L'indignazione selettiva per i suicidi trasformati in manifesti politici

Al direttore - Bersani e i tassisti: fermatevi!

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Anche oggi una banda di monopolisti blocca il traffico e il servizio pubblico di cui è licenziatario per tentare di impedire il recepimento di una direttiva europea che liberalizza il mercato di cui al momento sono i detentori esclusivi. Io non so se sia possibile che chi è detentore di una concessione e della licenza relativa acquisisca con questa licenza il diritto a esercitare questo monopolio in maniera mafiosa con atti violenti e con interruzione del servizio pubblico di cui è licenziatario e con il blocco del traffico. Quello che però so è che grazie a questi violenti e (fra l’altro) anche maleducati signori il costo del servizio di trasporto pubblico su automobile (taxi) a Roma è uno dei più cari del mondo a fronte di un numero di automezzi estremamente ridotto. E che tutto questo succede con l’avallo del nuovo che avanza (i dipendenti della Casaleggio associati in Parlamento) che favorisce i monopoli di ogni genere (ultimo caso la chiusura del mercatino coldiretti a San Teodoro contemporaneamente al ripristino dei mezzi di ristorazione stradale della famiglia Tredicine). Se penso che, non dico in Cina, ma persino a Napoli, si trovano più taxi e costano meno, mi domando cosa possiamo fare per ripristinare elementari diritti dei cittadini quali il diritto a muoversi, e il diritto a scegliersi il mezzo di trasporto pubblico.

Giovanni De Merulis

 

Al direttore - Sono reduce dalla rilettura de “La fattoria degli animali” di George Orwell (1945!) dove ho tovato curiose e inquietanti analogie pentastellate. Si potrebbe cominciare dal maiale Maggiore, buono e saggio che fonda “l’animalismo” e guida la rivolta degli animali contro l’uomo e poi muore. Ed ecco arrivare il maiale Napoleone, unico successore riconosciuto di Maggiore, un vero e proprio despota che sottomette tutti ai suoi voleri (clic!). C’è anche Minimus, maiale pure lui, che canta le gesta di Napoleone. Che dire poi di Clarinetto, il portavoce-propagandista, che parla per allusioni, mezze verità, bugie, dimenticanze e, soprattutto, terrorizza gli altri animali paventando il rischio del ritorno degli umani. Il suo capolavoro, però, è l’opera di persuasione delle pecore allarmate dal fatto che i maiali stanno sempre di più assomigliando agli umani, reggendosi persino sulle gambe posteriori. Mentre prima lo slogan rivoluzionario era “quatto gambe buono, due gambe cattivo”, adesso Clarinetto è per “quattro gambe buono, due gambe meglio”. Magari il mio è un banale pregiudizio però, come si dice, a pensar male si fa peccato e spesso ci si azzecca.

Valerio Gironi

 

Al direttore - Mi ha molto colpito la storia del suicidio del ragazzo di Lavagna che, così hanno raccontato i giornali, “si è tolto la vita in seguito a una perquisizione per droga”, così come mi hanno colpito le parole della mamma che durante il funerale del figlio ha raccontato di aver provato con “ogni mezzo a combattere la guerra contro la dipendenza prima che fosse troppo tardi”. Mi chiedo solo una cosa: perché una mamma che dice “mio figlio è morto a causa della crisi” vale più di una mamma che dice “mio figlio è morto a causa della droga”? “Nessuno si impossessi del suo dolore o la trasformi in una bandiera della campagna proibizionista”, ha scritto sul Corriere Massimo Gramellini. Non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che i suicidi diventano un manifesto culturale solo quando servono a dimostrare una propria tesi.

Alberto Marroni

 

Non sbaglia. Quando un suicidio serve a dimostrare una propria tesi, il suicidio viene trattato come se fosse un manifesto politico. Penso al ragazzo di Udine, con la sua lettera indirizzata al ministro Poletti, ma penso anche al suicidio di Mario Monicelli, trasformato in un manifesto per il diritto all’eutanasia. Voltaire forse aveva ragione quando diceva che “il suicidio non è sempre follia, ma in genere non è in un eccesso di ragione che ci si ammazza”. Gramellini ha ragione quando dice che non è giusto impossessarsi del dolore di una madre ferita e trasformare le sue parole in una battaglia politica. Sarebbe bello che questo accadesse anche quando si trasformano in bandiere politiche altre storie di suicidi, che non dovrebbero avere altro effetto se non quello di farci commuovere e interrogare, senza indurci a trasformare la morte di un uomo o una donna in un manifesto.

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