Nobile crepuscolo

Mariarosa Mancuso

Arriva (come serie tv) “Ai confini della realtà”. Sempre che tutti, ça va sans dire, tengano le mani a posto

Se tutti terranno le mani a posto, una nuova serie modellata su “Ai confini della realtà” di Rod Serling – tra i programmi che negli anni 60 hanno scritto la storia della televisione – arriverà sulla piattaforma streaming della Cbs. Non è solo una battuta. Nel 2012 già si pensava al progetto: assieme ai vecchi episodi di “Star Trek” firmati da Gene Roddenberry, “The Twilight Zone” trova un suo pubblico affezionato ogni volta che viene riproposta. Avevano incaricato Bryan Singer, che ebbe la sua accusa di molestie (sotto la doccia) in anticipo sull’epidemia.

  

Il teletrasporto conduceva gli astronauti in pigiamino colorato su una varietà di pianeti costruiti a partire da ottime letture (non come oggi, che gli scrittori fantascienza leggono solo fantascienza, ammesso che leggano). La zona crepuscolare – questo vuol dire “Twilight”, poi adottato dalla saga vampiresca – conduce gli spettatori là dove le monete invece di indicare testa o croce restano in bilico. Dove un poveretto impazzisce in uno spazio virtuale e quando trova un telefono per chiamare casa risponde lo scienziato del laboratorio. Dove un malcapitato si sveglia dopo un’operazione di chirurgia plastica, si guarda allo specchio e scopre che gli hanno fatto un viso mostruoso (anche la devota infermiera era deforme, un astuto gioco di luci non ne aveva mai inquadrato il viso). Dove una moglie pestifera cancella riga per riga i libri al marito, e quando lui finalmente ha tempo per leggere – unico sopravvissuto a New York, era nel caveau della banca durante l’apocalisse, ha messo insieme una montagnetta di libri per affrontare l’eternità – gli cadono dal naso gli occhiali, e lui ha la vista di una talpa.

  

Erano gli anni 60, nella sigla in magnifico bianco e nero sfilava una piccola enciclopedia del surrealismo: un occhio, una porta sul nulla, un orologio, un manichino, uno specchio. Ora che gli specchi sono neri, come nella serie britannica “Black Mirror” (showrunner Charlie Brooker), “Ai confini della realtà” resta un padre nobile e un modello irraggiungibile. Veloce nei ritmi, e angosciante nelle trame. Puntando sempre alla testa, prima che al cuore o allo stomaco (sono i tre livelli della paura secondo Stephen King).

  

Basta fare un confronto con il premiatissimo episodio di “Black Mirror” intitolato “San Junipero”. Esiste una vita virtuale, ne godono due vecchiette che nella loro controparte ragazzina sono innamoratissime. Una vorrebbe restare a godersela nel mondo dei sogni – gli anni 80, gran colonna sonora e colori sgargianti. L’altra preferisce restare nel suo letto da lungodegente con i tubicini nel naso. Dov’è il dramma? Non avevamo capito bene, per la verità, neppure il dilemma di “Matrix”: chi la vorrebbe mai, la pillola rossa della verità? Puro masochismo. Neanche vorremmo uscire dalla caverna di Platone: La verità è la fuori? No, grazie. Stiamo bene qui, a guardare le ombre sul muro.

  

Non è la prima volta che “Ai confini della realtà” viene riproposta. E’ accaduto nell’85 e nel 2002. Mai con grande successo. Non era memorabile neppure il film diretto nel 1983 dal quartetto Landis, Spielberg, Miller, Dante. Va detto a loro discolpa che con il passare degli anni molti colpi di scena non sono più tali, dopo la prima volta ricascarci è difficile.

  

In attesa della serie, la Cbs ha sfruttato il patrimonio di famiglia vendendo i diritti all’Almeida Theatre di Londra per uno spettacolo teatrale diretto da Richard Jones. Andrà in scena il 5 dicembre, ed è record: la prima serie tv che debutta in palcoscenico.

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