Anti vaccini e anti casta. Populisti? It's not the economy, stupid

Al direttore - Gentiloni: “Ora regolarizzare il lavoro occasionale”. Ma farsi eleggere?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Scartata come custode all’Università di Catania, oggi Sabina Berretta dirige un team di scienziati a Harvard. Poi dicono che non siamo esigenti con i bidelli.

Michele Magno

 

Al direttore - Il varo del governo della Casaleggio e soci mi ha messo tranquillo e sereno. Finalmente ci sarà un ministro che si occuperà di povertà (immagino di come incrementarla) e un altro della democrazia diretta (qui si può fare a meno d’immaginare), soprattutto sapere che Dibba non va più in giro in moto, ma è saldo sulla poltrona del Viminale a vigilare sulla sicurezza mia e di tutti, mi dà un senso di leggerezza vicino all’euforia.

Valerio Gironi

 

Al direttore - Caro Cerasa, io non mi affannerei tanto per creare una controcultura al grillismo imperante. Diciamocelo: siamo perdenti. Di fronte ai leoni da tastiera siamo pressoché perdenti. E allora perché non facciamo una campagna grillina, non nei contenuti, ma negli effetti. Votiamo tutti per questi ignoranti politici. Solo così li potremo mandare a casa una volta per tutte! Si, perché anche col 50 per cento +1 dei voti i figli del grullo di Nervi non riusciranno a stare al comando per più di cento giorni. Scommettiamo una pizza?

Alberto Bergamaschi

 

Al direttore - Caro Cerasa, leggo con interesse sul Foglio gli sviluppi del dibattito sui vaccini e mi permetto allora di sviluppare le mie considerazioni dell’altro giorno. Perché tutto questo ostracismo verso i vaccini e le loro presunte conseguenze? Perché nessuno si scaglia pubblicamente contro le controindicazioni di questo o quell’altro farmaco in commercio (che ben ci sono)? Perché nessuno vede macchinazioni delle multinazionali dietro le tonnellate di prodotti farmaceutici, omeopatici, cosmetici ecc. di scarsa utilità che consumiamo a piene mani? E poi: ma dove sono tutte queste controindicazioni dei vaccini? Se fossero così diffuse ed evidenti, avremmo le trasmissioni tv piene di casi strillati e sbandierati, e si griderebbe forse al “vaccinicidio”. I vaccini, la cui efficacia e il cui impatto positivo sull’umanità sono una delle conquiste più comprovate e allo stesso tempo meritorie della scienza occidentale, sono una prassi collettiva di salvaguardia del corpo sociale. La pratica della vaccinazione implica un patto di responsabilità solidale tra cittadini che, per proteggere non solo se stessi ma anche gli altri (i vicini di casa, gli sconosciuti che incontriamo in tram, i bambini con cui i nostri figli giocano al parco…) si sottopongono a rischi assai limitati in cambio dei quali ottengono una incredibile protezione sanitaria (il solo Pasteur perse, per febbre tifoide e tubercolosi, due sorelle e due figlie; ancora oggi, purtroppo, per lo più nei paesi più poveri del mondo, la tubercolosi uccide circa 1,8 milioni di persone all’anno, cioè circa 5.000 al giorno!!). Perché allora questa ribellione? Non è la semplice ignoranza a spiegare il fenomeno: i nostri bisnonni e i nostri nonni, spesso analfabeti e poveri, si sono sottoposti a vaccinazione senza tante discussioni e i risultati si vedono tutti nei livelli di salute di cui godiamo. A mio avviso, il bersaglio più o meno consapevole della protesta è proprio il principio di autorità (della ragione medico-scientifica e della ragione storica) e quindi di responsabilità sociale in base al quale viene a tutti chiesto di correre quel (minimo) rischio, quel minimo “sacrificio” implicito nel “rito collettivo” della vaccinazione. Le nuove sirene 2.0 e le redivive demagogie populiste vogliono stabilire un nuovo principio di autorità: rischio zero, nessun sacrificio, “not in my backyard”, “un altro mondo è possibile”. E’ una “fuga dalla realtà”, un miraggio che tanta presa ha però sulle fantasie e sulle paure della gente. Perché?

Andrea Marchesani

 

La battaglia contro i vaccini si sposa perfettamente con la battaglia anti casta. Al fondo l’obiettivo è lo stesso: affermare il principio che uno vale uno e che le élite non valgono niente.

 

Al direttore - Il Foglio ha giustamente scritto che la crescita dei populisti non c’entra nulla con l’economia ma ieri l’Economist sempre su questo tema ha aggiunto un particolare interessante: ma se l’economia si rimette in moto e contemporaneamente i populisti vanno al governo, non c’è il rischio che il nuovo fronte sovranista si prenda i meriti del ritorno del benessere?

Marco Marini

 

L’Economist ha ragione, e la questione vale soprattutto per Trump che non ricorda mai che l’occupazione in America cresce da 77 mesi consecutivi e non da quando è arrivato lui. Ma il dato più interessante è un altro: l’economia cresce in tutto il mondo perché al governo non ci sono populisti e cambiare l’agenda economica per paura dei populisti non porta né voti né benefici al proprio paese.

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