Guelfo Guelfi (Rai) contro il pauperismo della Rai. Aiuto, c'è Davigo

Redazione

Al direttore - Non fai in tempo a tornare alla Prima Repubblica che ti scoppia una Guerra fredda.

Giuseppe De Filippi


Al direttore - Ieri mi sono convintamente contraddetto. Pochi giorni fa avevo detto e scritto che porre un tetto ai compensi degli artisti in Rai equivaleva a spegnere la luce a San Siro: a luci spente non si vede più una mazza. I costi, i prezzi, il valore sono ingredienti di una partita di scambio. E’ il mercato, la concorrenza, il fatto che te puoi anche pensare che godi quando tagli, ma poi Carlo Conti e Maria De Filippi il 50 per cento di shasre lo faranno a Mediaset. Magari non si chiamerà Sanremo. La Rai nel cda del 23 febbraio ha scelto di spiaggiarsi. Come la balena che s’è stufata di fare di tutto, di più, per te e per tutti, che non ne può più di voi e di sé. Se buttata a terra. La legge impone, la legge che abbiamo detto amputa, che non sta nelle regole d’ingaggio di nessuna emittente pubblica di alcun paese civile e democratico, la legge che da tre mesi e mezzo chiediamo con garbo venga considerata e precisata, la legge, per Dio, qualcuno la deve eseguire. Per legge s’è scritto di togliere il tappo alla conca. Ora l’acqua che au contraire del calabrone segue le leggi della fisica ha la possibilità di uscire e sarebbe bene che si rimettesse a posto il tappo. Il tempo c’è. Ieri il cda della Rai ha rifiutato il cerino, e, a mio avviso, si è anche risolutamente adeguata al sempre vigile Michele Anzaldi che non ha mai perso l’occasione di dire la sua usando i suoi toni, cogliendo tutte le ragioni possibili e anche qualche torto. Abbiamo accolto l’invito e letto la sua soddisfazione. Non è la nostra “promessa mantenuta”, è la sua. La Rai di Antonio Campo Dall’Orto e del cda che sta dall’altra parte del tavolo ha in onda il suo risultato, costi e benefici. I nostri conti tornano. Bilancio consuntivo e bilancio preventivo con tutto che la riduzione del canone ci costringe a ragionare e rivedere, ma teniamo in mano la vera promessa che non è sfilare di tasca soldi agli altri ma produrre ricchezza, intrattenimento, informazione, sport per tutti. L’ambizione del primato. La trasformazione in media company. L’accelerazione digitale. Non esistevano, ora, in appena un anno e mezzo abbiamo in mano, preso per i capelli il futuro del servizio pubblico. Ci avviamo a un appuntamento per la stipula della convenzione e del nuovo contratto di servizio e non vorremmo arrivare come Renzo e i suoi polli legati. La Rai nella parte dei polli. Abbiamo fatto fin qui quello che abbiamo promesso, promesso quello che ci era richiesto, vorremmo partire dai fatti, dai dati, dalle prospettive e non dai giudizi sommari, strumentali e dalle condizioni di irresponsabilità giocate sul filo di un esercizio demagogico del quale provare imbarazzo. Miei cari è il Parlamento che può riequilibrare la storia, salvare il cetaceo spiaggiato. Basta poco. Basta la buona volontà e smettere di fingere di aver cura degli interessi dei cittadini. Oppure: oppure – come ha ricordato la collega Rita Borioni – si risponde come fece Panatta a uno che intendeva spiegare come avrebbe dovuto tenere il fondo campo, impostare la volée vincente, Adriano se gira, lo guarda e dice: Viecce te!

Guelfo Guelfi, cda Rai

 

Il pauperismo è uno degli effetti perversi della sottomissione grillina. Nella politica di solito il pauperismo contribuisce alla creazione di capre. Nelle aziende il pauperismo di solito non serve a combattere le diseguaglianze, serve solo a impoverire le aziende e a rottamare il merito. Che non è proprio quello che serve alla Rai, no?


Al direttore - So che non frega niente a nessuno, ma ho tre paure: dell’aereo, dei terremoti e di Piercamillo Davigo.

Michele Magno


Al direttore - Intervistato da Giuseppe Rusconi su www.rossoporpora.org, il nuovo generale dei gesuiti, padre Sosa, dice a proposito della sacralità del matrimonio che “intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù… Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito…”. Chiaro, no? Siccome i vangeli sono stati scritti da persone, come fai a capire se quella cosa che viene riportata l’ha detta veramente Gesù? “Nell’ultimo secolo nella Chiesa c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù… le traduzioni della Bibbia cambiano, si arricchiscono di verità storica… Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa…”. Dunque, se ho ben capito il capo dei gesuiti sostiene che è difficile (o impossibile?) ricostruire ciò che Gesù ha veramente detto, motivo per cui prendere alla lettera certe frasi porterebbe fuori strada. Bene. Ho una domanda: e se invece di continuare ad attorcigliarci il cilicio sui maroni per capire contesti e controcontesti, non ci limitassimo a credere a quello che dicono i vangeli, così, semplicemente? O ci fa comodo mettere in dubbio tutto per poter avere noi l’ultima parola?

Luca Del Pozzo

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