Le nuvole

Alessandro Moscè

di Juan José Saer, La Nuova frontiera, 184 pp., 16,50 euro

Juan José Saer viene considerato, da molti critici, il maggior scrittore argentino della generazione successiva a Borges (è venuto a mancare nel 2005). La sua scrittura fonde la requisitoria sul comportamento umano ai lati più oscuri e insondabili, con un tono sapienziale, fino all’introduzione di elementi realistici. In questo romanzo, Saer narra soprattutto la follia, in una vicenda datata 1804, e un lungo, difficoltoso viaggio a cavallo e in carrozza per un luogo di detenzione a due leghe da Buenos Aires, in un terreno sopraelevato e in una località chiamata Le tre acacie. Pichón Garay riceve un misterioso floppy disk che contiene il diario di Real, un medico del XIX secolo allievo di un illuminato psichiatra austriaco, il dottor Weiss.

 

Nasce da qui l’epica traversata della pampa argentina piena di acquitrini e inondazioni per accompagnare i primi pazienti di un sanatorio all’avanguardia dove i malati di mente, figli di gente ricca, possono vivere in libertà, assistiti da chi pensa che l’anima si cura perché è una mescolanza di sentimenti, passioni, immaginazioni, menzogne e verità.

 

Le richieste di cura provengono dall’Argentina, ma anche dal Paraguay, dal Perù e dal Brasile. La carovana è composta da Prudencio Parra, un introverso catatonico con i pugni sempre serrati, tanto che le unghie lunghe gli feriscono la pelle; Teresita, una suora convinta che l’amore carnale e l’amore divino possano coesistere ben oltre ogni concetto di blasfemia; Troncoso, un iperattivo insonne, brillante e autonomo; Juan Verde che ripete sempre le stesse tre parole con modalità diverse, e suo fratello Verdecito che emette grugniti, balbettii, pernacchie. La carovana è scortata da un nutrito seguito di soldati, guide e prostitute. Scrive Saer: “Per la scienza che ne ha fatto il proprio oggetto di studio, i pazzi sono un enigma, ma per le famiglie in seno alle quali vivono, sono un problema”. Il dottor Weiss vive l’istante, come è solito dire, che lo preserva dalla morte. L’istante è l’eros, il sesso. Sa trattare i malati, li capisce. La malattia psichiatrica viene controllata attraverso il lavoro: la cura dell’orto, le riparazioni, la pittura. Tutto ciò che non si capisce, per gli altri può essere sospetto, ma non per Weiss, che compie un’impresa salvifica per ben quattordici anni. Il romanzo è incentrato prevalentemente sul viaggio per raggiungere la cosiddetta Casa di Salute.

 

Saer è molto bravo a descrivere l’esperienza e i caratteri degli individui. La prosa è impegnativa, ma il linguaggio risulta aeriforme. Non manca l’inquadramento ambientale della pampa, la piena invernale del fiume, l’avversità per uno spostamento che deve fare i conti con la durezza del terreno, tra matti “distanti e ostinati”. Nelle strade vicino al fiume è infatti impossibile camminare, perché il suolo sabbioso, instabile, si attacca agli zoccoli dei cavalli.

 

C’è sempre da sperare che smetta di piovere e che il cielo ritorni limpido e terso. “Con i miei cinque malati, mi sentivo come quei giocolieri del circo che fanno girare contemporaneamente su un tavolo cinque piatti in piedi sul bordo”, dice Real. I matti di Juan José Saer sono provocanti, burloni, indefinibili. Si distinguono in una continua provocazione che divide un sintomo dalla normalità, una bizzarria dalla costumanza.

 

Come nel romanzo dello stesso Saer, Cicatrici (La Nuova frontiera, 2012), ogni uomo interpreta il suo destino, uno scorrimento di fatti che lo riguarda non solo volontariamente. Enigma e stupore rompono il fronte del giorno, di tutto ciò che è prevedibile.

 

LE NUVOLE

Juan José Saer

La Nuova frontiera, 184 pp., 16,50 euro

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