Simboli dell'Impero

Pietrangelo Buttafuoco

di Claudio Mutti, Edizioni all’insegna del Veltro, 100 pp., 18 euro

La facciata del duomo di Fidenza è un libro aperto. E c’è un volume da poco ristampato – “Simboli dell’Impero” di Claudio Mutti – che porta alla vita le pietre per farne rito. E’ un libro di elegante fattura, ricco di fotografie, per un racconto tutto di simboli. Il sovrano è in cammino verso Roma quando, d’improvviso, s’impenna il proprio cavallo e non gli riesce più di farlo proseguire. La storia ha tutte le storie. Ed è un angelo – apparso mentre il destriero insiste nel mettere radici sul tratturo che dalla Francia porta in Italia – a svelare a Carlo di Francia il senso di quella tappa obbligata: vi è sepolto un prezioso tesoro. L’imperatore dice “amin!” all’angelo, fa scavare e trova le spoglie di un martire. E’ quello, il luogo esatto in cui è effuso il sangue di san Donnino, all’epoca di Marco Aurelio. Carlo vi costruisce una grande chiesa (i primi documenti attestano la datazione intorno al 1117), e lascia ai costruttori il pomo d’oro del proprio bastone affinché, fondendolo, se ne ricavi un calice. Donnino, cameriere personale dell’imperatore Massimiano, trovandosi in Gallia si rifiuta di onorare gli dèi e fugge con alcuni soldati cristiani in Italia. Raggiunto dalle guardie dell’imperatore è decapitato ma raccoglie la propria testa da terra, guada il torrente Stirone, raggiunge la riva dove poi, sdraiatosi per terra – ponendosi il capo sul petto – trova finalmente sepoltura. La decapitazione ha un forte valore simbolico. E’ la sede dell’anima, la testa – così per gli antichi – e dunque “perdere la testa” equivale a spogliarsi del proprio io per elevarsi spiritualmente. Altro tema è quello cavalleresco: nella cerimonia d’investitura del cavaliere, il vescovo colpisce per tre volte sulla spalla con la sua lama il novizio, e dà poi uno schiaffo al nuovo cavaliere. In questo caso si usa il termine collata da decollare. Sempre nel senso di cambiare la testa. Federico Barbarossa dà nome di San Donnino al luogo – è stazione di posta, è Fidenza, lungo la Francigena – ed è la cattedrale del Borgo dei “Magistri Antelami” il cui più famoso esponente fu Benedetto Antelami. Un libro che apre ai tanti libri della sapienza, il duomo costruito dall’Antelami. Sulla torre è raffigurata una figura umana che impugna due lance e ha da ciascun lato un animale alato. Questo bassorilievo simboleggia il volo di Alessandro Magno quando, in India, legando a sé una coppia di grifoni – uccelli giganteschi – li spinse in alto, oltre i cieli, fino al Regno dell’Inviolato. Il macedone varca la soglia ma c’è un angelo a sbarrare il passo. Affine alla lettura della tradizione islamica che identifica Alessandro Magno con l’Iskandar, ossia il greco che fondò Alessandria a cui si fa risalire sia la grandiosa impresa che lo condusse a conquistare un immenso territorio fino al lontano oriente – instaurando un regno di giustizia e di tolleranza verso i diversi usi e costumi delle genti conquistate – sia il volo attraverso le regioni del cielo dove ha contezza dell’intero creato. C’è dunque una duplice percorrenza – come ben spiega Claudio Mutti – orizzontale nel mondo, verticale in cielo. In questa duplice impresa la tradizione islamica scorge un’analogia con il profeta Maometto che ha compiuto il Viaggio Notturno da Mecca a Gerusalemme – ovvero la dimensione orizzontale – e l’ascensione verso il Signore della Gloria, dunque dimensione verticale. Questo duplice ruolo verrà riconosciuto poi a Federico II di Svevia, contemporaneo di Antelami, paragonato dai musulmani ad Alessandro Magno “khalifat”, reggente di Dio sulla terra.

 

SIMBOLI DELL’IMPERO
Claudio Mutti
Edizioni all’insegna del Veltro, 100 pp., 18 euro

 

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  • Pietrangelo Buttafuoco
  • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.