Drogati di serie

Mariarosa Mancuso

Raccontare gli spacciatori a Ny va bene, se solo ci fossero ancora in giro sceneggiatori bravi con idee

Un problema toglie il sonno ai cacciatori di serial killer e agli autori televisivi scarsi di idee. Gli investigatori devono trovare gli elementi che collegano le povere vittime, si suppone infatti che gli assassini siano fissati, mica uccidono il primo che capita. Quando gli spettatori erano innocenti bastava il colore dei capelli, poi si sono fatti sgamati – dalle piaghe d’Egitto ai delitti scespiriani ai dieci comandamenti. Fino ad arrivare al sofisticato meta-indizio: tutte le vittime facevano sviluppare i rullini fotografici nello stesso negozio. (Sì, i cellulari hanno sabotato i film dell’orrore, ma non è l’unico segno del tempo che passa). Gli sceneggiatori si mettono a tavolino per escogitare un filo conduttore che colleghi storie e personaggi diversi. Quando gli spettatori erano innocenti bastavano un ospedale o un ufficio o una scuola o una famiglia. Ora che sono sgamati serve qualcosa di più originale. Certo, succede in mancanza di una trama degna del nome. Ma serve rassegnazione, ormai. Il numero delle serie tv aumenta – come aumentano i canali e le piattaforme. La mamma degli sceneggiatori bravi non è sempre incinta. Uno spacciatore che a Brooklyn e a Manhattan consegna erba a domicilio sembrò una buona idea a Ben Sinclair e a Katja Blichfeld. Ne ricavarono una web serie che debuttò su YouTube (era il 2012). Subito fece il salto verso la piattaforma streaming Vimeo, più sofisticata e non invasa da gallery di “gattini che somigliano a Hitler” (copyright l’ultimo film con Bridget Jones, molto meglio di come ve lo hanno raccontato).

Sette minuti a episodio, “High Maintenance” prometteva – e manteneva – una visita nelle case degli stupefatti newyorchesi che ricevono lo spacciatore con la merce a casa propria. Tipi umani dal bizzarro al normalissimo, tutti piuttosto nervosi: aspettare la droga preferita mette più agitazione che farsi consegnare la pizza a domicilio. Dallo scorso settembre, “High Maintenance” è una serie in onda su Hbo (in Italia su Sky Atlantic, sei episodi per questa prima stagione, la seconda già in lavorazione). Trenta minuti per episodio (sette minuti fuori dal web nessuno sa dove piazzarli): e qui la fragilissima struttura “incontro clienti qua e là per la città” funziona molto meno bene. Un cliente non basta per reggere la mezz’ora, due clienti sono difficili da collegare, come se non bastasse i titoli sono accuratamente scelti per depistare: si riferiscono a gente che nell’episodio viene solo nominata. “Vedo gente, vendo erba” non basta per sedurre lo spettatore viziato dalle storie complicate e avvincenti della Golden Age televisiva.

C’è da aggiungere che lo spacciatore – indicato soltanto come “The Guy”, “il Tipo” – non è particolarmente interessante né simpatico. Solo sfigato: già nel primo episodio un cliente tutto muscoli non lo vuole pagare (si è presentato con la valigetta da commesso viaggiatore mentre il forzuto veniva abbandonato dalla minuta fidanzata). Quando si decide a farlo vorrebbe dargli duecento dollari in monetine. La sostanza è scarsa, i trucchi si accumulano. Il terzo episodio della prima stagione (titolo: “Grandpa”, ma il nonno va cercato con il lanternino) viene raccontato dal punto di vista di un cane innamorato della propria dogsitter. La sogna, perfino, in un momento che dovrebbe essere caninamente visionario, ma risulta umanamente kitsch. Veli bianchi e rallentatore, pancia in alto per farsela grattare. Non era solo erba, la droga assunta come “little help” per scrivere e girare l’episodio. 

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