Montalbano al 40 per cento. Ora occhio alle rif. costituzionali

Al direttore - Montalbano al 40 per cento. Ora basta che eviti riforme costituzionali.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore -  Nell’epoca della società dei capricci in cui viviamo non c’è da stupirsi se, ciclicamente, singoli casi (ultimo quello di Dj Fabo) vengono cavalcati dai sacerdoti della cultura della morte per spingere sull’acceleratore della laicizzazione della vita pubblica. Che nel mentre eleva addirittura a diritto ciò che da sempre è stato considerato il peccato per eccellenza – farsi dio di se stessi – si traduce di fatto in un ritorno al paganesimo nella misura in cui, lo si chiami aborto o eutanasia poco cambia, vite umane vengono sacrificate per soddisfare la sete di sangue del più crudele dei despoti, l’Io e le sue voglie. Il tutto orrendamente camuffato sotto le spoglie di un umanesimo dal volto suadente, compassionevole e solidale, che ammicca ricambiato agli algidi e asettici protocolli delle tecnica. Oltretutto, nel caso specifico all’attenzione delle cronache, mi chiedo cosa ci sia di etico e di responsabile nel voler staccare la spina quando il giocattolo s’e’ rotto. Responsabilità non vuol dire anche, e soprattutto, accettare le conseguenze delle proprie azioni? Stiano in guardia i legislatori a non farsi prendere la mano dall’ondata emotiva che sempre accompagna simili vicende. Che una volta legalizzata l’eutanasia rischia di diventare un nuovo olocausto, con l’immancabile lucroso business che spesso e volentieri si nasconde dietro questa e altre “battaglie di civiltà”.

Luca Del Pozzo

Capisco il suo punto ma la questione mi sembra più semplice. Ognuno fa quello che vuole della propria vita, ma iscrivere in una legge il diritto della negazione della vita, trasformando un fatto privato in una questione di stato, mi sembra un errore. Ludwig Minelli, fondatore dell’organizzazione “Dignitas”, come scriviamo oggi nel nostro primo editoriale a pagina tre, lo ha detto chiaramente, con una frase che quantomeno dovrebbe far riflettere: “Se accettate l’idea dell’autonomia personale, non potrete stabilire condizioni secondo cui godono di questo diritto solo i morenti”.

 


 

Al direttore - Sul caso di Dj Fabo la discrimine è tra chi, cristiano, considera la vita dono di Dio, sacra e intangibile, e chi invece semplicemente non crede. Per costoro, e sono sempre di più, la vita inizia e finisce con una nascita e una morte e se diventa troppo dolorosa è meglio rinunciarvi. E’ un po’ un ragionamento da “centro benessere”, ma tanti la pensano così e in una società “aperta”, laica, liberale, hanno il diritto di esercitare questa volontà. Un cristiano che volesse impedire ciò si avvicinerebbe pericolosamente a una visione totalizzante della religione sulla società, come un musulmano. Non invidio la posizione di ateo devoto. In bilico tra Cristo e Nietzsche.

Daniele Bartalesi

 


 

Al direttore - È troppo delicata la questione sul fine vita. Io stessa, da cattolica, non saprei che dire. Penso che il caso di Dj Fabo non c’entri nulla con l’eutanasia, benché sia palese che il ragazzo non era un malato terminale. Avrebbe cioè potuto vivere in quelle condizioni per chissà quanti anni. Il punto è: lo stato deve poter intervenire legittimando la scelta di farla finita? O piuttosto il tutto deve rimanere confinato in quella zona grigia propria della coscienza del singolo e dei suoi famigliari? In altre parole, regolare per legge situazioni così complesse è la strada giusta? Non lo so. Penso, dopo molte riflessioni, che è meglio non fare nulla. Si eviterebbe anche di ideologizzare un tema a tal punto delicato.

Paola Alessandrini

 


 

Al direttore - Pare che in giro per il mondo stia prendendo piede il “sologamy weddind”: la possibilità di sposarsi con se stessi medesimi! Una gran figata e soprattutto la sintesi perfetta di democrazia diretta e del politicamente corretto.

Valerio Gironi

 


 

Al direttore - Tra i tanti pronunciamenti dell’Europa colpevolmente ancora senza risposta c’è pure quello riguardante il dovere sacrosanto di disciplinare per legge i rapporti tra magistrati e politica. Europa a parte, basta e avanza l’obbligo di attuare quanto già previsto (e colpevolmente disatteso) dai principi fondamentali della nostra Costituzione. In questo contesto mi permetto soltanto di richiamare le responsabilità che la Costituzione affida al presidente della Repubblica, investito non incidentalmente pure della responsabilità di presidenza del Csm. Al capo dello stato non è affidato, naturalmente, alcun potere legislativo, però dispone della piena facoltà di inviare al legislatore messaggi formali cui il Parlamento, non fosse altro che per minimale rispetto delle istituzioni, dovrebbe fornire risposta parimenti solenne e formale. Mi sia consentito di pensare che in questa delicata materia il silenzio non sia oro.

Gianfranco Trombetta

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