Foto LaPresse/PA

A San Francisco ci sono più cani che bambini

Michele Masneri

Lo dice il New York Times, ma non tiene conto che avere un bambino nella città americana è lo status symbol definitivo

Il New York Times si è molto scandalizzato, quest’anno: San Francisco (ha deprecato) è la prima città d’America in cui il numero di cani per la prima volta supera quello dei bambini (120 mila). Il fatto è che il bambino a San Francisco è lo status symbol definitivo, costa più di una Tesla, occupa più spazio, soprattutto perché in America il concetto di “ci stringiamo” è considerato un abominio, c’è una precisa metratura che scatta quando arriva il marmocchio. Le coppie che “aspettano” o sono miliardarie o salutano gli amici, emigrano verso quartieri lontanissimi che assicurano “deliziosi” o verso paesi boscosi al limitare della baia, e nessuno li vede più. Ogni nascita una morte (civile).

 

Non è l’università futura a far paura: un asilo buono costa quanto Harvard, e quindi, quando il pupo si avvia verso il college, il genitore è già mitridatizzato da elementari e medie e high-school e non si scandalizza più. Ma oltre al costo (si calcola almeno ventimila l’anno), altri insormontabili quesiti: che lingua, che diploma, che attività; una delle più ambite è la “Scuola”; in italiano nel testo, “Reggio Emilia approach”, cioè metodo Montessori 2.0, retta da Valentina Imbeni, simpatica e bella signora emiliana, figlia del mitico sindaco di Reggio e Bologna. Ingegnere, già ricercatrice a Berkeley, si è trovata coi due figli nella terribile scelta della scuola, e alla fine in pieno spirito siliconvallico ha fondato la sua, con doppia lingua italiano-inglese, creatività a palla, tecnologia, orto e bambini felici allevati a terra (anche con borse di studio).

 

Per bambini grafomani c’è poi la scuola di Dave Eggers, nel quartiere sgarrupato-chic di Mission, dove l’autore di “The circle” da quindici anni insegna a scrivere a teenager talentuosi (una Holden sanfranciscana, ma no-profit). In città comunque il tema della scuola riassume un po’ tutte le contraddizioni: genitori fricchettoni ma ricchissimi, culto dell’istruzione ma ancor più cultura del dropout cioè dell’abbandono scolastico, à la Zuckerberg, Steve Jobs eccetera. Peter Thiel, grande abbiente e inventore di Paypal, tipo pifferaio magico dà centomila dollari ai ragazzi che abbandonano i banchi. Xavier Niel, guru delle tlc francesi, ha invece appena aperto 42, accademia di programmazione gratuita per geni squattrinati. E poi mistica libertaria, dunque ecco il grande ritorno dell’home schooling, ognuno fa da sé, lo Stato stia al suo posto, c’è tutto un mercato di insegnanti di cinese e precettori privati tipo abate Parini.

 

A Palo Alto la signora Zuckerberg si occupa invece soprattutto della “Primary School”, scuola elementare con 300 bambini cui gli Zuck hanno donato milioni, e dove manderanno presumibilmente le loro figlie (la prima, Maxima detta Max, nata il 1 dicembre 2015, della seconda è stato appena annunciato il concepimento). La scuola è gratuita, aspira ad avere un approccio naturalmente nuovo, “un modello che sia replicabile e sostenibile”, dà assicurazione e assistenza sanitaria gratuita ai bambini dai 3 ai 15 anni. Mentre il liceo pubblico di Palo Alto (Palo Alto High) è invece una di quelle classiche scuole di provincia di qualità bestiale, l’hanno frequentato Joan Baez, James Franco e suo fratello, ci insegna la professoressa Esther Wojcicki, la regina Vittoria di Silicon Valley – le sue tre figlie hanno conquistato tutti i troni più importanti, una è la ceo di YouTube, l’altra ha sposato Sergey Brin di Google, la terza è solo antropologa, pace.

 

Le povere famiglie ricche cercano soprattutto casa vicino a queste buone scuole: ecco un mercato immobiliare che negli annunci non dice “terrazzatissimo” e “finiture di prestigio” ma “vicino al liceo giusto”, tipo in Italia “vicino al Visconti!” “proprio accanto al Virgilio”, che farebbe un po’ strano. Qui invece il mattone ruota attorno alla scuola dei pupi: con indotti urbanistici interessanti. Noe Valley, quartiere centrale di San Francisco molto bo-bo, nei bar senti parlare tutti francese, e ci sono 4 boulangerie sulla stessa via. Perché qui c’è un buon liceo francese, ci hanno detto, e dunque i francesi e i francofili tutti qui accorrono. Noe Valley, che non c’entra coi Carabinieri del babbo di Renzi, è peraltro chiamata anche “In Vitro Valley” perché popolata da bambini per lo più ariani con genitori ambo o omosesso che non hanno tempo o voglia di portare a termine gravidanze a chilometro zero. Li vedi scendere dalle ripide stradine tutti contenti, genitori e bambini, con passeggini inestimabili e poche polemiche per uteri in affitto o leasing, non s’ebbe tempo.

 

Mentre per una conclusione “a effetto”, si può dire che alla fine tutti i sanfranciscani sono figli o pronipoti di mignotta. San Francisco a metà Ottocento era un borgo di 500 abitanti, poi scoprirono l’oro, arrivarono i cercatori, mercanti, banchieri. Tutti uomini (forse di qui il sessismo della Valle). Il rapporto era di una donna per 150 maschi. Migliaia di prostitute accorsero da ogni parte del mondo. Non se ne andarono. Sono poi tutte le bisnonne degli attuali startupper.

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