Marisa Bruni Tedeschi con le figlie Valeria e Carla (dal profilo Instagram di Carla Bruni)

La mia vita oltre a voi. Pazza gioia di una madre svelata alle figlie

Annalena Benini

“Carla, capisco che tu ce l’abbia con me, ma alla fine ti ritrovi con due padri, ed entrambi formidabili”

Siccome, dopo un anno di matrimonio, Marisa Bruni Tedeschi non era ancora rimasta incinta, suo suocero andò a trovarla di sabato mattina (andava a casa del figlio ogni sabato per telefonare in pace alle sue amanti, e quando morì lasciò a lui l’incarico di provvedere alle pensioni per le sue nove fidanzate, due delle quali sono ancora vive e ricevono regolarmente da Marisa i pagamenti mensili). Andò da lei, musicista bella, giovane e libera, e le disse: “Sono contrariato, sai che desidero un erede, ti consiglio di farti vedere da un ginecologo”. Marisa quella sera ne parlò con Alberto, suo marito, che era a letto con quaranta di febbre. “Ero un po’ scocciata, facemmo l’amore e rimasi incinta”. Nacque così il primo figlio di Marisa Bruni Tedeschi, Virginio come il nonno, e poi Valeria e Carla, dentro quella vita borghese e bohemienne insieme, con l’idea indistruttibile che si possa avere tutto, vedere tutto, cenare con la regina d’Inghilterra e lasciare la cena a metà per prendere l’aereo, correndo con gli abiti da sera e le sciarpe svolazzanti sulla pista di decollo, incontrare Luciano Pavarotti, giovane tenore sconosciuto, e dire: “Con un nome così non farà mai carriera”. Marisa Bruni Tedeschi e sua figlia Carla hanno incontrato anche Sonia Gandhi in India, a una cena di Stato, e le hanno chiesto se mangia ancora, ogni tanto, la bagna càuda. “Sonia Gandhi era di origine piemontese, nata vicino a Torino, ma la signora ci raffreddò subito: non era il caso di scherzare sull’aglio e sulle acciughe”.

 

In queste memorie un po’ ironiche e un po’ eccezionali, piene di gioia di vivere (“Care figlie vi scrivo”, La nave di Teseo), Marisa Bruni Tedeschi racconta alle figlie, Carla e Valeria, la sua vita oltre a loro, la vita di una madre immersa nel suo mondo e nelle avventure segrete: rivela o finge di rivelare a loro, ormai adulte e complici, i tumulti del suo cuore e delle sue storie d’amore, le fughe in automobile dal castello di Castagneto Po quando loro erano bambine e lei amava altri uomini. La passione per Arturo Benedetti Michelangeli, che a una festa le disse: “Ne ho abbastanza. Andiamo a bere questo champagne in camera mia”. Marisa Bruni Tedeschi racconta questa storia d’amore, un adulterio negli anni Settanta a Parigi, come un bellissima avventura: i treni che prendeva per raggiungerlo a Lugano, lui che la aspettava in cima alle scale, le notti senza dormire e senza respirare abbracciati strettissimi, lui che le diceva: “Amami, amami” e poi immergeva le mani in una bacinella con i fiori di fieno, per mantenere la bellezza delle sue mani di pianista. Dopo l’ennesima fuga suo marito una sera in un ristorante di Parigi le disse: “Senti, non sono stupido, sparisci per giorni senza dare notizie, posso anche pensare che tu abbia un amante ma voglio sapere chi è”.

 

Marisa gli rivelò il nome e Alberto rimase in silenzio per un momento, poi con dolcezza le disse: “Ti capisco”. Lui le parlò della famiglia, dei figli, della passione per quella bella vita insieme, le parlò della musica che entrambi amavano. “Michelangeli era un genio, non poteva opporsi a questa storia”. Fu forse l’unica volta che quel marito e padre un po’ distante, assorto sempre in altri pensieri e ossessioni, che aveva eliminato la passione dalla vita coniugale, che pensava soprattutto alle collezioni di quadri e alle altre donne, si sentì in pericolo. Ma raccolse tutta la saggezza e le disse: “Va’, vieni, fa’ quello che vuoi. Ti domando solo una cosa, non lasciare la tua famiglia. Io sarò vicino a te quando avrai bisogno di me, perché quell’uomo ti farà soffrire”. Marisa Bruni Tedeschi, che è diventata negli ultimi anni attrice per la figlia Valeria, racconta una vita diversa, privilegiatissima, un po’ pazza, la vita di una donna, di una madre, che si era regalata il diritto di prendersi tutto quello che l’accendeva. Se Ivan Drekinov suonava meravigliosamente bene i concerti di Brahms, allora lei non era offesa che lui tentasse di spogliarla spingendola in un portone. E adesso è divertita a raccontarlo alle sue figlie e al mondo intero.

 

“Qui vi racconterò tutto, anche le cose che possono infastidire, perché alla mia età si può dire tutto. Ho naturalmente dei rimpianti e dei rimorsi. Ho mentito, ho tradito, ma non penso di avere fatto del male o, forse, l’ho fatto senza volerlo”. Sua figlia Valeria quando chiede alla madre di raccontare qualcosa aggiunge subito: “Non mentire, mamma, non mentire!”, e Carla, che a ventotto anni ha scoperto di essere figlia di un altro uomo, telefonò a sua madre: “Dimmi la verità, chi è mio padre? Un vecchio, immagino”, “No, è un uomo giovane e bellissimo che vive in Brasile”. Marisa aveva trentacinque anni quando incontrò Maurizio che ne aveva diciannove: subito dopo cena, lei suonò dei pezzi al pianoforte e lui le fece scivolare in mano un foglietto di carta: “Posso amarti come un grande”. Quando Marisa si accorse di essere incinta, “come spesso nella mia vita, non ne provai alcun rimorso”.

 

Maurizio era disperato, ma si sposò e andò a vivere in Brasile (qualche decennio dopo, sua figlia Consuelo, sorellastra di Carla, è diventata consigliera diplomatica di suo marito, Nicolas Sarkozy), e Alberto, il marito, amò Carla come gli altri due figli. E quando adesso Marisa va a Torino sulla tomba del marito, Carla le telefona: “Di’ a papà che è lui mio padre”. Sembra una vita dentro la spuma delle onde, dentro un castello in Italia e poi ovunque, ridendo di tutti, raccontando la superstizione di Valeria, che se si rovescia il sale a tavola si alza e fa dei giretti su se stessa, nei due sensi. Carla, pessima studentessa, alla vigilia della maturità aveva rotto uno specchio: Marisa non glielo disse mai ma raccolse i pezzetti e andò a gettarli nella Senna. Carla fu promossa. Ma ci sono anche i grandi dolori, in questa vita fatata e mondanissima ma non cinica, e la morte di un figlio è il dolore che non abbandona mai nemmeno il corpo. Quando Virginio morì, nel 2006, dopo una lunga malattia e lunghi viaggi e risate, il dolore tirava verso il basso e Marisa restava inginocchiata accanto al letto: lui era talmente magro che lei non lo vedeva più, vedeva soltanto il lenzuolo. Le figlie sempre accanto alla madre, nella pazza gioia e nel dolore infinito.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.