Trump e la polizza. Renzi e quel no a Draghi o a Visco? Il tabù del pil

Al direttore - Trump: ho la fiducia di Beppe.

Giuseppe De Filippi

 

E in effetti, come Virginia nostra, anche Trump dice di non essere a conoscenza di aver ricevuto una polizza. Sorriso.

 


  

Al direttore - Con il cancan sul rinnovo del mandato a Ignazio Visco, l’ex premier Matteo Renzi ha compiuto un’operazione politica tutt’altro che improvvisata e molto meno banale di quella – che gli attribuiscono in vista della campagna elettorale – di voler allontanare, da sé e da persone a lui più vicine, la responsabilità degli scandali bancari. Per quanto azzoppato, Renzi è ancora abbastanza astuto (e cinico) per non infilarsi da solo in una prevedibile sconfitta su di una questione di cui gli importa meno di nulla. In verità, il segretario del Pd, con quella mossa ben studiata e meditata, si è spinto oltre i risultati delle urne, mandando un chiaro “avviso ai naviganti’’: nessuno conti su di lui e il suo partito per sostenere (come fece a suo tempo Pier Luigi Bersani) un governo tecnico (o del presidente), magari guidato da Mario Draghi.

Giuliano Cazzola

 

Su di lui forse, sul suo partito chissà.

 


 

Al direttore - Il teologo Andrea Grillo, della tribù dei novatori, ha affermato di recente che la “transustanziazione non è un dogma di fede, e che come spiegazione ha i suoi limiti”. Della serie: la dottrina cattolica sulla presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata si può rivedere e correggere, se necessario. Una battuta, certo, lo sanno pure i muri che la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia è, eccome, un dogma di fede, definito come tale dal Concilio di Trento (XIII sessione , 11 ottobre 1551). Il punto però qui è un altro, ossia la deriva in atto nella chiesa dove in nome del dialogo della fratellanza e dell’ecumenismo, a loro volta frutto di una visione distorta e distorcente del fatto cristiano, si è disposti a vendere la primogenitura per un piatto di lenticchie. Nella fattispecie, per una non meglio precisata “messa ecumenica” con i protestanti, a cui una commissione starebbe lavorando (messa della quale, per inciso, è altamente probabile che al popolo di Dio ogni due per tre fatto oggetto di speciale attenzione dalla corrente sensibilità ecclesiale, gliene importerebbe meno di zero, dall’una e dall’altra parte). Di questo passo cosa resterà del cattolicesimo? Probabilmente niente. Resterà tutt’al più un grande afflato religioso in grado di accogliere in un’unica casa tutti gli uomini, dove si cercheranno punti di contatto e d’incontro tra e con tutti, perché siamo tutti fratelli, e con tutti si deve stare. Atei e agnostici, laicisti e massoni, protestanti e cattolici, ortodossi e anglicani, ebrei e musulmani, buddisti e scintoisti, animalisti e ambientalisti. Tutti, certamente, con le sole eccezioni dei fabbricanti e trafficanti di armi, dei corrotti e corruttori e dei padroni insensibili, potranno finalmente vivere in pace avendo ciascuno la sua idea di bene e male e senza che nessuno osi più pronunciare la parola Verità. Perché un mondo così si può costruire solo a  patto che nessuno si arroghi più la pretesa di  essere depositario della verità, che sarà definitivamente abolita (e con essa concetti quali bene e male, peccato e giustizia, ecc.). Nell’epoca della post verità regnerà sovrana la benevolenza, la solidarietà, la cura degli altri; la sofferenza sarà bandita, si nascerà sani e forti e belli o non si nascerà, anche la morte sarà dolce, e gli uomini sceglieranno liberamente la loro identità sessuale perché l’amore non avrà più barriere, e tutti potranno se lo vorranno essere padri e madri e mariti e mogli. Mandare in soffitta la transustanziazione (e non solo) non vuol dire  semplicemente creare le condizioni per poter fare la “messa” con i protestanti, che era è e resta un non problema; significa piuttosto che nella chiesa sta venendo meno quel potere che fino a ora, e in ogni epoca, ha “trattenuto” il dilagare dell’empietà, preludio alla piena manifestazione dell’Anticristo (2Ts 2). Non che ci sia da preoccuparsi più di tanto, intendiamoci. L’happy ending è già scritto. Ma almeno si chiamino le cose col loro nome.

Luca Del Pozzo

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