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In Inghilterra il centro non esiste più

Paola Peduzzi

C’è uno studio che terrorizza i Tory che si riuniscono a Manchester. Dice che per gli inglesi il liberalismo è morto

Milano. Iniziano i lavori della conferenza dei Tory a Manchester, i giornali inglesi fan capire che ci saranno scontri epocali, mentre l’Europa dice che solo dei “miracoli” possono salvare il negoziato Brexit e i dati economici aggravano una prospettiva già un po’ grigia. Theresa May prepara l’ennesimo discorso, s’aspetta i soliti dispetti e i soliti golpisti pronti a sferrare il colpo (mancando sovente l’obiettivo), ma a preoccupare lei e il partito intero c’è in più uno studio reso pubblico ieri dal Legatum Institute. Questo think tank di area conservatrice è legato al mondo della “hard Brexit” versione liberale, e per questo è preso in grande considerazione da Downing Street, che sta cedendo sull’hard ma sulla Brexit come occasione liberale per il Regno Unito vuole continuare a credere.

 

I risultati dello studio – s’intitola “Public opinion in the post-Brexit era: Economic attitudes in modern Britain” ed è cofirmato dal mattatore del VoteLeave Matthew Elliott – sono invero sconfortanti. Lo stesso Elliott dice: “L’esito di questa ricerca è preoccupante per chi difende la libera impresa. Competizione, imprenditorialità, libero mercato sono essenziali per la prosperità, non soltanto per i profitti del business, ma per creare opportunità a tutti”. L’altro esperto della ricerca, James Kanagasooriam, precisa: “Il centro, in senso economico, è molto più a sinistra di quanto molti commentatori stiano comprendendo”. Jeremy Corbyn, leader del Labour, è fuori dal mondo, ma i suoi seguaci che lo rendono credibile sono sempre più mainstream. I dettagli di questo cambiamento in corso – ancor più doloroso visto che accade nella culla del liberalismo – sono impressionanti: l’83 per cento degli intervistati (l’istituto che ha fatto le rilevazioni è Populus) è a favore della nazionalizzazione dell’acqua; il 77 vuole la rinazionalizzazione di gas ed elettricità; il 76 si augura che le ferrovie siano sotto il controllo dello stato. Più del 50 per cento vorrebbe anche una nazionalizzazione del sistema bancario, e il termine “socialismo” è ben più popolare di “capitalismo”, che è invariabilmente legato al concetto di avidità e corruzione.

 

I dati elettorali del voto dello scorso giugno hanno segnalato che i Tory sono andati molto male tra gli under 40, e buona parte della motivazione sta proprio nel fatto che i conservatori sono ricondotti al mondo del neoliberalismo e del capitalismo. In un’intervista al magazine The House appena pubblicata, la May dice che il liberalismo non viene più compreso dai giovani – “abbiamo capito con tristezza che questo è un messaggio andato perduto” – e aggiunge: “C’è una generazione di persone cresciuta in un ambiente diverso e che forse non ha visto che problemi ci sono quando non credi nel libero mercato e in un governo intelligente dell’economia”. Il fascino dei più giovani per il socialismo è dettato dalla non esperienza degli effetti del socialismo, insomma. La May vuole invertire questa tendenza – che porta dritti al successo del rivale Corbyn – con una formula che contemperi liberalismo e attenzione ai “dimenticati”. Ma le discussioni e improvvisazioni sulla Brexit guastano ogni cosa in questo Regno sfregiato: è la paralisi dei Tory a dare spazio alla sinistra estrema, sentenzia il magazine conservatore Spectator, mayista della prima ora adesso parecchio abbacchiato. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi