"Mi piaci (quasi sempre)", testo e illustrazioni pop up di Anna LLenas (Gribaudo)

Perdonala, Grande Cocomero, è vittima del gap generazionale

Annalena Benini

Festa di compleanno in casa con distruzione, per non essere la nonna di Charlie Brown

Perdonala, Grande Cocomero, è vittima del gap generazionale. Charlie Brown chiede al Grande Cocomero di non arrabbiarsi per sua nonna, che in materia di grande cocomero è molto intollerante e non permette a Charlie Brown di passare la notte di Halloween nell’orto ad aspettare appunto il sorgere del Grande Cocomero, che porterà regali a tutti i bambini buoni del mondo. Ogni volta penso che non voglio diventare come la nonna di Charlie Brown, ma che è molto difficile credere a due cose: in generale ai Grandi Cocomeri, in tutte le loro forme, soprattutto umane, e in particolare alle feste di compleanno dentro casa, quelle in cui si invita tutta la classe e tutta la classe arriva davvero, un bambino dopo l’altro o a minacciosi gruppi di tre, e i genitori non salgono nemmeno fino alla porta di casa ma scappano via prima, dopo avere urlato dentro il citofono, con una euforia un po’ incredula: siete sicuri? A che ora veniamo a prenderli? Sì certo, sono sicura, non sono ancora la nonna di Charlie Brown, salite pure, salite tutti, venite stasera a riprendere questi ragazzini di prima media con le scarpe numero cinquantasette. Una bambina di dodici anni molto educata, molto gentile, con i capelli perfetti e la faccia piena di cose luminose, alta circa un metro più di mia figlia, ha preso un tramezzino, una coca, si è guardata un po’ intorno masticando e ha detto, seria, anche un po’ contrariata: certo, che coraggio. Poi ha seguito gli altri compagni nella gara di capriole in aria con tramezzino in mano e atterraggio sul divano, riprese da tutti i telefoni e modificate con le app che rallentano il volo e poi lo accelerano di colpo. Ho deciso che potevo iniziare i brindisi anche da sola, alle cinque del pomeriggio con me stessa, ed è stata una buona idea. Buon compleanno bambina, hai undici anni e il regalo che ti ha sconvolto è stata l'adozione del lupo a distanza: il Grande Cocomero dei lupi, con grande felicità ed eccitazione, richiesta di andare a trovare il lupo nel bosco per mettergli una medaglietta con il tuo nome, il mio fingere svagatezza non sapendo che cosa rispondere, e delusione assoluta, anzi sconforto, quando qualcuno ti ha rivelato che era un’adozione simbolica: aiuti i lupi in generale, non è che ce n’è uno laggiù dentro la sua tana che risponde al nome che gli hai dato tu e ti fa le feste quando ti vede.

 

Le ho detto che non è sicuro che sia così, che anzi possiamo dare un nome a questo lupo se vuole, abbiamo anche il certificato di adozione, ma già mia figlia era diventata Charlie Brown dopo la notte passata ad aspettare invano il Grande Cocomero, quando grida verso il cielo: “Non crederò mai più in te! Mai più!”. Lei staccava le foto dei lupi dalla stanza e a un certo punto ha anche detto: “Mi sembra tutto così futile”. Alla parola “futile” ci siamo preoccupati e vergognati (forse dovevamo essere contenti che usasse la parola “futile”, ma non lo eravamo per niente, ci sembrava il segno di qualcosa di terribile, soprattutto avevamo paura che fosse colpa nostra, comunque vorrei specificare: non mia ma di mio marito che legge Cioran), e abbiamo deciso di organizzare la festa di compleanno in casa, con i palloncini e i festoni e la musica a palla e il cane che balla e mio marito, cioè il padre della festeggiata, che ha fatto commissioni urgenti di pochi minuti per circa quattro ore, cioè per quasi tutta la durata della festa: però è tornato a un certo punto, al momento della torta, ha acceso le candeline, ha detto: oddio, ha schivato un proiettile vagante di una battaglia di pistole Nerf ed è sparito di nuovo portando via un vassoio di pizze e uno di panini. Io, che nella mia trasfigurazione eroica avrei dovuto vigilare, intrattenere, controllare, festeggiare, fotografare, aiutare, ho capito subito dopo la prima gara di canzoni (due gruppi ascoltano l’inizio di una canzone, il gruppo che la indovina per primo vince, ma tutti indovinavano tutto esattamente alla prima nota e passavano il resto della canzone a picchiarsi per chi aveva detto prima “Maria Salvador”) che in realtà avevo un solo vero compito: ogni tanto mettere il ghiaccio sulla spalla di uno, sulla fronte di un altro, oltre a dare il prima possibile a tutti la password del WiFi, rispettare la separazione maschi femmine e portare altra Coca Cola e ogni ora la rassicurazione che i genitori sarebbero venuti tardissimo a riprenderli. Dire addio allo specchio dell’ingresso, centrato da qualcosa che volava, a un po’ di oggetti in fondo poco importanti come qualche piatto e un lampadario però di carta, e più in generale all'idea di decoro. Se si è disposti a rinunciare a queste cose in nome del Grande Cocomero anche se non esiste, la certezza è che alla fine le nove di sera arrivano, il campanello suona, e i genitori hanno tutti l’auto in doppia fila e soprattutto paura di vedere la devastazione e il terrore di fare un giorno la stessa festa, quindi i bambini se ne vanno così come sono arrivati, da soli, con qualche livido e tutti però stringendo in mano e in tasca il fidget spinner, la trottola da dito senza cui non si può uscire di casa nel mese di maggio. Un bambino non trovava più le scarpe, diceva di essersele tolte in salotto ma non era più sicuro di niente, i minuti passavano e il padre da sotto continuava a chiamare perché era tardi, era sabato sera, aveva una cena, ma le scarpe erano sparite, abbiamo cercato anche sotto il cane, e il bambino piangeva. Gli ho detto: che numero porti? Ha detto: non lo so. Ho detto: ti va bene un trentotto? Non so perché, ma mi sembrava un numero ragionevole per un bambino di undici anni. Ha urlato: sì. Gli ho dato le mie scarpe da ginnastica e lui è corso giù per le scale, però zoppicando. Il giorno dopo sua madre, nel chiedermi se avevo per caso trovato un paio di scarpe da basket bordeaux, ha detto: numero quarantatré. Le scarpe le abbiamo trovate dietro una porta, dentro un cestino, e dentro le scarpe c’erano un telefono, un fidget spinner bianco e un panino al salame morsicato.

 

Buon compleanno bambina, ti sei divertita alla festa? Sì, ma pensi che il lupo mi starà aspettando, pensi che possiamo andarci un giorno? Penso di sì, chiediamo al Grande Cocomero però, perché non sono più sicura di niente.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.