Giuliano Pisapia (foto LaPresse)

Così il modello Pisapia, inviso a Max, riparte da Milano

Daniele Bonecchi

La sinistra “civica” che non molla l’asse col Pd. Le convergenze parallele con Sala e Gori

Saranno in pochi a ricordare, il 7 novembre, quel colpo di cannone sparato cent’anni fa dall’incrociatore Aurora sul Palazzo d’Inverno, l’inizio della rivoluzione d’Ottobre. Oggi la sinistra è troppo impegnata a picconare il Pd e chiunque gli si avvicini, per aver tempo di riflettere su quegli anni, gioie e dolori. In molti invece ricordano il più recente, ma non così recente, “miracolo a Milano” di Giuliano Pisapia, che dopo quattro e più lustri di dominio del centrodestra, nel maggio del 2011 riesce a sconfiggere – a sorpresa – Letizia Moratti, col suo parterre di buone relazioni industriali e l’Expo in saccoccia. Pisapia riaccende una speranza di una sinistra in catalessi dopo i decenni della Lega e di Forza Italia alla guida di Milano. Dopo i dieci anni di governo inossidabile dell’amministratore di condominio, Gabriele Albertini, che aveva dato ossigeno alla Milano operosa mettendo le basi per una rivoluzione urbanistica ed era riuscito a realizzare dopo anni di attesa il primo depuratore delle acque.

 

In piazza Duomo quel 29 maggio, a salutare Pisapia sindaco, col suo bottino del 55,1% di consensi, contro il 44,8% di Letizia Moratti, ci sono migliaia di persone. D’improvviso, senza divisioni a sinistra. Oggi Pisapia ci riprova. E’ partito da Milano e oggi con Campo progressista vuole rimettere assieme quel mondo, la sinistra arcobaleno, una sinistra senza patria, stanca di divisioni e di rotture. “Perché lo scontro con Speranza – spiegano i più vicini a lui – può essere un’opportunità”. Fin da subito le diversità, col variegato mondo di Mdp, si erano fatte strada. A partire da piazza Santi Apostoli tappezzata di bandiere bersaniane, mentre l’idea era opposta: campo aperto a ognuno ma senza etichette. Pisapia l’aveva presa male, ma alla fine l’aveva considerata un incidente di percorso. Ma nelle ultime settimane la presenza scomoda di Pisapia, per gli uomini di Mdp, si è fatta indigesta. L’ultimo schiaffo – poco prima del benservito di Speranza – lo sberleffo all’intesa di Pisapia con Gentiloni sull’abolizione del super ticket, salutata dalle dimissioni del viceministro in quota Mdp Filippo Bubbico. A quel punto l’ex sindaco di Milano capisce che si è cacciato in un vicolo cieco, l’avversità (qualcuno dice odio viscerale) degli ex Pd nei confronti di Renzi e del governo Geniloni è troppo forte. A Bersani, D’Alema, ma nemmeno a Fratoianni e Vendola non basta più l’idea di Pisapia: salvare la sinistra e il paese dalle larghe intese. Vogliono vedere la testa di Renzi rotolare. Ma Pisapia non abbandona il campo, non molla, perché considera l’incidente con Speranza, la cartina di tornasole, un fatto liberatorio. E ora riparte da Milano – ancora una volta destinata a fare da laboratorio per la sinistra – dove ha le sue truppe: in Comune a partire da Anita Pirovano, e in Regione con Chiara Cremonesi e non solo. L’idea è di chiamare a raccolta il mondo civico, le realtà di una sinistra che non accetta il confino per costruire un programma di governo e negoziare poi col Pd. E a Milano trova un alleato di fatto: il sindaco Beppe Sala. Che da tempo ha scelto per un bilanciamento “più largo” a sinistra, che il solo Pd “di Renzi” non garantisce. Le origini e l’imprinting diSala e Pisapia sono molto diversi, ma Sala ha bisogno, per corroborare il suo programma amministrativo, di una sinistra integra. Lontana dalle scorribande delle fazioni.

 

E a Milano si apre – grazie al movimento vicino a Giuliano Pisapia – uno spiraglio anche per Giorgio Gori che vuole sfidare Maroni alla guida della Regione. Sono gli arancioni lombardi a dare fiducia al sindaco di Bergamo – dopo il balletto sulle primarie inscenato da Mdp – e Gori risponde a stretto giro: “La volontà di partire subito, senza ulteriori indugi, contenuta nel titolo dell’appello dei mondi della sinistra lombarda vicini all’esperienza arancione, è l’auspicio che chiunque ha a cuore la sfida delle elezioni regionali non può che accogliere con grande soddisfazione”. A Roma Pisapia ha però il grosso delle truppe. Perché nel calderone di Mdp non sono pochi i parlamentari disposti a dargli credito, da Michele Ragosta a Filiberto Zaratti e Ciccio Ferrara. Poi ci sono i piddini scontenti, come Luigi Manconi e Franco Monaco e il giro di Bruno Tabacci. Quanto basta per credere che – prima dello scioglimento delle Camere – possa nascere un gruppo di Campo progressista. Molto dipenderà dalla legge elettorale. Una cosa è certa, Pisapia non ha intenzione di mollare e se il Rosatellum – nonostante il diniego dei parlamentari vicini a Pisapia che non voteranno la fiducia – lo permetterà, Campo progressista potrebbe far parte del cartello della sinistra di governo. Così, col suo modello Milano, Pisapia potrebbe spingere l’asse della sinistra di governo italiana. Con buona pace per D’Alema e soci.

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