Guelfi contro la retorica del pauperismo in Rai. Ci scrive Zanetti

Al direttore - Eravamo indecisi stamattina, leggendola mentre vieppiù si schierava dalla parte dell’arrogante Casta dei pm del calcio, gli arbitri, e della loro visione fake ma incontestabile del mondo, se disturbare lei o scrivere direttamente ad Annalisa Chirico, difendesse un po’ lei le vittime della malagiustizia sportiva. Oppure rivolgerci a qualche associazione tipo NessunoTocchiChiellini – esisterà senz’altro, visto che non lo squalificano mai. Poi abbiamo optato per lei, direttore. Si ravveda. I grillini (anche nel calcio) sono quelli che dicono “l’arbitro (il pm) ha sempre ragione”. E “se l’hanno espulso, qualcosa avrà fatto”. Noi interisti siamo “il punto di intersezione”, per citarla, tra la pazzia applicata al calcio (5 maggio) e l’orgoglio di non essere mai andati in B per moggismi sportivi. La post verità è che c’è un filmato in cui l’arbitro Rizzoli, che è un Davigo che non ha manco fatto il concorso, ferma senza motivo Icardi. Ma la Casta arbitrale l’ha censurato, per autoproteggersi. La post verità è che squalificano i giocatori dell’Inter, bravi ragazzi, perché Rizzoli si sente offeso, come un pm querelante. E nessuno difende la libertà d’espressione. Il populismo per via giudiziaria è questo, si ravveda. Dopodiché, noi siamo sempre dalla parte giusta della Storia: mentre la Juve è lì ancora con la sua Casta, noi siamo già cinesi.

Maurizio Crippa, Sergio Scalpelli

  

I grillini, nel calcio, sono quelli che dicono che la partita è sempre truccata e che l’arbitro è sempre corrotto e non si accorgono che gli scudetti e le partite non si perdono per una moviola in campo negata ma si perdono perché noi abbiamo Eder e Kondogbia, mentre loro hanno Dybala e Higuaín. La post verità vi fa male lo so. Vi voglio bene. E salutatemi Antonio Ingroia.

  

Al direttore - Più chiaro di così: la tv costa quel che costa. La Rai primeggia, distacca, umilia a volte i competitori, ma costa. Quei denari sono il segreto di Pulcinella, argomenti lacerati dal gossip, tutti ne conoscono l’entità e tutti custodiscono il segreto. Il privilegio dello sputtanamento a orologeria è un di cui. Alla carta. Costa troppo la destra, costa troppo la sinistra e anche il centro costa. Troppo. Rende anche molto. Appena anche i numeri esatti del bilancio consuntivo 2016 e preventivo 2017, con tutto che il canone è mirabilmente catturato ma la posta girata alla Rai è calcolata non su 100 euro, come previsto, ma su 90, verranno sottratti alla riservatezza e forniti senza veli alla stampa, se non dalla stessa manina che consegnò all’Espresso le carte Verdelli da un’altra associata, sarà  di tutta evidenza il ruolo della pubblicità  per la vita dell’azienda. Per incassare bisogna avere qualcosa da vendere e l’unica cosa che ancora si vende sono i numeri. I numeri si fanno con il successo e per il successo occorre pagare. Troppo? Troppo poco? L’importante è che si paghi. E’ come se di fronte agli occhi scorresse il mix concentrico di serie televisive: Lo scandalo dei costi, il mistero del tetto, i duellanti (ovvero come incrociare le spade solo per graffiarsi), la legge prima parte (ma c’è qualcuno che l’ha letta), seguita dalla seconda parte: ma chi l’ha scritta? Esistono due mondi e due modi. Uno va con l’elettricità, arrivi a casa, accendi la tv scegli e guardi. Ora non è nemmeno necessario arrivare a casa per vedere la tv ma diciamo che seduti sul divano il Festival di Sanremo è più divertente. L’altro è sui giornali. Rai un giallo, una spy story, un intrigo a Stoccolma, un arsenico e vecchi merletti, un pomo d’acciaio e manici di scopa. E questo non perché la politica sia l’arte dell’intrigo ma piuttosto perché chi vive lì intorno ha agio di farsi intrigante e sottrae e consegna dossier che non sono dossier, sono cattiverie.

Guelfo Guelfi, consigliere d’amministrazione della Rai

  

Se un’azienda pubblica vuole essere competitiva e vuole attrarre valore e generare ricchezza è giusto che paghi anche molto chi merita di essere pagato molto. Punto. La retorica pauperista è uno dei mali dell’Italia e fissare tetti di salario morali non è un modo per risparmiare: è un modo come un altro per impoverire un’azienda, con il solo scopo di assecondare gli orrendi istinti paupero-populisti.

 

Al direttore - Il suicidio di Michele mi addolora profondamente. La sua lettera di addio mi ha turbato. Ma giudico indegno lo sciacallaggio e la strumentalizzazione che, di questo tragico evento, stanno facendo i predicatori  della “mistica del precariato’’, nel tentativo di trasformare un caso umano in una condizione generale dei giovani italiani, vittime di un sistema che ruba loro la felicità. Bisognerà pure decidersi a ribadire che la responsabilità degli altri (e della società) nei nostri confronti inizia laddove finisce la nostra.

Giuliano Cazzola

  

Al direttore - Massimo D’Alema è impagabile (intervista a Stefano Cappellini, la Repubblica di ieri). E’ vero, aveva promesso di non occuparsi più della politica italiana dopo il referendum, ma non poteva restare insensibile al grido di dolore del popolo di sinistra. Ha quindi sentito il dovere di tornare in campo per unificarlo (dopo aver accusato un giorno sì e l’altro pure Matteo Renzi di non essersi ritirato a vita privata, come si era impegnato in caso di sconfitta il 4 dicembre scorso). D’Alema è favorevole a una legge elettorale che dia un ragionevole premio di maggioranza alla lista (non alla coalizione) che arriva prima, ma non ci spiega con quali ipotesi di alleanze (a meno che quel premio di maggioranza non sia poi tanto ragionevole). Infatti per lui, che è stato sempre al “centro della sinistra”, Vendola è troppo mancino. Inoltre, pur avendo inciuciato tutta la vita con la Dc, sente nell’asse Alfano-Franceschini-Delrio un insopportabile puzzo di scudocrociato. Poiché, poi, primum vivere deinde philosophari, registra con soddisfazione una consonanza di posizioni con Bersani, Emiliano, Speranza, Rossi, Cuperlo: tutti insieme appassionatamente per cacciare l’impostore, alias il guascone di Rignano. Non basta. Il M5s non è più una costola della sinistra (come aveva sostenuto fino a ieri), ma una confusa accozzaglia di “persone e culture che rappresentano il malessere del paese” (lo era anche il movimento fascista delle origini, e questo D’Alema dovrebbe saperlo). Infine, non ha ricoperto il ruolo di Alto rappresentante della politica estera Ue perché i grandi paesi non vogliono un ex capo di stato (sic!) in una funzione di quel tipo” (gli antichi greci la chiamavano hybris). Per concludere, non so cosa accadrà nella direzione Pd di lunedì, ma se Renzi non vuole fare la fine dei capponi del suo quasi omonimo protagonista dei Promessi sposi, non gli resta che una chanche: preparare con cura il divorzio dal suo partito. Del resto, non sta scritto da nessuna parte che solo le minoranze possono fare le scissioni.

Michele Magno

 

Se Massimo D’Alema vuole davvero dare una mano alla sinistra a ritrovare se stessa dovrebbe tornare a occuparsi dell’unica cosa che in questi anni gli è riuscita bene: il vino, e ne fa uno davvero delizioso.

 

Al direttore - Querele, dimissioni, ancora dimissioni, accuse, veleni, spie, interrogatori, tradimenti, divorzi. E ci si è messo pure Luciano Fontana, il direttore del Corriere della Sera. La storia di Virginia Raggi è commovente. Una piccola donna che resiste alle bastonate, e va avanti, caparbia, testarda, e appena confortata dall’affetto, quasi incondizionato, del Supremo condottiero. Il problema casomai riguarda Roma e i romani, “ma che vuoi che sia, ormai ci sono abituati”, sostiene un mio amico del bar.

Jori Diego Cherubini

 

Al direttore - In queste settimane si assiste alla moltiplicazione delle prese di posizione volte ad affermare l’opportunità di non votare a giugno: dagli esponenti della minoranza dem a quelli di Forza Italia, passando per i ministri Calenda e Lorenzin. Se penso all’interesse particolare mio personale e del mio movimento politico, non potrei essere più d’accordo: febbraio 2018 tutta la vita. Se penso a quello del Paese, ho invece delle grandi difficoltà a esserlo. Se si voterà a febbraio 2018, sarà purtroppo inevitabile una manovra recessiva il prossimo autunno. Si potrà battagliare in un intervallo tra i 12 e i 20 miliardi di euro, ma ci si muoverà appunto tra lo scenario di una mazzata doppia e quello di una mazzata tripla. L’inevitabilità di questa manovra sarà però politica, non tecnica. Nel senso che, se a trattare con l’Europa va un governo di transizione “one shoot”, senza alcuna velleità o prospettiva politica di medio periodo, è inevitabile che l’Europa presenti il conto così come emerge sulla base di algidi parametri tecnici, senza flessibilità alcuna in funzione di piani politici di medio termine e di più ampio respiro. E non è che in questo caso sia cattiva l’Europa: semplicemente è la politica che manca e, conseguentemente, mancano sui parametri tecnici i margini di contrattazione politica non solo per l’Italia, ma anche per le stesse istituzioni europee (che non sono “crudeli” come stupidamente amiamo dire nella folle rincorsa agli euroscettici). E’ successo nel 2012, succederà di nuovo quest’anno. Con il governo Renzi lanciato e rafforzato dal referendum, avremmo avuto nella manovra per il 2018 meno Irpef per il ceto medio, dopo aver avuto meno Irpef a 10 milioni di dipendenti (2014), meno Irap sul costo del lavoro (2015), meno Tasi (2016) e meno Ires (2017).

Perso quell’abbrivio, sarebbe opportuno presentarci a quell’appuntamento con un governo che possa andare in Europa a dire qualcosa di diverso da: “Diteci qual è il conto che lo saldiamo e poi si vedrà che succede tra qualche mese”. Male che vada, da questo punto di vista, le elezioni a giugno riproporranno uno schema di instabilità che renderà a quel punto inevitabile in autunno ciò che, senza elezioni, è altrimenti certo e matematico già oggi.

L’interesse del Paese è passare da una manovra espansiva con meno Irpef a una recessiva con più Iva, senza nemmeno provare a giocare la carta delle elezioni? Non credo proprio. Dopodiché è chiaro che, senza una legge elettorale omogenea per le due Camere, questa prospettiva diventa giustamente inevitabile: no legge elettorale, no elezioni anticipate. Tra inevitabile e opportuna, c’è però tutta la diffidenza del mondo. E, in questo caso, quando il prossimo autunno un governo di mera transizione che gioca a fare il governo Renzi senza Renzi (cioè, tradotto, gioca a fare un governo politico senza però più il progetto politico) darà corso alla manovra recessiva, sarà bene ricordare chi in questa fase ha lavorato, in maggioranza, all’opposizione e nel governo stesso, per vendere addirittura come opportuno e preferibile per il paese uno scenario che è al più opportuno e preferibile solo per il suo ceto politico, sottoscritto compreso.

Enrico Zanetti, segretario di Scelta civica

 

Al direttore - Sono un fogliante da molti anni, ancora affezionato all’edizione cartacea che acquisto ogni mattina. Oggi leggendo il Suo articolo di analisi sul fenomeno “interista” sono rimasto così piacevolmente sorpreso che ho terminato la lettura con gli occhi lucidi. Sorpreso perché Lei ha scritto cose che nessuno ha il coraggio di dire, sebbene evidenti, e la ragione penso stia nel fatto che la lobby interista è potentissima, è appoggiata dai “giornaloni” e chissà da chi altro, da semplice cittadino me lo sono sempre domandato. Mi sono spesso anche domandato perché il Foglio abbia ignorato completamente quanto avvenuto nel “calcio” nel 2006 (Calciopoli), mentre contemporaneamente era in prima linea nel denunciare l’accanimento mediatico-giudiziario contro Berlusconi.

E’ stato lo stesso fenomeno, lo stesso schema, anzi forse Calciopoli è stato un “caso scuola”, le prove generali per verificare che lo schema funzionasse, che non avesse punti deboli, per poi applicarlo in modo collaudato nella lotta politica. Si parte con il lavoro dei media, che per anni insinuano, demonizzano il bersaglio, alimentano tesi e sospetti, diciamo che influenzano l’opinione pubblica, la preparano, creano un terreno fertile dove poi tutti (o quasi, per fortuna), siano pronti a prendere per buono, a fare proprio, il “teorema” contenuto nel passo successivo, l’apertura delle inchieste della magistratura ecc. Un film che oramai abbiamo visto e rivisto più volte, sempre lo stesso copione. Lei termina l’articolo di oggi dicendo “noi siamo pronti a reagire”. Mi auguro di cuore che non distoglierà, Lei ed il Suo giornale, l’attenzione dal mondo del calcio, dove questo fenomeno ha raggiunto una tale intensità e violenza da essere intollerabile. Forse, mi permetto un suggerimento, la settimanale “paginata” dedicata allo sport, se si dedicasse almeno ogni tanto a questa analisi e denuncia sarebbe più interessante e meritoria delle pur divertenti cronache di Jack O’Malley.

La saluto cordialmente, con grande stima.

Marco Perazzi

Di più su questi argomenti: