Il laureato

Francesco Musolino

Charles Webb, Mattioli, 211 pp., 15 euro

Nel 1963, quando Il laureato (The Graduate) venne pubblicato negli Stati Uniti, Charles Webb aveva appena ventidue anni. Il libro vendette bene ma fu solo quattro anni dopo, nel 1967, con l’uscita del film diretto da Mike Nichols, che emerse tutta la forza di quella storia di adultera trasgressione. Il merito fu del volto inconfondibile di Dustin Hoffman e delle canzoni del duo Simon & Garfunkel, con quella mitica traccia dedicata a Mrs. Robinson, seducente donna matura e sposata, invaghitasi di un ventenne imberbe. Era una storia destinata a entrare con prepotenza nell’immaginario collettivo. Il Laureato – scrive Paolo Cioni che firma la pregevole traduzione nell’edizione di Mattioli – fotografa le tensioni sociali di un’America disillusa, la bulimica insoddisfazione delle nuove generazioni per la vita da middle-class, fatte di camicie stirate, piscine e Martini.

 
La disillusione è il tratto principale del protagonista, Ben, un ragazzo che a un passo dal tuffarsi nel futuro, come il Bartleby di Melville, vorrebbe tirarsi indietro, fermarsi a respirare. Un ventenne in un mondo di adulti che ancora oggi, cinquant’anni dopo, è capace di raccontare cinicamente la società che corre sotto i nostri occhi, soprattutto grazie a un linguaggio ridotto all’osso, con interi dialoghi fatti di monosillabi e punti di domanda, fra incomprensioni, tentennamenti e una certa dose di imbranataggine, specie nel protagonista. Del resto Ben non è affatto un seduttore virile, anzi, è l’oggetto del desiderio di Mrs. Robinson che si definisce una donna alcolizzata, sposata a un marito che non ama e non desidera affatto. Ma la tentazione è troppo forte per resistere e fra Ben e Mrs. Robinson – complice le camere dell’Hotel Taft – scatterà una relazione sessuale molto intensa. Eppure Ben ha un candore di fondo che lo fa tentennare e lo spingerà fatalmente fra le braccia di Elaine, la figlia di Mr. e Mrs. Robinson, dando il là a una cascata di conseguenze catastrofiche dall’esito finale nient’altro che scontato, fra ripicche e colpi di scena, spostando l’azione a Berkeley, nel campus della giovane ragazza.

  
Il Laureato non ha una trama molto articolata e, come detto, fa perno su dialoghi essenziali che traggono forza proprio dall’incomprensione reciproca dei personaggi – soprattutto quella che separa Ben dai propri genitori, figli di epoche diverse – e proprio per questo Ben viene colpito dal fascino di Mrs. Robinson, dal desiderio di godere e trasgredire gli schemi e le convezioni sociali che reggono quella ingessata collettività che sta soffocando Ben. Del resto lei lo inizia ai piaceri della carne ma rompe il tabù del matrimonio, mandando in frantumi la sacralità dell’idea del matrimonio, mostrandogli la finzione della propria vita accanto al marito.

  
Ben sta andando alla deriva e rifiuta l’idea del futuro perfetto dietro la cattedra e proprio quando sembra a un passo dall’atarassia, fra alcol e pomeriggi interi passati a prendere il sole in piscina sul materassino, entra in scena il candore di Elaine, come un cerbiatto dentro una fiaba dei fratelli Grimm, destinata a portare speranza o a finire nel peggiore dei modi. In fondo la forza dei classici è proprio quella di riuscire a emergere in mezzo a centinaia di libri insulsi, restando sempre a galla, offrendoci anche a cinquant’anni di distanza dalla pubblicazione, un punto di vista senza ipocrisie sulla nostra società, sulle differenze che separano ogni generazione, scavando un solco di incomprensioni destinate a mandare in frantumi i sogni che i genitori nutrivano per l’avvenire dei propri figli.

   

IL LAUREATO
Charles Webb
Mattioli, 211 pp., 15 euro

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