Ma insomma, che cosa si fa a Milano a Ferragosto?

Gianluca Ferraris

Viaggio sulla 90/91 tra Lodi e Lotto per sfatare il mito dell’esodo estivo (complice la politica)

L’ultimo passeggero sale un attimo prima che si chiudano le porte. Italiano, sui cinquanta, maglietta gialla che recita Hollywood is nicer than Soho, borsone militare a tracolla: l’attitudine a ficcare in valigia i nostri capi peggiori, evidentemente, non comporta il vestirci bene quando restiamo in città. Rimarrà a bordo fino al capolinea per poi sparire nel ventre fresco e rassicurante di un McDonald’s, dopo aver esibito per l’intera tratta il suo strumento di resistenza passiva a una compagnia viaggiante unanimemente gobba sugli smartphone: una copia della Settimana enigmistica. Insieme a un libro di Sveva Casati Modignani, compulsato da una ragazza bionda per sei o sette fermate, sono le uniche tracce di svago cartaceo che incontrerò. Primo luogo comune da sfatare, dunque: in questa stagione non si legge di più. Non qui, almeno.

 

La vettura è comoda, pulita, parte alle 13 e 57 spaccate come da display e l’aria condizionata confina al di là dei vetri un caldo privo di qualunque estetica, minerale, astringente, dai vapori malati che l’acquazzone mattutino ha enfatizzato. Primo luogo comune da confermare: sì, a Milano il trasporto pubblico funziona e la cosa ci rende talmente orgogliosi da essere diventata un topic di conversazione. In questo caso fra un’elegantissima anziana con crocchia grigia d’ordinanza – Si sta proprio bene, hai visto a Roma invece – e la sua badante – Vero, señora– che scendono in viale Toscana lasciandomi per un po’ da solo con mister cruciverba.

 

Un viaggio domenicale sulla linea 90 da Lodi a Lotto può inquadrare in modo esaustivo la Milano d’agosto. La tramvia circolare destra è quella che in estate continua a mostrare il tasso di riempimento più alto e insieme alla gemella 91, che compie il percorso opposto lungo la direttrice sinistra, separa idealmente due città: quella interna, che la vulgata dipinge deserta, bollente e collassata come la metropoli di Blade Runner, fatta di blackout improvvisi in ascensore con il custode in vacanza e nessun inquilino a portata di urla; e quella esterna, secondo le cronache popolata quasi come nel resto dell’anno, puntellata di stranieri esausti e di villani alla Duilio, il garzone protagonista dello scerbanenchiano Al mare con la ragazza, che sogna di rubare una spider e fuggire a Lignano Sabbiadoro.

 

Le stime dicono che la realtà è molto più sfumata, avallando una terza verità: questa settimana sono partiti quasi 400 mila milanesi, ai quali se ne aggiungeranno altri 200 mila per il ponte ferragostano. Un sondaggio di LastMinute.com mette sul podio delle loro destinazioni Spagna, Grecia e la miscellanea “mare italiano” tanto cara a Duilio. I villeggianti spenderanno fuori porta una cifra compresa fra i 700 e gli 800 milioni e lasceranno qua a sudare, anima più, anima meno, altri 500 mila concittadini. Numero in calo rispetto allo scorso anno, ma si tratta comunque di mezzo milione di esseri umani che dovranno sfamare la famiglia accaldata, cambiare una gomma, concedersi un caffè consolatorio, svagarsi. Possibilmente senza macinare chilometri sotto il sole. L’assessorato alle Attività produttive ha infuso in loro nuova speranza: 5.966 valorosi esercenti, il 10 per cento in più sul 2016, hanno aderito alla moral suasion comunale e vedranno la loro insegna comparire sul pdf più scaricato del mese, “Milano aperta d’agosto”.

 

Di sicuro è aperta – open wifi, open bar, open tutto –- la Darsena, unico luogo dove la bilancia fra serrande alzate e abbassate pende palesemente dalla parte delle prime. Alla vigilia del miracolo economico, la maggioranza silenziosa che restava in città rintuzzava l’afa bagnandosi nei Navigli come un consigliere d’opposizione ante litteram: i milanesi di una certa età ricordano ancora quando qui si pescavano persino le anguille, e poi i tuffi dai ponti e gli incidenti, anche mortali, dovuti alla collisione fra barche a remi e nuotatori. Oggi quel che resta di entrambe le fazioni, raccolto sotto le insegne della Canottieri Milano, ha traslocato più a Sud e a offrire la possibilità di una gitarella fluviale è rimasto il monomotore a noleggio di un’osteria lungo l’Alzaia. “Fino a Ferragosto è prenotata mattina e pomeriggio”, chiosa un ragazzo maghrebino munito di marsupio, accredito e cordone da ormeggio.

 

Restano le piscine, seconda voce più cercata su Google al correlato agosto+Milano dopo le farmacie di turno. Non chiudono neppure un giorno, a differenza della maggioranza dei bar, terza search preferita. Ecco, i bar, la statistica in cui la tradizionale cesura tra centro e periferia torna a proporsi in tutta la sua crudezza: su 500 che assicurano cappuccio e brioche per tutto il mese, più della metà si trova in zona 1, mentre i residenti della 7 dovranno affollarsi intorno a una decina di banconi appena. Tradotto in mappa, lo sventurato che si fosse trovato a passare per Baggio domenica scorsa avrebbe trovato una densità di tre bar per chilometro, mentre in piazza Duomo sulla stessa distanza c’erano 158 opportunità. Per la cronaca, l’opuscolo comunale ha censito anche latterie e alimentari attivi in una fantomatica “zona 10”, che però a Milano non esiste. Bug forse dovuto alla calura, rapidamente corretto. Succede.

 

Tutto chiuso pure alla Barona, quartiere a cui si accede scendendo all’ottava fermata della 90 e che fa da sfondo, per restare in tema, alla hit meteora Estate in città di Marracash: “Il pusher migra per la stagione / a seconda di ciò che tira va in Salento o a Riccione”. Anche le prostitute sembrano seguire le stesse traiettorie, evitando però la movida più spinta: “Ogni agosto traslochiamo a gruppi di due o tre, ma preferiamo mete da famiglie come Versilia e Liguria perché i clienti sposati sono i migliori anche in estate”, ha rivelato qualche giorno fa una escort a Vice News. In effetti le uniche isole di illegalità che si vedono salendo verso nord-ovest sono due bambini che giocano a palla in mezzo alla strada e la pluriinstagrammata scritta “Sei bella come una questura che brucia” sulla facciata di un palazzone di piazzale Brescia.

 

A San Siro si cambia linea ricominciando a scendere, sfiorando Centrale e Isola affollate di migranti e turisti, sottoinsiemi più visibili data la minor presenza di indigeni, ma crescenti anche in numero assoluto: +14 per cento la stima dei ricoverati nelle strutture di accoglienza durante le due settimane più calde, +4 per cento quella dei pernottamenti in hotel. In Galleria, dove nel tardo pomeriggio di domenica passeggiano frotte di stranieri storditi in cerca di un negozio dal microclima artico o di una birra al tavolino che costi meno di venti euro, il dato è ancora più marcato e nessun albergatore nasconde la sorpresa soddisfazione.

 

All’Ortica, a un tiro di schioppo dalla Balera aperta tutto agosto e da un centro massaggi che invece chiuderà dal 12 al 21, la gente non aspetta più alla pensilina, ma dietro: è l’unico posto all’ombra. Mezza dozzina di persone si stipa al riparo della luce accecante fino a quando il tram non è in vista. Il serpentone di lamiera si affaccia su viale Argonne. Frotte di biciclette e cani solcano i giardini da cui Duilio nel 1964 partì in cerca del “mare dei ricchi”, a pochi minuti di 73 barrato dall’Idroscalo, che invece si è lasciato alle spalle lo stigma sociale di “mare dei poveri”.

 

All’ora dell’aperitivo l’eco sovrapposta e dissonante di Despacito e Subeme la radio, che il vento trasporta da due chioschi diversi, fa da cornice a un melting pot vivace dove i runner griffati, le bici in policarbonato e gli spritz da nove euro coesistono con racchettoni, tupperware di parmigiana e cerveza tiepida estratta dagli zaini. L’estate accorcia le distanze, lo ha detto anche Majorino che per l’anno prossimo si è impegnato a installare qui e altrove barbecue fissi. L’acqua è verdina come quella di Rio2016, ma i bagnanti esistono e resistono. Mentre gli incassi, assicura un addetto ai lavori, crescono estate dopo estate.

 

Curiosità. Se a Milano ci fosse il mare è anche il titolo di un vecchio albo di Martin Mystère. L’archeologo bonelliano non contemplava l’Idroscalo ma s’immaginava di scoperchiare la cerchia dei Navigli, compreso il tratto parallelo a viale Molise che la 91, ora semivuota, sta percorrendo per raggiungere il capolinea. Da qualche tempo la politica ha trasformato quella sceneggiatura fantasy in un cardine del dibattito sul futuro della città, accantonando le parole definitive pronunciate dallo scrittore Carlo Castellaneta nel 2003, al tempo dei primi vagiti sulle vie d’acqua: “Milano non è Disneyland. La cerchia non fu interrata solo per far spazio alle auto, ma perché puzzava da maggio a settembre e l’acqua ristagnava trasformandosi d’inverno in colonia di topi, e d’estate in fabbrica di zanzare. Insomma, nessuno si sognava di definire romantici i Navigli. Semmai i romantici siamo noi, che amiamo pensare al passato con rimpianto, fantasticando su una fotografia”. Come quella che una ragazza dai capelli ricci sta scattando ora di nascosto, immortalando un piazzale Lodi deserto con gli ultimi sopravvissuti illuminati dai barbagli del tramonto. Barche risospinte nel passato, direbbe Fitzgerald. Sbircio l’hashtag: c’è scritto #bellamilano.

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