David Cameron durante il discorso dopo l'esito del referendum sulla Brexit (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Oggi la Brexit, ora il contagio?

Mario Sechi
Il premier inglese lascia dopo la vittoria del Leave. Il primo test post Brexit è imminente, il 26 giugno si vota in Spagna, elezioni politiche che seguono un turno a vuoto, senza vincitori. Il voto di dicembre è stato un fiasco, il risultato del referendum inglese potrebbe essere un punto di svolta. Possibili scenari
Natività di San Giovanni Battista.

 

Titoli. L’Unione europea ha perso la Regina, la Gran Bretagna è Little England, il Regno è Disunito, il nuovo giorno è uno shock sui mercati, la Borsa è la vita, Elisabetta è l’unica certezza, Boris Johnson ha vinto, David Cameron si è autorottamato e si dimette, Nigel Farage resta Farage (commenta in anticipo la sua sconfitta e poi vince a sua insaputa), il Vecchio Continente da oggi è più vecchio, c’è tempesta sulla Manica e il Continente è isolato, Londra si scopre un’isola, il Galles ruggisce ancora, la Scozia e l’Irlanda del Nord parcheggiano a Bruxelles, i titoli dei giornali sono tutti bruciati (e sbagliati), allacciate le cinture, si parte per un viaggio pericoloso e ricordate sempre: il popolo salvò Barabba.

 

Il risveglio. Anno 2016, 24 giugno, questo è il risveglio dell’Europa. E’ un voto che cambia tutto. “Popular revolt”, titola il Financial Times. E in quel “popular” ci sono errori e opportunità. Si è aperta una gigantesca crisi, una sfida titanica. Prendete la Treccani, andate fino in fondo alle cose, all’origine di tutto, esplorate il verbo, la parola. E’ sempre la lingua a darci conforto, ragione e torto, indicare la via, aprire e chiudere le porte. “Crisi” è parola di origine greca, significa scelta. Una domanda s’affolla nella mente di chi cerca di conservare lucidità, razionalità, pragmatismo: e adesso? Perché la vita non finisce qua, si apre subito un altro capitolo di questo romanzo grandioso, bello e tragico. Gli inglesi, questi isolani, croce e delizia della nostra storia, hanno deciso di voltarsi indietro, senza avere nessuna idea di cosa ci sarà davanti. Ma noi? Noi cosa facciamo?

 

Effetto Domino. E’ il rischio più grande: il contagio. Il primo test è imminente, il 26 giugno si vota in Spagna, elezioni politiche che seguono un turno a vuoto, senza vincitori. Il voto di dicembre è stato un fiasco, il risultato del referendum inglese è un punto di svolta. Cosa faranno i baschi e i catalani? Podemos o non podemos? E’ troppo tardi per salvare Madrid dall’ondata? Vedremo, contano i dati, i fatti, non le opinioni, tra 48 ore avremo un chiodo dove appendere il quadro iberico. La corrida. Alle cinque della sera… Garcia Lorca. Intanto in Olanda Geert Wilders è stato il primo a chiedere un referendum fotocopia di quello britannico, il Nexit, e non sarà facile negarlo. A ruota è arrivata la stessa richiesta firmata da Marine Le Pen. Toh, c’è anche quello della felpa, Matteo Salvini, specialista in vittorie degli altri.

 

Dal briefing quotidiano di Paul Donovan per UBS: “Il voto è il risultato di un lungo trend politico globale. Negativo per la crescita economica”. Contagio.

 

Che cosa è il contagio? Dove colpirà? Questa mappa di Stratfor è quella da osservare con calma per capire dove si abbatterà lo tsunami che dalla Manica si proietta verso l’Europa continentale:

 

 

Come vedete, siamo di fronte a un’Idra vorace: rischi finanziari che riguardano Paesi con alti livelli di debito pubblico, difficoltà nel sistema bancario (welcome, Italy); Stati dove i partiti euroscettici sono all’opposizione ma con una capacità di interdizione crescente (again: welcome, Italy); paesi dove l’incertezza di governo è dietro l’angolo (Spagna e, ancora una volta, Italia con il governo Renzi alle prese con il difficile passaggio del referendum costituzionale di ottobre); fragilità economica derivante da eccessiva dipendenza da interscambio con il Regno Unito (non è il caso dell’Italia il cui problema è tutto finanziario e politico). E’ una mappa piena di botole, una giungla dove i paesi del Sud Europa (Italia, Portogallo, Spagna e Grecia) sono potenzialmente prede facili della speculazione. Memento: questo commento di George Soros sul Guardian – già segnalata da List – che qualche giorno fa prevedeva un venerdì nero sui mercati.

 

Mercati. Panic. La Sterlina tocca i minimi da trent’anni. Occhio al crollo della radiosa giornata dell’exit:

 

 

Lo scossone è gigantesco e si può apprezzare in quest’altro grafico:

 

 

L’effetto sui titoli di Stato è immediato. L’interesse dei Bund tedeschi va al minimo storico, lo spread tra Btp decennali e omologhi tedeschi sale a 177 punti dai 123 punti della chiusura ieri. Comincia a suonare la rumba per il debito pubblico dei paesi a rischio.

 

Italia, il grande debito (e la grande opportunità). Vertice a Palazzo Chigi per fare il punto della situazione. Serve sangue freddo. Il presidente del Consiglio deve gestire una crisi che in queste prime ore dopo il voto inglese si annuncia violenta. Sarà fondamentale l’azione delle banche centrali. Bisogna sperare che funzionino i piani di Mark Carney (Banca d’Inghilterra) e Mario Draghi (Banca centrale europea). Su Wall Street, incrociamo le dita. Passata la tempesta, per l’Italia si aprono molte opportunità. Il suo ruolo in Europa sarà ancor più decisivo, ma la gestione delle situazioni politiche interne è essenziale. La premessa è la stabilità interna. In uno scenario del genere non si può perdere tempo a discutere con D’Alema e dichiarare che si va a casa se si perde il referendum. Siamo di nuovo sotto la lente dei mercati, si bruciano risparmi e si mette a rischio il paese. E’ uno di quei rari momenti della storia in cui si vede la differenza tra i politicanti e gli statisti. Matteo Renzi ha il dovere di essere statista in Europa e in Italia.

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