Beppe Grillo con Davide Casaleggio (foto LaPresse)

"Neutralizzare" i sospetti. Così M5s sceglie la via delle epurazioni soft

Valerio Valentini

Senza avvocati e senza tribunali di mezzo solo il Gran Consiglio dello “staff” può distinguere tra fedeli e dannati

Roma. L’offerta è stata formalizzata in via riservata, davanti al giudice civile della sezione fallimentare del tribunale di Napoli. E’ stato lì che giovedì scorso Paolo Morricone, l’irreprensibile avvocato e attivista romano del M5s, ha spiegato che i vertici pentastellati erano disposti non solo a reintegrare i ventitré attivisti espulsi, ma a risarcirli pure delle spese legali. “E in caso di accordo ci verrebbe garantito anche il posto in lista alle prossime politiche, come indennizzo”, aggiungono i ventitré “appestati partenopei”, come amano essi stessi definirsi, cacciati dal Movimento con una semplice email nel febbraio del 2016 per aver creato un gruppo segreto su Facebook. E viene quasi da sorprendersi, per questa conciliante remissività dei leader di M5s e dei loro legali, che invece quando si tratta di comminare pene e sanzioni si mostrano inflessibili.

 

Se non fosse, però, che queste indulgenze non arrivano per un improvviso ripensamento, ma nascono in verità da un cambio di strategia assai furbo. Che dice molto di un movimento che si raffina e si scaltrisce, nei suoi meccanismi burocratici e nei suoi metodi di fidelizzazione coatta degli adepti. Le espulsioni infatti non vengono più ritenute uno strumento utile da Beppe Grillo e Davide Casaleggio. E in effetti le ultime risalgono al marzo 2016. Poi i due leader devono essersi accorti che qualcosa stava andando storto, alla luce dei sempre più numerosi casi di figuracce in tribunale: dove, quasi sempre, i reietti ottenevano ragione, e le espulsioni – tutte comminate in virtù del Regolamento del 2014, di assai dubbio valore giuridico – venivano dichiarate illegittime. E così, costretti a riflettere sui loro fallimenti, i capi pentastellati hanno pensato bene di passare a un’arma più subdola: quella della sospensione legata a sanzioni disciplinari. Il procedimento è a suo modo già collaudato, riprodotto con poche, irrilevanti varianti un po’ dappertutto. In ogni zona d’Italia Grillo e Casaleggio hanno i loro fedelissimi: sentinelle che vigilano, nelle riunioni ma assai più spesso sui social network, sulla fedeltà dei vari attivisti, segnalando i tipi sospetti. Basta una riunione non autorizzata, o magari un like al post sbagliato, per far scattare la delazione.

 

A quel punto il profilo degli iscritti attenzionati viene macchiato: e i malcapitati risultano incandidabili alle varie elezioni, dove proprio la mancanza di sanzioni disciplinari è immancabilmente un requisito imprescindibile. “Veniamo di fatto neutralizzati”, racconta al Foglio Antonello Livi, attivista di Tivoli, che per le sue frizioni con la senatrice grillina Elena Fattori si è visto dapprima segnalato, poi querelato per via di alcune scherzose canzoni pubblicate su Facebook. “E infine, quando ho scelto di candidarmi alle recenti regionarie laziali, mi è stato impedito. Lo staff semplicemente non ha risposto alla mia mail, e sono rimasto escluso”. Tra Genova e dintorni è Alice Salvatore, consigliera regionale in Liguria e amica intima di Casaleggio, a stabilire l’affidabilità degli attivisti e a suggerire sanzioni disciplinari. Ma vicende analoghe avvengono anche in Sicilia, in Toscana e in Campania. Dove gli attivisti, con un po’ di timore, confessano: “Ci screditano, ci delegittimano: spesso con pretesti risibili”. E così gli ex ufficiali di Marina vengono considerati infiltrati dei servizi segreti, maestre elementari definite “personalità borderline”, i non allineati bollati come “talpe piddine”. “L’intento è marchiare a fuoco i sospetti e renderli inoffensivi”, dicono i dissidenti in Liguria. E forse tutto ha una sua logica: nel movimento digitale, nato in rete sulla base di logiche futuristiche che nascondevano in verità tentazioni autoritarie assai vecchie, per evitare il dissenso interno non si poteva che optare per le epurazioni online. Senza avvocati e senza tribunali di mezzo: solo il Gran Consiglio dello “staff” a distinguere tra fedeli e dannati.

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