Matteo Renzi (foto LaPresse)

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Il governicchio e il papocchio. Bentornati nella Prima Repubblica

Mario Sechi

Vince il No, Renzi se ne va. Fuori c’è la rivoluzione, ma tranquilli, tutto si svolge come prima. Traduzione: si va avanti finché c’è benzina. 

San Saba.

 

Splende il sole e la Borsa va. Che succede? Niente, i mercati cominciano a capire che l’Italia ha una liturgia particolare e non bisogna preoccuparsi troppo. Mille giorni di te e di me (Renzi-Baglioni) se ne vanno in un soffio, in una notte. Veloce arrivò. Come un lampo se ne andò. E la Borsa, il crollo, l’Armageddon finanziario? Tutto rinviato. Il titolare di List alla vigilia del voto aveva avvisato i naviganti: hanno già venduto i Btp. Dunque? Ecco qui l’indice Stoxx Europe 600:

 



 

Gli indici europei sono più che su, Piazza Affari è positiva, lo spread non si allarga e sulle banche restiamo come prima, tutto da risolvere e prima o poi qualcosa accadrà. Sembra un quadro surreale, una quiete che prelude a una tempesta perfetta, ma è la realtà e d’altronde un paese che dal 2011 a oggi ha sfiammato tre presidenti del Consiglio e ne ha in arrivo un quarto che a sua volta è solo l’antipasto di un quinto, alla fine, un paese così non può essere preso sul serio. Sì, ma il futuro? Facciamo un salto indietro, per farne due avanti.

 

Chi ha vinto? Goldman Sachs. La banca d’investimento americana aveva preso molto bene le misure del futuro di Renzi. Il soggetto era stato impacchettato così in questo grafico che avevamo pubblicato nel numero del 3 dicembre:

  



 

La landslide victory del No era stata prevista da Goldman (il voto nelle urne ha fissato un poderoso 59,1 a 40,9) il resto della storia è tutto da raccontare. Coalition government? Renato Brunetta a domanda precisa del titolare di List ieri su Sky Tg24 ieri ha detto no, Forza Italia non darà mai l’appoggio a un governo di larghe intese per fare la traversata nel deserto delle nuove elezioni. Questo lo dice Brunetta, bisogna vedere cosa dirà Berlusconi, il cui indice di volatilità dell’umore è altissimo. L’exit laterale del Mr. Renzi remains è impossibile per ragioni che ovviamente sembrano sfuggire (di nuovo) agli editorialisti con la messa in piega da coiffeur. Reincarico de che? Forse non è chiaro a sufficienza che cosa è successo, serve una spazzolata alla parrucca: gli elettori hanno preso a sberle Renzi e la sua politica economica, da nord a sud, isole comprese. In queste condizioni per il premier dimissionario non sarà facile mantenere la segreteria del partito, figuriamoci restare a Palazzo Chigi per farsi prendere a schiaffi dall’opposizione. La situazione è grave, ma non seria. Dunque occorre una meravigliosa arma di distrazione di massa, un gingillo istituzionale carico come un revolver a acqua. Siamo in Italia, cosa serve? Seguite il titolare di List.

 

Il governicchio e il papocchio. Fuori c’è la rivoluzione, ma tranquilli, tutto si svolge come prima. La liturgia del Palazzo ha una grande resistenza, servono solo due cose, con urgenza: un governicchio e un papocchio, bentornati nella Prima Repubblica. Il governicchio serve ad andare verso un dove senza un quando troppo preciso: c’è da portare a casa uno straccio di legge elettorale e bisogna farlo con la diluizione di tempo massimo possibile. Traduzione: si va avanti finché c’è benzina. Il capo del governicchio deve avere un suo grigiore naturale, la massima affidabilità, stima generale e il minimo di autonomia consentita dalla situazione. Il papocchio è la condizione necessaria per la nascita e sopravvivenza del governicchio: la legge elettorale proporzionale e senza doppio turno, con un premio ma non troppo, uno sbarramento che non si vede, facilissimo da saltare, oplà ci riesce perfino per un Alfanoide.

 

Ma Renzi? Prepara l’ennesima campagna elettorale per provare a riprendersi dal ko. Il problema è che stamattina si è aperto anche il congresso del Pd e due fuochi accesi sono troppi. Soprattutto per chi si è scottato entrambe le mani. E poi il Pd esce dal voto con i connotati rifatti: non ha nessuna forza aggregatrice, gli elettori di destra si scambiano il mazzo di carte, leghisti, forzisti e pentastellati si votano a vicenda. Chi vota il Pd? E’ il solito tema del partito monolitico, recintato come nel Far West, un ranch dove entrano solo cavalli democratici.

 

La Brexit di nuovo in tribunale. La Corte suprema inglese oggi si riunisce per discutere l’appello sul meccanismo che innesca la Brexit. Chi fa scattare l’articolo 50 che catapulta il Regno Unito fuori dall’Europa? Il governo di Theresa May o il Parlamento d’Inghilterra? I giudici sostengono che niente si fa se non lo decidono le Camere. Ma a Downing Street la pensano in maniera esattamente contraria. Grande battaglia legale, esposizione delle tesi e poi decisione della Corte. Strana democrazia, il popolo decide ma non conta niente e la discussione si riduce a questa domanda: chi ha il vecchio Crown Power che dà il potere di rappresentare il Regno nella politica estera? Il governo o il parlamento? Sono proprio inglesi.

 

5 dicembre. Nel 1925, prima proiezione de La corazzata Potëmkin di Sergej Ėjzenštejn.