(foto LaPresse)

Il referendum ideologico della Cgil. Gli equivoci sulle fake news

Le lettere al direttore di sabato 31 dicembre 2016

Al direttore - I diciottenni danno via il bonus Renzi. Anche il Pd.
Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Ormai il proporzionale è come il caffè: c’è chi lo preferisce puro e chi corretto.
Michele Magno

 

Al direttore - Andato in frantumi il renzismo ecco immancabilmente l’accetta che si abbatte sull’albero che cade. Il referendum promosso dalla Cgil e che vedrà la Corte costituzionale a gennaio pronunciarsi sulla sua ammissibilità, rischia di essere una mannaia che taglia indifferentemente il buono, il mediocre e il cattivo. Sta avvenendo ciò che accade ormai da diverso tempo sulle materie del lavoro. Arriva un governo e cambia le norme dei vecchi governanti, nell’illusione di ottenere nuovi posti di lavoro senza occuparsi dei fondamentali dell’economia. Poi al successivo cambio di fase politica, le norme sono di nuovo in via di disfacimento. Il risultato che ne deriva, con una volubilità così spinta, non può che essere negativo per le imprese, impossibilitate a programmare alcunché a ragione di un’instabilità regolatoria così cangiante. Quindi un terreno arroventato da una politica restia a occuparsi degli aggrovigliati nodi dell’economia e che ha preferito dare la sensazione di padroneggiare le leve dell’occupazione facendo e disfacendo le norme del mercato del lavoro. Il referendum promosso dalla Cgil si muove nella stessa logica della politica. Ideologizza lo scontro e si pone alla testa, in questa nuova fase politica, di coloro che si apprestano a fare l’operazione di ennesima modificazione del quadro legislativo. E invece, il sindacato – più che promuovere un referendum – dovrebbe negoziare con le imprese. Importanti rappresentanti dell’impresa hanno affermato che sarebbero d’accordo a modificare il funzionamento dei voucher restringendo l’ambito di applicazione settoriale – ad esempio vietandolo nell’edilizia – dedicandolo essenzialmente ai servizi e con limiti temporali più stretti e verificabili. E’ una tesi assai condivisibile che potrebbe essere alla base per una revisione positiva dei voucher. Questo strumento è molto utile per venire incontro a persone che vogliono in qualche giorno della settimana impegnare la propria disponibilità per lavori brevi che si conciliano con lo studio, con le esigenze familiari, e altre attività concorrenti. Abolirli favorirebbe il lavoro nero in quanto le imprese potrebbero ricorrervi in assenza di soluzioni pratiche come sono i voucher. Anche il ritorno all’obbligo delle ditte appaltatrici di rispondere in solido rispetto alle trasgressioni degli obblighi contrattuali e contributivi sociali dei propri subappaltatori nei confronti dei lavoratori protrebbe essere nuovamente normato dai contratti nazionali di settore come erano prima che il legislatore intervenisse. In quanto all’articolo 18, la soluzione trovata dal governo Monti risulta valida sia per i lavoratori sia per l’impresa; basta vedere il numero dei casi residuali dei contenziosi a livello nazionale. Si spera allora che ci sia avvedutezza da parte di tutti i soggetti, istituzionali e sociali per evitare un ulteriore snervante e deviante referendum.
Raffaele Bonanni

 

Al direttore - La discussione pubblica finalmente esplosa sul tema delle fake news in internet e i rischi connessi per la salute delle democrazie pare condizionata da alcuni equivoci, evidenti a chi da anni si occupa del tema della responsabilità per gli illeciti commessi tramite internet. Il primo equivoco riguarda il termine “disintermediazione”, che non va inteso come assenza di intermediazione in internet, quanto piuttosto come sostituzione dei tradizionali intermediari con i nuovi. Nonostante sia piacevole l’illusione di poter comunicare con un clic con il mondo intero, la realtà è ben diversa e in rete si esiste, si hanno i numeri, solo se supportati dai nuovi intermediari: i social network più importanti, ma anche motori di ricerca, blog e altri aggregatori forti che consentano di raggiungere un elevato numero di contatti. Posta questa premessa appare chiaro che il tema della responsabilità debba tener conto del fatto che i nuovi intermediari svolgono un’attività molto diversa da quelli tradizionali. Equiparare Facebook a un editore è una evidente forzatura della realtà se ci riferiamo ai contenuti pubblicati dagli utenti; ma è altrettanto una forzatura sostenere che Facebook sia solo un locatore di spazi virtuali. Di tale differenza tengono conto le leggi che, contrariamente a quanto autorevolmente affermato e sebbene sia opportuno che la politica si preoccupi di renderle più efficaci, non mancano e non disegnano una “giungla senza regole”, ma codici di responsabilità piuttosto precisi: l’intermediario che ospita contenuti pubblicati da utenti, pur senza essere editore, è comunque responsabile delle informazioni veicolate se controlla tali informazioni o se, posto a conoscenza della natura illecita delle informazioni, non interviene rimuovendole. Non solo: gli intermediari devono fornire alle autorità i dati in loro possesso, permettendo di identificare e quindi responsabilizzare gli utenti autori di atti illeciti e così scalfendo quella sensazione di impunità spesso alla base della commissione di evidenti illeciti, per così dire, a buon mercato. Ecco, probabilmente ciò che ancora manca è la consapevolezza della necessità e della possibilità di responsabilizzare chi più di tutti può intervenire sulle fake news e più in generale sugli illeciti che veicola, senza forzare le norme, ma applicandole correttamente.
Avv. Stefano Previti

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