Il persecutore

Alessandro Moscè

Julio Cortázar, Einaudi, 87 pp., 14 euro

Il tempo e il suono: sono queste le due ossessioni, amalgamate tra reale e fittizio, con l’osservazione acuta di Julio Cortázar, nel romanzo Il persecutore da poco rieditato da Einaudi. Lo stesso scrittore nato in Belgio, naturalizzato francese, ma di origine argentina, ha sottolineato il suo distacco dal mondo fantastico che è stato di Borges, per approdare a un tipo di narrativa in cui la figura centrale è l’individuo, il personaggio. Cortázar voleva scrivere qualcosa sullo spirito dell’artista e ci è riuscito pienamente. Johnny Carter (Charlie Parker) e Bruno, critico musicale, si incontrano come le loro personalità: una creativa, l’altra illuminista. Tra tempo e suono si dipanano molte associazioni mentali. Scrive Cortázar: “Non so dirlo meglio, è come una cognizione di quanto improvvisamente nella vita di un uomo si inneschino associazioni spaventose o stupidissime, senza che si sappia quale legge, diversa dalle leggi censite, stabilisca che a una certa telefonata seguirà immediatamente l’arrivo di nostra sorella”. C’è qualcosa di misterico e sfuggente nel libro, come se il tempo e il suono non abbiamo una destinazione, ma siano, oltre che invisibili, imperscrutabili. Fino a che questo spaesamento diventa quasi cosmico, una manìa che costella la vita dei personaggi negli interrogativi, nel dolore, nel tentativo di capire e di capirsi. Iper-romanzi o anti-romanzi, ha detto la critica: di certo Cortázar ha donato sempre qualcosa di avviluppante tra dubbi, intoppi, estraneità. I suoi personaggi non si danno pace e Charlie Parker è l’emblema di questo rovello interiore, tanto da diventare egli stesso persecutore di un’ombra, di una complessità trasmessa nella musica, nella domesticità di chi dorme o fa finta di dormire, lasciando l’altro, chiunque sia, fuori dal suo universo ovattato. Miserabile ma poetico, malato ma talentuoso. Johnny è un angelo dannato tra gli uomini, ma chi lo conosce finisce per rimanerne infatuato. Carlo Boccadoro, nella prefazione a “Il persecutore”, parla di un dietro la maschera, di scambio di ruoli, anche di pseudonimi. Non è questo, in verità, un modo per sfuggire dalla propria persona per essere altro da sé? Il tema del doppio, un archetipo della letteratura, si fa strada tra la pagine di Cortázar e in chi, come Bruno, inquadra Johnny tra “pezzi di cose che transitano”, mentre per lui, un caso paradigmatico di conformista, la moglie e il lavoro sono punti fermi. Resta la genialità di Parker, il rinnovamento del linguaggio jazzistico, la volontà di sconvolgere il passato, pur senza definirsi rivoluzionario. Bruno seziona i dettagli dell’amico-nemico come estrapolandoli dalla lente di un microscopio.

 

IL PERSECUTORE
Julio Cortázar
Einaudi, 87 pp., 14 euro

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