Devoti indù si preparano per un tuffo alla confluenza del fiume Gange, Yamuna e Sarasvati il primo giorno di buon auspicio dell’ Ardh Kumbh Mela ad Allahabad, Uttar Pradesh (foto LaPresse)

Passaggio in India

Francesca d'Aloja

Il Kumbh Mela con mio figlio, per mano nel fiume tra la folla: la cosa più bella della mia vita

Mi sarebbe piaciuto, da ragazza, fare qualcosa di memorabile insieme ai miei genitori. Qualcosa che avrei potuto ricordare e raccontare con struggimento e un pizzico di orgoglio. Non è capitato. Conservo tanti bei ricordi familiari ma l’epica che cercavo non mi ha sfiorata. Così, forse per risarcire me stessa, ho deciso di fare qualcosa di unico insieme a mio figlio. Nel gennaio del 2013, ad Allahabad, in India, si sarebbe svolto il più grande, folle, pellegrinaggio di massa del pianeta: il Maha Kumbh Mela, appuntamento imprescindibile per milioni di hindu che in un luogo preciso e sotto precisi influssi astrali decidono di mettersi in marcia per raggiungere il Sangam, il punto di confluenza dei tre fiumi sacri: il Gange, lo Yamuna e il mitico, invisibile Saraswati, il fiume sommerso.

 

È lì che si svolge il rituale del Main Royal Bath, il bagno purificatore che monda i peccati e garantisce l’immortalità. Accade ogni 12 anni. Mio figlio all’epoca aveva 19 anni, limite oltre il quale non sarebbe stato più possibile immaginare una simile avventura. Le strade poi si dividono e i percorsi diventano individuali. Così è stato per me, così sarà per lui, ho pensato. Non è stato difficile convincerlo, nonostante gli amici considerassero l’impresa “totalmente folle”. In effetti lo era. Ma oggi posso dire, dopo aver viaggiato in lungo e in largo e aver avuto esperienze sufficienti a farmi credere di aver dato un senso alla mia vita, che partecipare al Kumbh Mela, nonostante l’incredibile fatica, il disagio e l’azzardo è stata una delle cose più straordinarie che abbia mai fatto. E sono certa che mio figlio, malgrado abbia davanti a sé molte altre occasioni per sorprendersi delle meraviglie del mondo, direbbe la stessa cosa.

 

La prima tappa del viaggio iniziatico (nulla lo è più di un viaggio in India…) è stata Varanasi, l’antica Benares. Mi sembrava un buon principio per testare le resistenze di entrambi. Ci ero già stata e ricordavo l’impatto che ebbe su di me la visione dei ghat lungo il Gange, dove i rituali di vita e di morte si intrecciano dalla notte dei tempi. Ho pensato che se mio figlio avesse superato quel primo banco di prova avremmo potuto proseguire. Lui si lasciò subito trasportare dal caos, voleva vedere, assaggiare, scoprire ogni cosa. Dimenticò addirittura la sua indole schizzinosa tanto che sugli scalini che lambiscono il fiume si fece tagliare i capelli da un ragazzino lercio con cui entrò subito in confidenza. Il suo unico strumento era un rasoio arrugginito. “E’ il miglior taglio di capelli della mia vita”, disse mio figlio. Vide solo il bello, lo riconobbe anche nelle immagini più impressionanti, e lì capii quanto fosse simile a me. Eravamo pronti per il Kumbh Mela. Arriviamo ad Allahabad nel primo pomeriggio, in uno delle centinaia di campi allestiti per l’occasione. Ci mostrano le tende in cui avremmo potuto riposare e ci istruiscono sulle regole ferree da osservare durante il pellegrinaggio.

 

Prima fra tutte non perdere mai d’occhio la guida. Il rischio di smarrirsi e soprattutto di non essere ritrovati è troppo alto. Si stima l’arrivo di 80 milioni di persone diluite nelle 4 settimane di festeggiamenti, una tale concentrazione avrebbe impedito qualsiasi contatto telefonico. Ci dicono di riposare fino a mezzanotte, orario stabilito per l’inizio della marcia che sarebbe terminata il mattino successivo. Davanti a noi una lunga notte e almeno 15 chilometri da percorrere a piedi. E così, sotto un cielo stellato, cominciamo a scendere verso la spianata da cui proviene un frastuono minaccioso. Quello che vediamo supera la nostra immaginazione: una fiumana infinita di esseri umani avanza solenne in un paesaggio lunare. Personaggi fiabeschi ci sfilano accanto cantando e ballando, carri carnevaleschi trainati da elefanti decorati con pennacchi e ghirlande, cavalli, biciclette, processioni di hare krishna, santoni seminudi, donne, vecchi e bambini. Tutti, indistintamente, protesi verso il medesimo obiettivo, il Sangam, che bisogna raggiungere, imperativamente, entro l’alba.

 
E’ al sorgere del sole infatti che avverrà il Bagno Purificatore e solo allora sarà possibile incontrare i Naga Baba, i guerrieri asceti devoti di Shiva che per primi hanno il diritto di tuffarsi nel fiume secondo un antico protocollo gerarchico. Sono solo le tre di notte e siamo già morti di fatica, Tano mi sprona: “Andiamo avanti, dai!”. Stringo la mano a mio figlio, che dall’alto del suo metro e novanta vede ciò che gli altri possono solo immaginare e piano piano, miracolosamente, arriviamo. Un rombo sotterraneo annuncia la carica dei Naga Baba. La folla si apre per fare spazio a migliaia di creature demoniache, coperte di cenere e armate di lance, spade e tridenti, che dalle caverne dove vivono, rinunciando a ogni bene, sono arrivati fin qui. E insieme, in un frastuono infernale, caracollano nel fiume. Così come sono arrivati, rapidamente se ne vanno. Ora è il turno dei Sadu e infine dei milioni di pellegrini che non aspettano altro. Mi volto verso mio figlio per riempirmi gli occhi del suo stupore e lo vedo, mezzo spogliato, pronto a gettarsi anche lui nel sacro fiume. Lo seguo fino alla riva, preoccupata sì, ma anche incoscientemente fiera, di me e di lui, e quando lo vedo immergersi capisco che un giorno, in questi luoghi, tornerà. Senza di me.

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