Conversazioni sulla cultura russa

Micol Flammini

Jurij Michajlovič Lotman
Bompiani, 448 pp., 17 euro

Forse nessuno, prima di leggere Lotman, aveva pensato che la storia della Russia si potesse raccontare attraverso i vezzi, gli abiti e le movenze del suo popolo. Conversazioni sulla cultura russa è proprio questo, un atlante culturale che ripercorre gli usi e i costumi nazionali dal Settecento al Novecento, offrendo uno spaccato della società colta nella sua evoluzione. Nello scorrere le pagine del saggio non si può fare a meno di notare la struttura filmica del volume, che procede quasi fosse una saga della storia russa raccontata attraverso gli espedienti di una moderna serie tv. Il libro infatti riprende le trascrizioni di una trasmissione che andò in onda in Estonia dal 1986 al 1991, in cui il semiologo Jurij Michailovic Lotman disquisiva di cultura nel tentativo di offrire ai telespettatori un ritratto del popolo russo, o meglio della sua memoria. Conversazioni sulla cultura russa procede con un andamento molto discorsivo, è diviso in trentatré lezioni organizzate in cinque cicli.
Il linguista, che fondò nella cittadina estone di Tartu la sua famosa scuola di semiotica, presenta il popolo russo giocando con quelli che sono i cardini di tutta la sua teoria linguistica: cultura, memoria, testo e li addolcisce per raccontare una storia fatta soprattutto di quotidianità. Il libro alterna quindi toni narrativi, passi esplicativi, digressioni e si serve anche di espedienti romanzeschi. Sebbene la semiotica, la branca della linguistica che studia i segni e il loro significato, sia la struttura portante di queste lezioni lotmaniane, la leggerezza con cui viene affrontata trasporta il lettore dentro una macchina del tempo, in cui Lotman fa da guida e offre la combinazione per interpretare i segni che si nascondono dietro ogni consuetudine.
Il cuore delle Conversazioni, e più in generale di tutta la teoria di Lotman, è quell’insieme di informazioni che la memoria di un popolo custodisce, anche inconsciamente. Le lezioni nascono proprio dalla necessità di preservare la memoria che, secondo il semiologo, per sopravvivere ha bisogno di essere tradotta in un insieme di informazioni codificate. Qui interviene la cultura, che altro non è che l’organizzazione strutturale del mondo che circonda l’uomo. Alla base di tutto c’è il segno, l’oggetto di studio della semiotica che in queste pagine è ovunque, ma si nota solo in controluce, pronta a mostrare al lettore come tutto nella vita sia comunicazione. Comunicazione era il ballo, comunicazione era il merletto degli abiti delle donne che variava a seconda della posizione che il marito occupava nella tavola dei ranghi voluta da Pietro il Grande. Comunicazione è l’opera d’arte che insieme alla scienza “rappresenta i due occhi della cultura umana”.
A fare da sfondo alle Conversazioni di Lotman c’è la titanica letteratura russa. Nella quinta lezione del secondo ciclo, il semiologo racconta la storia dei decabristi, i membri della società segreta che preparano la rivolta nel dicembre del 1825 contro lo zar, e dimostra come la vicenda nutrì per anni la letteratura russa dell’Ottocento che trasformò i veri decabristi in personaggi letterari. Poi, nella lezione successiva, Lotman svela come il rapporto tra letteratura e vita sia, in realtà, osmotico. Nell’analizzare le frasi fatte o le formule rituali della lingua, lo studioso mostra come la quotidianità attinga costantemente da un repertorio di espressioni nate prima sulle pagine dei libri e poi entrate a far parte del lessico quotidiano.
Conversazioni è un saggio colloquiale, il tentativo del grande semiologo di decodificare la cultura russa, per permetterle di sopravvivere.

 

CONVERSAZIONI SULLA CULTURA RUSSA
Jurij Michajlovič Lotman
Bompiani, 448 pp., 17 euro

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