Perché diffidare di un pm romanziere e di un'inchiesta da fiction

Al direttore - È destituita di ogni fondamento la notizia attribuita all’Espresso, da voi pubblicata il 10 aprile scorso, secondo la quale il sen. Carlo Giovanardi risulterebbe indagato per aver “rivelato informazioni segretate della commissione Parlamentare Antimafia, di cui fa parte, per favorire una impresa modenese a lui vicina”. Nulla di tutto questo mi viene addebitato mentre rimango convinto che tutto quello che riguarda le mie considerazioni ed iniziative in tema di interdittive antimafia riguarda opinioni più volte ripetute nell’Aula del Senato, oggetto di ben 13 atti di Sindacato Ispettivo ripetute nell’ambito di udienze conoscitive sulla materia in commissione Giustizia, in sedute della commissione Antimafia, a Reggio Emilia e a Modena, in conferenze stampa e pubbliche prese di posizione. Cordiali saluti.

Sen. Carlo Giovanardi

 


 

Al direttore - Caro Corbellini, sono un sociopatico. E da buon sociopatico mi chiedo quand’è che voi razionalisti scientifici smetterete di etichettare in questo modo chiunque osi avanzare qualche non si dica critica ma perfino dubbio sul modo in cui si procede, in Italia, coi vaccini. Ma siccome sono uno statistico sanitario vengo a qualche dato. Nelle ultime quattro stagioni influenzali sono stati ufficialmente registrati dall’Istituto superiore di sanità 21 milioni esatti di influenzati, ma c’è la certezza che non si arrivi neppure alla cifra di 6 milioni dal momento che solo il 30 per cento dei campioni biologici di influenzati (10.690 su 35.471, vada pure a controllare) ha registrato la presenza di qualche virus influenzale. E questo perché nelle istruzioni fornite ai medici sentinella, a proposito di campioni biologici si precisa che: “Il prelievo deve essere eseguito durante la fase acuta della malattia (rialzo febbrile)”. Dunque il medico deve (a) essere sicuro che colui a cui fa il tampone oro-faringeo è un malato di influenza e (b) deve farglielo nella fase più acuta della malattia. Dunque se appena il 30 per cento di questi campioni presenta virus influenzali si può star certi che nel totale dei malati diagnosticati come influenzati dai suddetti medici sentinella la percentuale di quanti presentano virus influenzali è molto, molto minore, certamente non superiore al 25 per cento, con ogni probabilità il 20 per cento. Dunque si fa presto a stimare che in quattro stagioni influenzali i veri ammalati di influenza non sono stati 21 milioni ma al massimo 6 e più realisticamente 5 o 4 milioni. Ovvero 15-17 milioni di ammalati non di influenza ma di altro. Quanti morti di influenza non sono in realtà morti di influenza? Quante cure, conseguenti alle diagnosi, sono sballate? E, visto che si parla di vaccini, che cosa mai può coprire un vaccino tarato su virus influenzali dell’anno prima che hanno una diffusione che non si avvicina neppure lontanamente a quella che ci viene assicurata? Ora, non vorrei dimenticasse che l’affare del secolo è stata l’influenza suina: due-tre miliardi di vaccini mal sperimentati, prodotti, comprati, non somministrati, uno scandalo di dimensioni planetarie per il quale non ha pagato nessuno, messo a tacer senza troppi complimenti. Questo per fermarmi all’influenza. Poi, se vuole discutere di morbillo con un sociopatico, sono a sua disposizione con altri dati. Cordiali saluti.

Roberto Volpi

 


 

Al direttore - Il Production Code (noto come Codice Hays dal nome del suo creatore Will H. Hays) conteneva quelle linee-guida che per molti decenni hanno orientato e limitato la produzione cinematografica negli Usa. Vi era specificato cosa fosse o non fosse “moralmente accettabile”, secondo alcuni princìpi generali (e minuziose “applicazioni particolari”), il primo dei quali proibiva la produzione di film che compromettessero gli standard morali degli spettatori. Per questo motivo la simpatia del pubblico non doveva mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato. Un’esperienza di autoregolamentazione che, oltreoceano, ha chiuso il suo ciclo da anni. Da noi è stato proposto, con la medesima ispirazione, il “Codice Gratteri”. Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, infatti, ha pubblicato – con la consueta collaborazione di Antonio Nicaso – un saggio dal titolo “L’inganno della mafia. Quando i criminali diventano eroi”. Da Lilli Gruber, interrogato sulla sua prolifica attività editoriale, il dr. Gratteri ha spiegato che scrive dalle due e mezza di notte alle sei del mattino (speriamo che si permetta una pennichella nel primo pomeriggio). Ha fornito poi le direttive del suo Codice per una comunicazione politicamente corretta: inserire sempre nella narrazione dei libri, delle fiction e dei film – che raccontano storie di organizzazioni malavitose – un “eroe positivo” ovvero un personaggio, con funzioni istituzionali (un magistrato?), che contrasta l’attività dei mafiosi.

Giuliano Cazzola

Che i magistrati scrivano saggi, editoriali e romanzi è un problema. Fino a un certo punto, però. Un magistrato che cerca visibilità eccessiva ha sempre qualcosa che non va, secondo me, e ai pm pavoni io preferisco sempre i pm asceti. Ma il problema non è questo. Il problema è quando la tecnica del romanzo o del retroscena o della fiction il magistrato la utilizza all’interno delle sue inchieste. E questo succede quando le allusioni e le illazioni vengono utilizzate per dimostrare quello che le prove non riescono a documentare. Questo succede quando in un’inchiesta un teorema diventa più importante di una testimonianza diretta. Quando vedete un magistrato che scrive troppi libri insospettitevi. Quando vedete un magistrato che trasforma le inchieste in una fiction allarmatevi.