Milani risponde al Codacons. Berlusconi e il dividendo del referendum. Immaginare un governo Draghi

Al direttore - Il problema non è la frequenza o la violenza degli uragani. E nemmeno le alluvioni, i nubifragi e le bombe d’acqua delle nostre latitudini. Qua il problema è uno solo: Irma passa, Virginia resta.

Luca Del Pozzo  


    

Al direttore - Gentile avvocato Rienzi (mi chiamo Carlo anch’io), scusi non potrebbe aiutarmi con la sua associazione? Come cabarettista non sono più stato chiamato in televisione perché voto Berlusconi (che poi voto Lega). Ieri l’ho vista in televisione, potrebbe farmi partecipare anche a me? L’argomento era sui vitalizi. Io sono d’accordo che ci siano, sia all’Assemblea regionale siciliana che in Valle d’Aosta, che al Parlamento, che al Sud Tirolo. Ieri ho telefonato alla Milena Gabanelli per lamentarmi della sua bella lettera al Foglio. Lei ha detto che telefona a Putin. Nel 2003 avevo i bond Parmalat, ottime obbligazioni, molto complete. Non mi sono scomposto. Sono andato dal console russo a Varese, lui mi ha messo in contatto con un’associazione di consumatori dell’orso (simbolo della Madre Russia). Bene, alla sera avevo indietro i miei risparmi. Avvocato, la saluto cordialmente dandole qualche dato auditel: quando lei è in tv lo share aumenta di 5 punti. Quando c’è Trefiletti anche. Però mentre lei è seguito dai giovani, Trefiletti ha una platea di spettatori più sulla mia età, 51 anni (li compio oggi). Un saluto in allegria.

Barcellesi Carlo, Laureato in Agraria nel 1985, tesi su tuttoLettere


     

Al direttore - Non so se, per attuare l’agenda Draghi, sia preferibile il governo Draghi. Sarebbe il ritorno al 2011 e ai governi tecnici. Cioè a un comodo disimpegno dei partiti. Non sarebbe assai più maturo, utile e pedagogico dopo le elezioni assumere, consapevolmente e coraggiosamente, l’agenda Draghi come il canovaccio di un governo di coalizione? Ma magari questo è un tema del dopo. Oggi mi allarma di più la prospettiva concreta che l’innamoramento per Draghi, che lei attribuisce a Berlusconi, si spiaggi, clamorosamente, sulle contraddizioni logiche della sua coalizione.

Umberto Minopoli

  

E’ certamente un tema per il dopo. Ma proviamo a metterlo a fuoco meglio. Non c’è alcuna possibilità che le istituzioni italiane chiedano a Mario Draghi un sacrificio, ovvero di venire ad applicare direttamente l’agenda Draghi da Palazzo Chigi. Esiste solo una possibilità che questo accada. E questa possibilità è legata a una circostanza particolare: l’esistenza di una maggioranza politica disposta a far nascere un governo solo a condizione che questo governo non sia guidato da nessun partito. Non è detto che Draghi accetterebbe la proposta. Ma nell’hung parliament è possibile che sia solo un profilo alla Draghi l’unico che potrebbe rimettere insieme in modo non troppo doloroso i tasselli di un paese.


  

Al direttore - Del tutto condivisibile l’analisi del professor Fortis sul rafforzamento della ripresa (il Foglio di ieri). Non posso essere d’accordo, invece, nel derubricare a polemiche analisi differenti – come la nostra – che evidenziano al contempo gli elementi di forza e di debolezza che caratterizzano l’attuale quadro macroeconomico. Né posso accettare – sia chiaro, solo in questo contesto – l’avvertimento di Matteo 12,30 “chi non è con me è contro di me”, visto che oggi sembra che qualsiasi considerazione cauta rispetto alla ripresa economica concretizzi una presa di posizione antigovernativa. Nel merito: fatto 100 il primo quarto del 2014 – il punto di partenza del governo Renzi, il nostro pil reale del secondo trimestre 2017 è pari a 103, al 26° posto dei paesi Ue. Zoomata sull’attualità: se compariamo il secondo trimestre 2017 sul corrispondente 2016, restiamo inchiodati al 25° posto. Anche in termini congiunturali poi, il nostro secondo quarto del 2017 segna +0,4 per cento, cioè quart’ultimo posto in Europa. La metrica utilizzata è il dato destagionalizzato. Se piace di più il grezzo avverto che il secondo semestre dell’anno in corso farà registrare due giornate lavorative in meno rispetto al 2016, circostanza che potrebbe implicare una prossima lettura tendenziale meno favorevole. Sguardo sul più lungo termine. E’ vero che in termini settoriali la produttività del lavoro della manifattura è cresciuta in Italia tra il 2000 e il 2016, secondo i dati Ameco-Commissione europea, di oltre il 22 per cento, ma in Germania di oltre il 43 per cento e in Francia e Regno Unito di oltre il 56 per cento e il 51 per cento rispettivamente. Senza dimenticare che nello stesso arco di tempo, gli occupati della manifattura si sono ridotti in Germania solo del 2,9 per cento, mentre in Italia del 16 per cento e del 24 per cento e 36 per cento in Francia e Regno Unito, rispettivamente. Sulla produttività multifattoriale, il perno su cui si gioca l’aumento del reddito reale per ora lavorata, accusiamo tra il 2000 e il 2016 una flessione del 4,5 per cento, laddove la Germania migliora del 9 per cento, la Francia del 4,4 per cento, il Regno Unito del 12,4 per cento. Su questo profilo declinante della nostra produttività multifattoriale, pesano anche alcune anomalie del nostro mercato del lavoro. Siamo l’unico tra i principali grandi paesi dell’Unione a evidenziare tra il 2007 e il 2016 una flessione degli occupati italiani del 5 per cento a fronte di una crescita di occupati stranieri dell’85 per cento (in Germania, ad esempio la crescita è +45 per cento stranieri, +8 per cento cittadini). L’aspetto più fastidioso del lungo termine è che fa molto spesso capolino nel breve e anche brevissimo termine, determinando quei distacchi nelle classifiche di performance che permangono qualunque sia la metrica e lo spazio temporale dei dati considerati. Per il resto assicuro che anche Confcommercio, da sempre, tifa per una ripresa che si trasformi rapidamente in una crescita robusta e duratura.

Mariano Bella, Direttore Ufficio Studi Confcommercio


  

Al direttore - Ho amato, tifato e votato Silvio Berlusconi sin dal 1994 ma ahimè non riesco a perdonargli il tragico errore di aver contribuito ad affossare il referendum dello scorso 4 dicembre, facendo peraltro gli interessi del Movimento 5 stelle che se ne è accreditato il merito e la frase da lui detta prima del voto “... faremo una nuova riforma entro 6 mesi...” mi fa ribollire di rabbia, che tutti gli italiani sanno che ci vorranno decine e decine di anni per arrivare a un altro tentativo di riforma costituzionale. Ancor più amarezza la provo considerando che la riforma di Renzi era stata all’inizio condivisa anche da Forza Italia. Non so se Berlusconi si renda conto che con la sua mossa antireferendaria potrebbe aver messo le basi per un governo dei grillini. Peccato!

Giovanni Raiti

  

Berlusconi ha sbagliato a non aver sostenuto il Sì al referendum costituzionale. Ma il paradosso, come abbiamo descritto ieri, è che l'unico partito che oggi potrebbe raccogliere il dividendo di quella, mossa sbagliata per l’Italia, potrebbe essere proprio il partito del Cav.

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