Le proteste di ieri al Cie di Cona (foto LaPresse)

C'è una dimenticanza nel dibattito sulla rivolta a Cona: la demografia

Mario Sechi

I trend di crescita della popolazione e le migrazioni sono noti da decenni, chi fa reale pianificazione del futuro queste cose le studia e le trasforma in azione politica

Santa Angela da Foligno

 

Il piano anti-rivolta. Sui giornali c’è una forza della storia, viene impaginata più o meno come un tratto d’inchiostro che si può cancellare facilmente. Cos’è? La demografia. Molti titoli d’apertura dei quotidiani stamattina sono dedicati alla rivolta degli immigrati nel centro di accoglienza di Cona, nel Veneto, il registro degli articoli va dal questurese all’apocalittico, con il consueto copia e incolla delle formule del giornalismo collettivo. Il Corriere della Sera titola così: “Accordo per i rimpatri e piano anti-rivolte”. Piano anti-rivolte, segnato sul taccuino. Quando la politica dopo un incidente (prevedibile) dice di avere un piano, la traduzione in tipografia fa un salto di qualità nel surreale. Il Messaggero non si lascia sfuggire la notizia e il nuovo conio linguistico-politico: “Migranti, il piano anti-rivolta”. Qui è al singolare, ma sempre piano è. Ai cronisti del Gazzettino (di Venezia) il piano invece nella titolazione è sfuggito, segno che non deve proprio essere così ben pianificato: “Cona, tensioni dopo la rivolta”. La Stampa incolonna la verità, nessun sindaco vuole gli immigrati, perché il clima elettorale (l’Italia è sempre in campagna elettorale, anche quando non si vota) impone law and order perfino dove regna diffusamente un permanente italico disorder, con o senza immigrati: “I sindaci attaccano, sugli immigrati il governo sbaglia”. Che si alzino le barricate! Nel Mediterraneo? Vaste programme. Fanno proprio fatica a usare la parola che spiega tutto e i numeri che squadernano la verità: demografia. Occhio a questo grafico:

E’ tratto da uno studio della Cia (Central Intelligence Agency) del 2001 sulla demografia e il cambiamento geopolitico. Non ha bisogno di spiegazioni. I trend di crescita della popolazione e le migrazioni sono noti da decenni, chi fa reale pianificazione del futuro (toh, riecco il piano) queste cose le studia e le trasforma in azione politica. Negli Stati Uniti si gridò allo scandalo quando Donald Trump in campagna elettorale disse che avrebbe espulso tre milioni di clandestini, ma in realtà il numero di The Donald è sbagliato per difetto e sarà superato dalla politica di espulsioni dell’amministrazione Obama, questi sono i numeri (aggiornati al 2014) forniti dalla Homeland Security:

 

Il crollo degli sbarchi. Ma qui siamo in Italia (e in Europa) nel pieno di un ciclo elettorale continentale (si vota in Francia e in Germania) segnato dall’incertezza e dallo smarrimento della piccola classe dirigente (con la sola eccezione di Angela Merkel in Germania). Non c’è un’invasione in corso, rispetto al 2015 gli arrivi via mare sono crollati. Ecco i numeri dell’agenzia Onu per i rifugiati:

Furono più di un milione nel 2015, sono declinati a circa 360 mila nel 2016. Là fuori, per esser chiari, ci sono un paio di guerre devastanti a cui la stessa Italia ha dato il suo supporto, spesso facendo finta di non essere d’accordo, ma fornendo poi la sua piena collaborazione logistica (Libia, do you remember?). Quello che emerge dai numeri e dal penoso dibattito politico è l’incapacità dell’Europa nel gestire un fenomeno che per ora è controllabile, ma domani forse no per effetto della pressione demografica e dell’instabilità mondiale.

 

Alfa e Minni. L’Italia ha fatto bene la sua parte in mare, ma a terra la situazione è caotica perché manca la coesione politica. Oltre la mitologia propagandistica, sta emergendo una strana coppia in concorrenza sulla stessa materia, Alfa e Minni, il duo Minniti-Alfano. Il primo fa il ministro dell’Interno ed è nel suo campo da gioco, il secondo è stato promosso ministro degli Esteri e siamo nel campo dei miracoli. In pagina il risultato di questo rimescolamento di ruoli del governo Gentiloni ha un effetto psichedelico. Corriere della Sera: “Minniti a Tunisi. Nuove regole dell’accoglienza”. La Stampa: “Alfano: intese sui rimpatri. Stiamo lavorando ad accordi con Niger, Libia e Tunisia per ridurre gli arrivi di migranti”. Chi sta al Viminale? E chi alla Farnesina? I due si parlano prima di informare le masse via tipografia? Così sull’immigrazione siamo al dual shock della PlayStation, ma il problema è che siamo senza controller.

 

La non crescita (demografica) americana. Il tema dell’immigrazione si intreccia con le zero nascite dell’Occidente e tocca gli Stati Uniti. Senza un aumento della popolazione non ci può essere una superpotenza. BloombergView ricorda gli ultimi dati desolanti del Census Bureau: la popolazione americana è cresciuta dello 0,7 per cento, un dato pari a quello degli anni della Grande Depressione. Combinate questo numero con quello dei giovani americani che vivono ancora in casa dei genitori (il 40 per cento, dato che riporta agli anni Quaranta) e avrete l’immagine di una nazione con un futuro tutto da reinventare per non declinare. Keynes diceva che nel lungo periodo siamo tutti morti, ma guardare solo al breve periodo accorcia la vita di una nazione.


La Verità di Beppe. In questa fuga dalla realtà, il Movimento 5 stelle sguazza da sempre. D’altronde, in un paese che diffida della scienza e confida nell’astrologia (vedere alla voce: rivolta per l’assenza di Paolo Fox sulla Rai) tutto è possibile. Beppe Grillo nel giro di 24 ore è diventato garantista e ha confermato di essere anche giustizialista. Nell’italico dibattito sulle fake news il comico ha trovato il modo di infilare una giuria popolare contro i media. A Grillo mancano i fondamentali sulla materia (non solo quella), ma il giornalismo ha già un giudice, si chiama pubblico e al di là delle distorsioni del mercato frutto di oligopoli di ieri (la tv) e di oggi (i titani della rete) è un sistema che funziona, dove ci sono diritti, doveri, controlli, responsabilità, leggi che nel Far West internettiano del Grillo non esistono e si traducono in maniera esponenziale in ruttodromo e character assassination. Grillo vuole guidare il paese o essere il capo di quelli che con sulfurea arguzia Enrico Mentana chiamò webeti? Non a caso proprio Enrico Mentana ha deciso di querelare Grillo. Il direttore de La7 sa usare i social network, cura personalmente i suoi account, dialoga con i lettori su Facebook, pubblica foto su Instagram, alterna la riflessione profonda con l’humour, conosce il mezzo e non lo confonde mai con il messaggio dell’idrofobia di massa. Sta sopra quella schiuma, fa comunità e prova a far riflettere chi lo segue. Fa il suo mestiere. Grillo no, non riesce a uscire dalla grotta. Dovrebbe, perché è l’unica strada per far diventare i suoi voti qualcosa che sia degno di esser chiamato politica. Sembra una missione impossibile. Voliamo da un’altra parte, seguite il titolare di List.

 

L’auto americana. La Ford ha cancellato i suoi piani di delocalizzazione in Messico e promesso un investimento da 700 milioni in Michigan. Effetto Trump. Ah, Ford naturalmente dice che no, non è così, ma la realtà è che il presidente eletto (il 20 gennaio entra alla Casa Bianca) sta suonando i tasti giusti del piano sulla manifattura americana. Il Wall Street Journal pubblica un grafico che spiega benissimo il tema:

Il Peterson Institute for International Economics – sempre citato dal WSJ – fa però un conto sull’impatto sul mondo del lavoro: alla fine del gioco messicano, la perdita netta di lavoro per gli Stati Uniti sarebbe di 15.000 posti l’anno. Pochi? No, sono parecchi, soprattutto alla luce della ripresa economica rispetto alla recessione del 2008. C’è un problema di percezione del problema reale. Questa comparazione tra i vari periodi fatta da Constantin Gurdgiev è illuminante:

Serve altro? E’ una ripresa con pochi posti di lavoro. E’ il terreno sul quale Trump ha vinto la campagna elettorale. Il tema del lavoro – e del commercio mondiale – continuerà ad essere il centro del dibattito americano e non solo. L’Europa ne è investita in pieno, Angela Merkel pensa di chiudere un nuovo accordo su corporate tax e commercio mondiale con Trump durante la presidenza tedesca del G20, prima che l’Eurozona venga spiazzata dalla riapertura dell’Anglosfera tra Washington e Londra. E’ tornata la relazione speciale tra Stati Uniti e Regno Unito. C’è da fidarsi? Il poeta Novalis fece un sublime e definitivo passaggio: “Ogni inglese è un’isola”.

 

4 gennaio. Nel 1619 trentotto coloni della Parrocchia di Berkeley, in Inghilterra, sbarcano in Virginia e ringraziano il Signore (è il primo Giorno del ringraziamento).

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