L'Italia a due velocità che non sa combattere i professionisti della rendita

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 17 giugno 2017

Al direttore - Imponente e bella ieri la manifestazione dei giovani del no in difesa di Flixbus che tanto usano. O ho visto male?

Giuseppe De Filippi

 

Come dice il nostro Luciano Capone, il Parlamento approva la norma anti Flixbus e il giorno dopo c’è lo sciopero dei trasporti contro le liberalizzazioni. Troppo liberismo, no?

 


 

Al direttore - La triplice contro i voucher, gli autonomi contro le privatizzazioni, gli italiani bloccati: c’è ancora qualcuno che dubita che i sindacati siano la rovina della nazione?

Anna Brenci

 

Abbiamo chiacchierato ieri a Milano, al Teatro Parenti, con Graziano Delrio (ministro dei Trasporti arrivato in ritardo a causa dello sciopero dei trasporti), Roberto Maroni, Giovanni Toti e Francesco Giavazzi (pubblicheremo martedì tutta la conversazione, anche il passaggio in cui Maroni racconta di aver incontrato Davide Casaleggio) e ne è venuto fuori un bel manifesto del buonsenso al centro del quale c’è una convinzione diffusa e trasversale: la vera grande coalizione che serve da mettere insieme per far ripartire l’Italia è quella contro le minoranze ricattatrici che tengono l’Italia in ostaggio. Ieri alcune di queste minoranze hanno bloccato l’Italia camuffando il loro progetto: non è contro le liberalizzazioni che si protesta, si protesta contro l’idea che ci possa essere una maggiore efficienza nell’Italia ingessata della rendita e dei privilegi. Chissà se prima o poi ci sarà in Italia un Macron capace di intestarsi una grande campagna per liberare il nostro paese dalle sue ganasce economiche.

 


 

Al direttore - La triste, comunque la si guardi, e drammatica vicenda del gioielliere che l’altro giorno a Pisa ha aperto il fuoco contro due malviventi che volevano rapinarlo, uccidendone uno, ha riacceso il dibattito sulla legittima difesa. Dibattito che nel mentre si accompagna all’immancabile strascico di polemiche politiche, da una parte e dall’altra, di cui faremmo tutti volentieri a meno, puntualmente ripropone soprattutto da parte di chi sostiene il diritto dei cittadini a difendersi da soli, un equivoco che forse varrebbe la pena chiarire. L’equivoco riguarda il fatto che a giustificazione della legittima difesa si ricorre al biblico “occhio per occhio, dente per dente”. Come se, appunto, la legge del taglione rappresentasse una qualche legittimazione della vendetta o comunque del diritto a farsi giustizia per conto proprio. Peccato però che quella legge non soltanto non autorizza nessuno a improvvisarsi sceriffo di se stesso, ma se possibile serve a tutelare il carnefice, non la vittima. E questo per un motivo molto semplice: quando qualcuno ci fa del male, tendiamo a reagire con un male maggiore di quello subìto. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la natura umana, cioè con se stesso, sa che è così. Da qui l’esigenza di contenere la violenza della vittima e di proteggere il carnefice (stesso ambito concettuale del “Nessuno tocchi Caino”), che quindi – nella logica della legge del taglione – ha diritto sì a essere ripagato, ma con la stessa misura. Occhio per occhio vuol dire insomma che tu hai diritto al massimo a cavare un occhio, non tutt’e due o un occhio e una mano o un orecchio, ecc. Beninteso, questo non significa chiuderli, gli occhi, e fare finta di niente; o indulgere in un iper garantismo pernicioso tanto quanto un bieco giustizialismo, posto che la società ha tutto il diritto di sentirsi protetta e al sicuro. E d’altra parte, obiettivo della legge del taglione è fare giustizia, senza compassione alcuna. Ma una giustizia giusta, cioè ripagando con la stessa moneta il male subìto. E visto che ci siamo, giustizia è anche chiamare le cose col loro nome, rispettandone il significato.

Luca Del Pozzo

 


 

Al direttore - Quei leghisti che hanno inscenato una vergognosa bagarre, l’altro ieri, in Parlamento, per contestare una legge che ci accomuna alla gran parte dei paesi europei, sono italiani di cui, volentieri, si farebbe a meno.

Lorenzo Lodigiani

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