Cantone ribatte a Cassese sui risultati della lotta alla corruzione. Risposta

Al direttore - Leggo sempre con estremo interesse le interviste senza intervistatore che il prof. Cassese rilascia con regolarità al Foglio, nelle quali trova sempre spazio un giudizio negativo sull’Anac. Avevo deciso di non rispondere agli addebiti ma siccome ieri sono stato chiamato in causa nel mio doppio ruolo di presidente dell’Autorità anticorruzione e di magistrato, purtroppo non posso esimermi dal farlo. Secondo Cassese “ora l’Anac accusa le procure e i giudici in generale di aver fallito nella lotta alla corruzione, evocando lo spettro di nuove Tangentopoli”. Sarei curioso di sapere dove ha tratto quest’informazione: i rapporti con gli uffici giudiziari sono ottimi e regolati da protocolli firmati con decine di procure in tutta Italia, che consentono uno scambio informativo costante sui profili di rispettiva competenza. Forse il professore equivoca l’Anac con il sottoscritto, ma anche in questo caso sbaglia: nel mio ultimo libro e in varie interviste ho semplicemente sostenuto che “la repressione penale non può essere autosufficiente” a debellare la corruzione senza un’attività preventiva e che puntare soltanto sulle manette è “una politica votata al fallimento”. Invito Cassese a non confondere l’Anac, che è un’Autorità indipendente, con chi la presiede. Ma soprattutto, da attento lettore quale immagino sia, lo esorto a non fermarsi ai titoli dei giornali e a una maggiore cautela nel riportare le opinioni altrui.

Raffaele Cantone, Presidente Autorità nazionale anticorruzione

 

Risponde Sabino Cassese: Caro direttore, il presidente dell’Anac mi fa tre addebiti, con riguardo alla nostra conversazione.

- Di ritornare a occuparmi dell’Anac. Ha ragione. Sono preoccupato per le troppe funzioni di cui è caricato l’istituto, delle possibilità concrete di svolgerle in modo efficace, della tentazione di trasformarsi in un garante della pubblica moralità.

- Di confondere Anac e suo presidente. Nei collegi il presidente agisce come “primus inter pares”. Quando parla il presidente, parla il collegio. Quindi, non si può, né si deve distinguere.
- Di forzare il suo pensiero, affermando che la magistratura ha fallito nella lotta alla corruzione. Come sa, sono fuori d’Italia. Appena di ritorno, fornisco a lei e al presidente dell’Anac la citazione testuale da cui ho tratto quelle conclusioni. Ma non basterebbe la frase che il presidente stesso cita, che la repressione è “destinata al fallimento”? Un cordiale saluto a lei e al presidente dell’Anac, con un ringraziamento a quest’ultimo per la pazienza con la quale legge i nostri scambi d’idee.

 


 

Al direttore - Come al solito Ferrara fotografa in modo impeccabile la deriva della sinistra e nel caso specifico, quella francese. Vorrei contribuire all’analisi con una considerazione puntuale ma in pratica generale cioè applicabile a tutta la sinistra. Di fondo, il dubbio che emerge dalle parole di Ferrara sul perché la sinistra estrema non ha dato il sostegno palese a Macron ma ha preferito l’astensione, si risolve pensando che la sinistra considera più facile contrastare l’eventuale affermazione di un esponente della destra estrema piuttosto che quella di un liberista. Nel secondo caso il rischio di ridimensionamento che la sinistra estrema correrebbe sarebbe grandissimo. Perciò non sanno che pesci prendere. E si astengono.

Gualtiero Bertaglia

 

Una sinistra che non sa scegliere tra Macron e Le Pen è una sinistra che ha già fatto una scelta precisa: rinunciare a capire che differenza c’è tra mettere in pericolo la propria identità culturale e mettere in pericolo il proprio paese. Diceva Karl Kraus che esistono imbecilli superficiali e imbecilli profondi. Le elezioni francesi ci aiuteranno a capire facilmente chi sta da una parte e chi dall’altra.

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