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Allo specchio. Perché ci si ammala di anoressia?

Marta Scoppetta*

Sara, 15 anni, non ha resistito alla fame e ha mangiato un finocchio. Ha spalancato l’abisso

Perché ci si ammala di anoressia? Mi chiedono spesso i genitori disperati di adolescenti scheletriche, figlie spesso dotate di lineamenti di rara bellezza, ma che si sentono e vedono brutte e deformate. E’ iniziata così: allo specchio Sara si vedeva grassa – pur essendo da tutti riconosciuta come bella – e sperando di sentirsi meglio, ha iniziato una dieta. La dieta sembrava non finire mai e così ha rapito i quindici anni di Sara che per mesi ha sminuzzato per ore ogni boccone dei pochi pasti consumati. Dilaniata da sensi di colpa per ogni briciola in più. Finché un giorno non ha resistito alla fame e si è concessa un finocchio in più. Ed è stato il terrore. A lungo non se l’è perdonato perché quel finocchio, quel giorno, ha aperto un abisso: in cui sono entrati pacchi di biscotti e chili di pasta. E poi ha cominciato di nascosto a vomitare. E mentre tutti si rallegravano perché finalmente riprendeva peso, Sara iniziava a vivere un incubo. E nessuno se ne accorgeva.

     

Per capire bene come si è ammalata Sara, ho dovuto incontrare Sara. Darle il tempo di conoscerci e fidarsi di me prima di raccontarmi la sua storia e poter ricostruire insieme i vari passaggi che l’avevano portata ad ammalarsi e per cui per un anno ha dovuto lasciare la scuola e gli amici e ricoverarsi. A sedici anni. Ed è stato necessario tanto tempo affinché Sara comprendesse che quella dell’anoressia non era l’unica strada possibile per affrontare la sua adolescenza e che, con l’aiuto di tutti gli strumenti che può offrire un trattamento integrato, poteva trovare dentro di sé le risorse per uscire dall’anoressia addirittura arricchita e riprendere a vivere, o forse vivere per la prima volta. Anche a Sara all’inizio ho paragonato la sintomatologia anoressico-bulimica a una stampella divenuta necessaria per lei per continuare a camminare lungo il sentiero impervio che era diventata la sua vita in adolescenza.

   

A quindici anni solitudine, incertezza e terrore di apparire sfigata e non essere all’altezza avevano preso il sopravvento sulle qualità di figlia perfetta che l’avevano caratterizzata durante un’infanzia apparentemente serena. Fino a quel giorno in cui davanti allo specchio aveva deciso di iniziare la dieta, quell’abito di figlia perfetta era andato bene. E all’inizio l’abito della magrezza sembrava averlo sostituito egregiamente: il peso perso e gli elogi ricevuti avevano illuso Sara di sentirsi più sicura e poter vivere meglio. Ma per poco: presto quella sensazione di inadeguatezza davanti allo specchio era tornata, e Sara si era accorta di essere già dentro la voragine della sintomatologia anoressico-bulimica. Aveva provato ad aumentare l’attività sportiva per dimagrire ancora, ma non era bastato e, sfinita, aveva ceduto alla proposta dei suoi genitori di incontrare una psicologa. Il sintomo, come una torcia, aveva illuminato la strada faticosa da percorrere per ricominciare a vivere, forse addirittura meglio: la strada della cura. Come alle molte fanciulle che ho incontrato, ho proposto anche ai genitori di Sara di guardare il sintomo alimentare (ma vale per la maggior parte dei sintomi psicologici e psichiatrici nel delicato periodo di passaggio dall’infanzia all’età adulta) come una sorta di stampella che nel momento in cui si sentiva incapace di andare avanti con le proprie gambe lungo la strada dell’adolescenza, la loro figlia aveva inconsapevolmente utilizzato per trovare un appoggio. Dieta, conteggio delle calorie e controllo del peso, insieme a tutto l’insieme di sintomi psichici che caratterizzano queste sintomatologie, costituiscono una sorta di stampella a cui l’adolescente si è appoggiato per affrontare, seppure in una maniera patologica, quel difficile momento della vita in cui era quasi impossibile continuare “da soli”. Comprenderlo, come genitori, aiuta a dare senso alla sofferenza lacerante che si prova nel vedere un figlio tiranneggiato da circuiti autolesivi e, senza condannarlo ad aiutarlo ad uscirne. Quel sintomo infatti nasconde anche qualcosa di prezioso: oltreché stampella è un campanello d’allarme e un mezzo attraverso cui l’adolescente chiede aiuto. Attraverso magrezza e restrizioni alimentari, inconsapevolmente, l’adolescente che si ammala urla la propria disperazione, esprime l’angoscia profonda di non essere in grado di arrivare all’età adulta e implora di essere visto e aiutato. E qui può iniziare la strada faticosa, ma appassionante, della cura: a Sara è successo. Grazie a una lunga psicoterapia all’interno di cure multidisciplinari in cui si sono messi in gioco anche i suoi genitori, è guarita dalla sintomatologia anoressico-bulimica e ha ricostruito dentro sé la sicurezza per andare avanti con le proprie gambe e affrontare con coraggio le incertezze dell’adolescenza e della vita.

   

*Psicanalista e psicoterapeuta junghiana ha pubblicato “Perché mia figlia non mangia più?” (Castelvecchi)

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