trasportare una testata nucleare. Stiamo parlando di una potenza militare, con forze convenzionali, capace di creare una significativa minaccia verso una grande metropoli della terra non distante dalle basi dove sono i sistemi d’arma. E’ un problema davvero complesso. Questa è la ragione per cui è arduo intervenire e il motivo per cui le precedenti amministrazioni, francamente, non lo hanno fatto. Ma il momento sta precipitando, e il Presidente Trump ha detto molto chiaramente che dobbiamo evitare che tutto questo si verifichi.
  • La Cina. Si arriva al punto chiave, l’azione di Pechino. C’è la possibilità che i cinesi rallentino o sospendano il programma nucleare della Corea del Nord? Conto su questo.

 

Show of force

Torniamo alla domanda: che fare? Quello che sta accadendo in queste ore è il classico show of force degli attori in campo: gli Stati Uniti dopo i recenti test balistici della Corea del Nord hanno inviato il gruppo navale guidato dalla portaerei Carl Vinson al largo della penisola coreana, il Pentagono ha usato la sua superbomba convenzionale (Moab, Mother of All Bombs) in Afghanistan con l’unico scopo di avvisare Kim, Tokyo e Seoul hanno rafforzato i loro sistemi di difesa anti-missile, mentre la Corea del Nord ha accelerato i preparativi per un altro test in modo da anticipare le mosse degli avversari e mettere in difficoltà Trump e Xi. Stati Uniti e Cina stanno preparando una bozza comune con una nuova serie di sanzioni contro la Corea del Nord, ma questo tipo di azione diplomatica deve passare attraverso l’Onu, richiede settimane di lavoro e la sensazione è che non ci sia più tempo. Che fare? Attendere ancora 24 ore, vedere se Kim fa scoppiare la Bomba. Comprate il contatore Geiger.

 

Come sta l’Italia?

Il titolare di List continua a leggere i documenti di Palazzo Chigi e di Bankitalia. Le parole del governo e dei parlamentari della maggioranza (e anche dell’opposizione) continuano a non coincidere con i documenti ufficiali. L’Italia gode della condizione migliore dell’economia europea, ma in misura talmente limitata da sembrare come un paziente che entra ed esce continuamente dallo stato febbrile. Il Def varato dal governo l’altro ieri certifica lo stato anemico della crescita in questa tabella:

 

 

Siamo inchiodati all’uno per cento. La piccola crescita degli anni precedenti è stata realizzata in condizioni straordinarie, irripetibili: quantitative easing della Banca centrale europea; tassi di interesse bassissimi o negativi; pax finanziaria nei mercati; prezzi energetici ai minimi storici. Il Def racconta un prossimo triennio con pil anemico, addirittura ottimistico rispetto agli scenari che si vanno dispiegando sulla scena internazionale. Le previsioni erano sbagliate prima e rischiano di esserlo anche adesso. E’ lo stesso Def a certificare l’inadeguatezza dei modelli adottati, basta leggerlo:

 

 

Non c’è un solo dato confermato. Stupefacente è quello del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, un macigno inamovibile dove improvvisamente compare una dichiarazione di resa, come cantava Franco Battiato “sul ponte sventola bandiera bianca”: nel 2016 si preveva di farlo scendere nel 2019 al 123.8 per cento del pil, nel programma di stabilità del 2017 ora la cifra diventa 128.2, uno scostamento di 5 punti rispetto alle previsioni, numero anch’esso senza fondamento se guardiamo lo scenario politico e proiettiamo a Montecitorio e Palazzo Madama un sistema dei partiti che uscirà balcanizzato dal prossimo turno elettorale. I dati leggermente positivi dell’economia – frutto di fattori esterni all’Italia - sono di una mostruosa fragilità. Sul bollettino economico di Bankitalia pubblicato ieri c’è un grafico che mostra i buchi nella corazza di cartapesta del nostro paese, è quello relativo al Target 2:

 

 

Sono crollati gli investimenti esteri in titoli pubblici italiani, così come la raccolta netta sull’estero delle banche e gli investimenti esteri in titoli privati italiani, mentre sono aumentati gli investimenti italiani in titoli esteri. Il risultato è un saldo negativo sulla bilancia europea dei pagamenti pari a 420 miliardi di euro, a fine dicembre erano 357 miliardi, 63 miliardi in più in tre mesi. Siamo davanti a un mostro. C’è una fuga di capitali? Mancanza di fiducia nei confronti del nostro paese? Bankitalia e Bce non danno importanza centrale a questo dato. Ma durante la crisi finanziaria quei numeri erano il segnale del malessere. Questa posizione debitoria della nostra banca centrale assume tutto il suo significato se la confrontiamo con quella degli altri paesi dell’Eurozona. Ecco il grafico pubblicato dalla Banca centrale europea:

 

 

Il 7 marzo scorso l’agenzia Reuters aveva segnalato il record negativo italiano, ricordando la tempesta finanziaria del 2011, ora il barometro segna un peggioramento. Il dato è influenzato dal quantitative easing della Bce e dalla ricomposizione del risparmio gestito degli italiani verso i fondi domiciliati all’estero, ma quantità e velocità con cui questo debito sta crescendo è preoccupante. Il governo italiano in autunno dovrà varare una manovra da 20 miliardi di euro in pieno ciclo elettorale. La politica crea tutto questo, ma non se ne occupa, tranne rare eccezioni non sa neppure cosa sia il Target2. Sono fatti così, siedono sulle poltroncine dei talk show, twittano, assicurano benessere e prosperità post-datando l’assegno che dovrà pagare le loro amnesie. Dunque tutto a posto? Il titolare di List ha la strana sensazione di essere sulla spiaggia mentre all’orizzonte sta montando uno tsunami.

 

14 aprile. Nel 1986 gli Stati Uniti bombardano la Libia.

 

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