Sintesi di due chiacchiere con Berlusconi su Donnarumma, Salvini e Calenda

Al direttore - Askatasuna vale una.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Caro Cerasa, ci avviciniamo al ballottaggio delle amministrative, ci avviciniamo forse alla vittoria del centrodestra, ma io continuo a non capire una cosa: davvero Berlusconi non capisce che un conto è allearsi con Salvini per governare una città e un altro conto è allearsi con Salvini per governare l’Italia?

Marco Tartufi

 

E’ lo stesso dubbio che io, che ho abbiamo tutti noi, e ieri sera ho avuto la possibilità di chiederlo direttamente a Silvio Berlusconi, durante la registrazione della sua intervista a “Porta a Porta”. Berlusconi mi ha detto che sa bene la differenza e che alle prossime elezioni non ci sarà nessuna coalizione di centrodestra: le coalizioni, ha detto Berlusconi, si faranno dopo le elezioni, a prescindere da quale sarà la legge elettorale con cui si andrà a votare. Se il ragionamento fila, dunque, niente coalizioni e niente liste. Se fosse così sarebbe una piccola rivoluzione che costringerebbe il Pd di Renzi a chiedersi se davvero sia un bene presentarsi alle prossime elezioni in una lista o in una alleanza con molti dei volti che hanno reso impossibile a Renzi governare come avrebbe dovuto e potuto. E se aggiungiamo che tra Donnarumma e Salvini (altra domanda) Berlusconi ha fatto capire che si spenderebbe personalmente per non far partire il primo mentre avrebbe meno difficoltà (almeno alle elezioni) a separarsi dal secondo non possiamo che dire che la notizia c’è. Così come è una notizia gustosa quello che il Cav. ha confessato a fine puntata: stima Calenda, e molto, e ha fissato un incontro per andarlo a conoscere nei prossimi giorni. Le elezioni si vincono al centro. Berlusconi lo sa bene. E forse se ne ricorderà anche Renzi domenica dopo i ballottaggi quando scoprirà che il modello Ulivo non funziona così bene come in molti vorrebbero far credere.

 

Al direttore - Il commissario tecnico alla Spending Review Joram Gutgeld ha illustrato in questi giorni gli obiettivi e i risultati 2014-2016 della sua attività. La Relazione presentata è corredata da molti grafici e tabelle, e questo è un pregio perché rende la lettura agevole anche per i non addetti ai lavori. Tuttavia, per farsi un’idea esaustiva su come vengono utilizzati i soldi dei contribuenti, potrebbe essere utile completare il documento con alcune informazioni aggiuntive, in particolare per quanto riguarda i tagli effettivi di spesa, il confronto internazionale e l’efficientamento dei servizi. Procediamo con ordine. In primo luogo, i tagli. Dalla tavola 4 della Relazione si evince che per l’anno in corso, la riduzione della spesa ammonta a 29,9 miliardi di euro. Nel testo viene spiegato che due terzi delle risorse recuperate sono stati “ri-utilizzati” per la riduzione del disavanzo pubblico, passato dal 3 per cento del 2014 al 2,4 del 2016 (in realtà qui, la Spending Review c’entra davvero poco perché si tratta dell’effetto del Quantitative easing che ha prodotto un calo degli oneri sul debito di oltre 8 miliardi di euro), per il finanziamento di alcuni servizi pubblici essenziali (23,8 miliardi di euro) e per il contenimento della pressione fiscale, scesa dal 43,6 per cento del 2013 al 42,3 del 2016. Ricavare direttamente dalle suddette cifre il saldo netto delle spese non è immediato: gli anni di riferimento non sono gli stessi (alcune volte si parte dal 2013, altre dal 2014) e la pressione fiscale è calcolata al netto degli 80 euro a differenza dell’Istat che, in linea con le regole europee, classifica questa voce come aumento delle spese e non come riduzione delle entrate. A fare le somme e le sottrazioni ci pensa, però, la Ragioneria generale dello stato nella Nota tecnica alla legge di Bilancio 2017-2019. I dati (tavola 2.1-3) mostrano che nel 2017 la spesa netta aumenterà di 5,4 miliardi di euro, un incremento interamente dovuto alla parte corrente, mentre quella in conto capitale, ossia la parte più produttiva, è prevista diminuire, seppur di poco. Insomma, la spesa italiana aumenta, come del resto viene confermato dalle tabelle inserite nella parte finale della Relazione. E qui veniamo al secondo punto: il confronto internazionale. Lo scopo delle tavole è quello di mostrare che – nel periodo 2013-2016 – l’Italia è stato il paese dove la spesa per il funzionamento della macchina pubblica è aumentata meno: 0,2 per cento contro il 6,5 delle media europea. Tuttavia, in assenza di informazioni sull’utilizzo di questa spesa (bonus, per i giovani, per gli anziani?) e sul suo finanziamento (tagli ad altre voci di spesa, aumenti di tasse, maggiore disavanzo?) è difficile poter trarre delle conclusioni: i tedeschi, ad esempio, registrano una variazione ben maggiore (13,6 per cento) ma i loro conti sono in ordine e il tasso di crescita economica è il doppio del nostro. In altre parole, avere il più basso incremento della spesa per il funzionamento della Pubblica amministrazione in Europa, di per sé, non consente una chiave di lettura adeguata sulla capacità di controllo dei conti pubblici o sull’efficienza dei servizi offerti. L’efficientamento della spesa rappresenta, peraltro, il punto centrale dell’azione di Spending Review del governo. Ma, se l’obiettivo non è tagliare bensì riqualificare la spesa, potrebbe essere utile evidenziare gli obiettivi ex ante per poter effettuare una valutazione ex post. Tali informazioni potrebbero consentire ai cittadini di capire se la strada intrapresa è quella giusta sia in termini di maggiore efficienza, sia in termini di maggiori risparmi. In conclusione, nel 2017, la spesa continuerà a salire e parte di essa verrà ricollocata. Questo metodo, già seguito in passato (tra il 2013 e il 2016 la spesa per investimenti è, persino, stata tagliata di circa 3 miliardi di euro), ha però sortito effetti limitati visto che l’Italia è l’economia che è cresciuta di meno nell’Eurozona. Forse è il caso di interrogarsi se la Spending Review non debba andare oltre la mera riqualificazione della spesa e mirare – anche – a una riduzione del perimetro dello stato.

A questo scopo, potrebbe aiutare “includere” tra la spesa definita “aggredibile” quella per gli oneri sul debito, visto che il debito non è una varabile esogena. Come illustrato dalla tavola 13 della Relazione, nel 2016, l’incidenza di questa voce sul pil è stata pari al 4 per cento, il livello più elevato in Europa. Dato che l’azione della Banca centrale europea non è eterna e prima o poi i tassi saliranno, l’unico modo per ridurre l’onere del debito è quello di ridurre il debito, come ha ricordato di recente il Governatore Visco. La sua proposta è semplice: fissare un avanzo primario ambizioso e mantenerlo immutato per un numero sufficiente di anni. Altri paesi lo hanno fatto.

Veronica De Romanis

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