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I due problemi di Renzi: Renzi e i renziani

Mario Sechi

Andrea Orlando parla con Maria Elena Boschi e avvisa: “Dobbiamo evitare la scissione. Se va via mezzo partito, il Pd che senso ha?”. Che senso ha? Visti i pezzi sulla scacchiera, non ne ha. Ma siamo nel campo dell’irrazionale

Santi Faustino e Giovíta

La scissione, Renzi e i renziani. Renzi ha un problema, anzi due: contenere Renzi, lasciar perdere i renziani. Il primo caso non ha soluzione, il secondo sì. Il turbo-renziano è spigoloso, tignoso, presume di sapere ogni cosa, è un determinista con il destino degli altri (il proprio è sempre al sicuro) e alterna a seconda dell’umore un mo’ te spiego con un mo’ te faccio vede’. Il suo ingenuo meccanicismo è squadernato nelle ragioni ideali (dunque altamente improbabili) della ineludibile scissione, del dado è tratto, del separiamoci e vinciamo! Tra le paginate di cronaca dedicate al tema, oggi alla fine resta un pezzo di taglio basso su Repubblica che illustra perfettamente la situazione. Andrea Orlando parla con Maria Elena Boschi e avvisa: “Dobbiamo evitare la scissione. Se va via mezzo partito, il Pd che senso ha?”. Che senso ha? Visti i pezzi sulla scacchiera, non ne ha. Ma siamo nel campo dell’irrazionale – da una parte e dall’altra – che pretende di essere sillogistico.

 

Sul taccuino del titolare di List sono rimasti alcuni appunti frutto di un giro di cronaca tra le fonti che contano, pesano e soprattutto sanno contare. Eccoli:

  • Quanto vale Renzi. Renzi vale il 60/70 per cento dei voti del Pd;
  • Cosa controlla. La percezione è che non abbia il controllo del partito, ma in realtà lo governa con durezza;
  • In & Out. Renzi non è inclusivo, ma esclusivo;
  • Contare i voti. Quanto valgono gli altri contendenti/uscenti? D’Alema non vale neanche l’1 per cento; fa meglio di lui Pippo Civati (1 per cento), la volatile galassia della neo-sinistra si attesta al 3 per cento, ma è tutta da scoprire; decisamente più solida appare l’iniziativa di Giuliano Pisapia che con i dissidenti di Sel può raccogliere fino al 4 per cento. Totale ipotetico del tutti insieme a sinistra di Renzi: 8 per cento. Sono coalizzabili? Difficile, ma in politica quasi niente è impossibile;
  • Luigi De Magistris. Il sindaco di Napoli comincia a emergere come opzione sul tavolo degli scontenti. Vale più di D’Alema, ha un voto d’opinione meridionale, pesca dall’elettorato 5Stelle deluso e dalla sinistra;
  • Michele Emiliano. E’ quello che può smuovere il quadro politico a sinistra. Esce dal Pd? Una sua candidatura potrebbe mettere d’accordo tutta la sinistra non allineata. E’ il candidato più temibile per Renzi. Lo pensa anche Silvio Berlusconi e la valutazione del Cavaliere su questi temi è da segnare sul taccuino. Emiliano ha un linguaggio diretto, va al punto, colpisce l’elettore.

 

Ancora pronti ad accendere il barilotto di polvere da sparo con la scritta scissione? Ok, allora ecco gli appunti del titolare di List sui tre pilastri della leadership di Renzi:

  • La comunicazione. La forza di Renzi è il linguaggio: diretto, efficace, contemporaneo. Tolto Emiliano, non c’è paragone con tutti gli altri;
  • Il centro che non c’è. La scissione costringe Renzi a andare al centro, cioè in uno spazio politico oggi indefinito a causa di uno scenario sempre più polarizzato. C’è la destra o la sinistra o, meglio, il sovranismo e la globalizzazione;
  • Il non voto. La scissione del Pd e la crisi politica dei 5Stelle a Roma stanno alimentando il partito del non voto. Cosa significa? Che si abbassa l’affluenza, si alza la percentuale dei partiti (alcuni, come Forza Italia, forse il Pd) ma non si schioda il numero dei voti. Catturare il non voto significa cogliere la vittoria, ma in queste condizioni per ora vince l’astensione.

 

Scenario internazionale. Che tipo di elezioni saranno? Influenzate dallo scenario internazionale come non mai. Arriveranno dopo il voto olandese, francese e probabilmente tedesco. Anche se non dovessero vincere, tutte le forze euroscettiche, sovraniste, guadagneranno voti (e seggi) in maniera esponenziale. Cosa contrappone il Pd? Il giovane candidato francese Emmanuel Macron? Gli italiani non sanno chi sia, Macron, mentre riconoscono benissimo – nel bene e nel male - chi è Trump e chi è Le Pen. E’ una questione di immaginario, di egemonia, di vento della storia. E le elezioni si fanno dentro la storia, non fuori.

Lettura consigliata. ai partitanti e ai loro consiglieri: Political Brain, di Drew Westen. Quanto contano le emozioni in politica? Sono (quasi) tutto.

 

Il risparmio e la fiducia. In questo quadro di totale incertezza, oggi alla Camera ci sarà il voto di fiducia per la conversione in legge sul decreto di salvataggio del Monte dei Paschi. Il famoso provvedimento sulla tutela del risparmio, quello da 20 miliardi. Dall’intervento di emergenza a oggi è calata una coltre di silenzio: poco si sa di quello che sta accadendo tra management e Stato che mette i soldi sul piatto. Nelle liti sulla scissione del Pd emerge anche un regolamento di conti bancario. Si prendono a

 

Il protezionista è Trump. Proprio così, quello contro il free market, il dittatore dei mercati con i dazi. Il protezionista è Trump, non il governo tedesco che dice nein! il gruppo General Motors non può vendere le attività della Opel in Germania ai francesi di Psa Citroen. Quei mangiatori di lumache? In Germania? Achtung! Il protezionista è Trump, proprio così, quello che viene descritto come l’Attila del container. Sì, il nemico della globalizzazione è lui, non quelli del Parlamento europeo a Strasburgo contrari al CETA, il trattato di libero scambio tra Unione europea e Canada. Non l’Olanda che si prepara a affondare quel trattato con un referendum. Il protezionista è Trump, il giornalismo collettivo è servito.

 

15 febbraio. Nel 1933 Franklin Delano Roosevelt sfugge a un attentato a Miami. Anton Cermak, sindaco di Chicago, muore. L’attentatore si chiama Giuseppe Zangara, rischia di essere linciato dalla folla, viene arrestato e si giustifica così: “Non odio Roosevelt, ma i ricchi che lo circondano”.

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