Illustrazione di R.W. Alley per “Il Natale di Paddington” (Mondadori Ragazzi)

L'illusione della magia non può svanire in un pacco di Amazon

Annalena Benini

Quello che spunta dalla pancia di Babbo Natale non è un cuscino del divano. Il bisogno di crederci

Mamma guarda che Babbo Natale i regali non li paga, lui li costruisce. Quindi posso chiedere anche Boombot Robot Spaccatutto. No, anche se li costruisce non può costruirli troppo costosi, i materiali deve comprarli, quindi questo Spaccatutto per favore adesso lo togli dalla lettera, non voglio che Babbo Natale pensi che sto crescendo un bambino avido, è una figuraccia. Mio figlio mi guarda con sospetto e non cancella la richiesta del robot Spaccatutto, dice che le materie prime le portano gli elfi e Babbo Natale non paga nemmeno quelle, e comunque lui quest’anno vuole proprio salutarlo e ringraziarlo la notte di Natale, quindi non serve neanche scrivere “grazie” e “per favore” nella lettera. La lettera è piuttosto scarna e aggressiva: Caro Babbo Natalizio (mio figlio è convinto che si chiami così) e un elenco di quattro regali. Firmato: Giulio. Tanto quando lo vedo stavolta gli parlo, ha detto dandomi le spalle, mentre appendeva la lettera all’albero di Natale con una molletta. Io lo so che lui ha passato gli ultimi dodici mesi a farsi coraggio.

L’anno scorso ha visto Babbo Natale dalla finestra, con una pancia assurda, un lembo di cuscino che spuntava dalla casacca rossa e una sigaretta in mano, era il Natale della stanchezza, ed è rimasto così paralizzato dalla paura che non è riuscito nemmeno ad alzare la mano per rispondere al saluto, ma è diventato tutto rosso e ha grugnito. La gioia dei regali nel sacco marrone è stata offuscata dalla vergogna per non aver saputo gestire l’emozione, Giulio non ha più parlato di Babbo Natale ma ha controllato quasi ogni giorno sul calendario la posizione del mese di dicembre, e due settimane fa ha detto a sua sorella, in un momento non ostile: questa volta ce la faccio. E sua sorella, che non crede più a Babbo Natale, ha deciso di sostenerlo, di concentrarsi su di lui per dimenticare o attutire la tristezza da infanzia che svanisce, da fine della speranza in qualcosa di magico. “Tu pensi di avere una mamma e poi scopri che invece ti hanno adottato e detto bugie, come ti sentiresti?”, mi ha detto molto seriamente quando le ho chiesto se le dispiacesse sapere che i regali li compriamo noi su Amazon, e scegliamo anche la modalità: pacco regalo con biglietto, e io scrivo il biglietto di Babbo Natale, sempre pieno di raccomandazioni esagerate e patetiche sulla gentilezza con i genitori e con i fratelli.

Mia figlia desiderava tantissimo continuare a credere a Babbo Natale, anche a dispetto della verità e degli scontrini che i suoi compagni di classe le portavano come prove, a dispetto della maestra che diceva: siete grandi, lei non aveva nessuna voglia di diventare grande e non le importava nemmeno tanto dei regali, proprio le piaceva aspettare un signore vestito di rosso che lasciava le renne nascoste da qualche parte, le piaceva spiarlo dalla porta, chiedersi perché ogni anno era leggermente diverso, guardarlo mentre beveva un sorso di vino (non c’era verso di convincerlo a bere il latte dopo le undici di sera) “non è bello scoprire che era una finta”. Ma quindi adesso il Natale per te è triste? Beh, non è più la stessa cosa. E’ finito l’incantesimo, quello che racconta Charles Dickens, quello che dovrebbe rinnovarsi a ogni vigilia e cancellare la logica, la serietà, la realtà. Ci si sveglia la mattina di Natale e non si è più bambini.

E allora per non diventare tutti usurai, taccagni, infelici, bisogna ritrovare quell’attimo di impossibile che diventa possibilità. Succede a me quando scrivo i biglietti di Babbo Natale e porto a casa i pacchi di Amazon e li nascondo nell’armadio ma in alto, con la scala, e compro i regali anche per il cane e il gatto perché non voglio che si offendano. E’ quello che si spera ogni volta che si riceve un pacchetto e non si sa che cosa sia (ti prego non una cravatta, ti prego non una candela profumata, ti prego nemmeno un paio di pantofole, ma neanche una borsa dell’acqua calda a forma di alce), anche se mio figlio ripete da mesi: “Io odio le sorprese” e non vuole per nessun motivo ricevere regali non programmati. Lui odia le sorprese perché ha paura della delusione (ha soprattutto paura che i regali siano libri o vestiti), ha paura che Babbo Natale non esista e che non gli porti il Robot Spaccatutto che costa troppo, vuole la certezza della vigilia, la sicurezza che l’attesa sarà ripagata e che quello che spunta dalla pancia di Babbo Natale non è un cuscino del divano, anche se riconosce il colore della stoffa.

Non vuole che la magia sia rovinata dalla realtà, ma non va affatto a caccia di realtà, così quando si chiude in camera a parlare con il cane e il cane abbaia perché spera che qualcuno apra la porta, lui è convinto che quella invece sia una conversazione, e gli basta per essere sicuro della magia del suo cane. Sua sorella sa che cosa ha perduto, e allora per lei l’unico modo di essere ancora una bambina la notte di Natale è fare di tutto perché Giulio ci creda ancora, “almeno fino a quando ci ho creduto io”, e allora ha deciso che questa volta Babbo Natale deve essere perfetto, senza cuscini che spuntano, senza sigarette, e dovrà fare anche un rumore di campanellini e dire almeno: Ciao Giulio. Giulio diventerà tutto rosso e grugnirà, ma il Natale sarà salvo.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.