La crisi dell'industria coreana (o forse no)

Giulia Pompili
Se pensate che la Samsung stia passando dei guai per via del Galaxy note 7, o che l’enorme fallimento della Hanjin Shipping possa portare giù l’economia coreana, non avete idea dei guai che sta passando la Lotte Group.

    Too big to fail? Se pensate che la Samsung stia passando dei guai per via del Galaxy note 7, o se pensate che l’enorme fallimento della Hanjin Shipping (come raccontato ieri su questo giornale da Alberto Brambilla) possa portare giù l’economia coreana, non avete idea dei guai che sta passando la Lotte Group. Il conglomerato sudcoreano è l’ennesimo a fare i conti con il cambiamento del sistema industriale del paese asiatico. Nei guai sin dallo scorso anno, la Lotte – multinazionale da sessantamila dipendenti e un business che va dagli hotel di lusso ai pacchetti di caramelle – è il simbolo di una saga che riguarda la famiglia Shin,  la politica, un sistema corruttivo quasi istituzionalizzato, e il cambio di marcia delle politiche economiche del governo. Ieri è stata depositata in tribunale l’accusa formale contro le figure chiave della Lotte, per un totale di 22 persone iscritte nel registro degli indagati per appropriazione indebita ed evasione fiscale. Tra di loro, ci sono pure il 93enne fondatore del gruppo, Shin Kyuk-ho, e il suo secondogenito nonché attuale ceo del gruppo, Shin Dong Bin. Fino a poco tempo fa, i capi dei chaebol, i conglomerati a conduzione familiare, erano considerati intoccabili. E’ successo più volte, nella storia della Corea del sud, che il presidente concedesse l’amnistia per reati legati all’economia e alla finanza, giustificata dalla necessità di sostenere l’economia coreana. Ora l’opinione pubblica sudcoreana domanda più trasparenza. Lo scandalo Lotte è esploso nell’agosto scorso, quando il vicepresidente del gruppo, Lee In-won, era stato trovato morto poche ore prima di testimoniare in un processo per corruzione.  

     

    L’Indonesia che verrà. Il presidente indonesiano Joko Widodo ha celebrato i due anni di presidenza con una lunga conversazione con il Wall Street Journal nella sua casa di Solo, una piccola città nella Java centrale, l’edificio che prima di diventare sindaco della città usava come bottega per costruire mobili. Jokowi ha parlato dei suoi rapporti equidistanti con Cina e America, soprattutto sulle spinose questioni del Mar cinese meridionale, e di economia. Da quando è entrato in carica, il progetto di Jokowi è quello di portare il quarto paese più popoloso del mondo a diventare competitivo economicamente, e alcune aperture al mercato globale sembrano avere avuto effetto. A fine settembre un condono fiscale ha riportato nel paese una decina di miliardi di dollari in asset che erano tenuti all’estero. Il pil su base annuale cresce del 4,8 per cento, e Jokowi vuole portarlo al 7 per cento riducendo la spesa e smaltendo l’enorme carrozzone burocratico che blocca Giacarta (il presidente è noto per rispondere al telefono direttamente). Durante la sua visita ufficiale a Washington, Jokowi ha detto che l’Indonesia deve entrare nel Tpp:  “Dobbiamo fidarci dei mercati, dobbiamo fidarci del pubblico, dobbiamo fidarci degli investitori stranieri”, ha detto al Wsj. E in effetti, i vantaggi che offre Widodo, rispetto agli altri paesi del sud-est asiatico, riguardano soprattutto la stabilità politica: più del 60 per cento degli indonesiani lo sostiene, ha la maggioranza in Parlamento, e finora la guerra al terrorismo islamico la sta vincendo.

     

    Ban Ki Moon torna a Seul. Il 6 ottobre scorso il portoghese Antonio Guterres è stato votato come prossimo Segretario generale delle Nazioni Unite. Questo significa che il sudcoreano più famoso del mondo, il settantaduenne Ban Ki Moon, il 31 dicembre di quest’anno sarà ufficialmente disoccupato. In realtà nei Palazzi di Seul si parla sempre più spesso di una sua possibile candidatura alla presidenza del paese nelle elezioni del 2017. Del resto Ban è un uomo politico, oltre che diplomatico: era stato ministro degli Esteri a Seul, e durante la promozione della sua candidatura a successore di Kofi Annan gli contestarono il modo poco usuale con cui, da ministro, visitò tutti gli stati membri del Consiglio di Sicurezza. Sulle voci che lo indicano il prossimo candidato alla presidenza della Corea del sud, Ban non ha mai commentato. Certo è che a leggere i sondaggi, Ban vincerebbe con chiunque si candidasse. E sembra che lo stia corteggiando il partito di governo Saenuri, dopo il crollo vertiginoso che ha avuto la popolarità della presidente Park negli ultimi anni. Quel che c’è di sicuro, è che Ban tornerà a vivere a Seul a metà gennaio, pronto per preparare una campagna elettorale.

     

    Bombe nordcoreane. Ieri il Rodong Sinmun, il quotidiano di Kim Jong-un, ha scritto che la Corea del nord è pronta a distruggere Seul e il palazzo presidenziale se ci fossero segnali di un attacco preventivo degli Stati Uniti e della Corea contro Pyongyang. Su YouTube il canale ufficiale Uriminzokkiri continuano a girare le immagini di missili e attacchi ai palazzi del potere “nemici”. Mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu lavora a nuove sanzioni economiche, il programma missilistico nordcoreano “è la sfida più grande per la comunità internazionale” dopo anni di retorica di non-proliferazione, ha detto ieri il viceministro degli Esteri di Seul Lim Sung-nam.

     

    La K-wave arriva in Italia. Il 26 ottobre prossimo, a Roma, aprirà l’istituto di cultura coreana per promuovere corsi di lingua ed eventi. La notizia non è di poco conto: tra i paesi dell’estremo oriente, la Corea del sud è quello più agguerrito sul fronte del soft power. Il programma a tappe forzate di promozione culturale è avviato da tempo: lo dimostrano gli spazi sempre più consistenti che i media internazionali dedicano al paese, non più legato esclusivamente alle notizie che arrivano dal Nord. Lo dimostra il fatto che il K-pop non è più considerata un’eccentrica ed esotica produzione musicale, ma è entrato nel mainstream perfino italiano (una puntata di “X-Factor” ha trattato l’argomento), e lo dimostrano, infine, i numerosi ristoranti coreani che iniziano ad avere una clientela locale, non solo di gruppi turistici asiatici (se volete provare, a Roma andate da I-Gio, in via Roma Libera 24; a Milano da Bab, in via San Marco 24).

     

    (foto Mario Sànchez Prada via Flickr)

     

     

    Una versione precedente di questo articolo riportava che il modello della Samsung fosse il Galaxy s7. Ci scusiamo per l'errore.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.